Libertà è partecipazione

di Francesco Baicchi - 18/05/2011
I Costituenti ritennero di inserire nella Carta il referendum, strumento di democrazia diretta, riconoscendo la assoluta prevalenza di quella 'sovranità' che l'art. 1 assegna al 'popolo'.

L'introduzione del referendum nella nostra Costituzione non fu scontato: infatti le varie ipotesi presentate da Costantino Mortati (democristiano) alla II Sottocommissione della Costituente furono ampiamente discusse e ne fu attentamente valutata la coerenza con il complessivo assetto istituzionale che si andava delineando.

In effetti, in un sistema parlamentare rappresentativo il ricorso alla consultazione diretta degli elettori non può che costituire un evento eccezionale, perché mette in dubbio la capacità del Parlamento di interpretare correttamente la loro volontà e rischia di rendere incerti i tempi dell'iter legislativo.

I Costituenti ritennero comunque di inserire nella Carta questo strumento di democrazia diretta, riconoscendo la assoluta prevalenza di quella 'sovranità' che l'art. 1 assegna al 'popolo'.

Anche se allora era sicuramente impensabile che, grazie ad astrusi meccanismi di ingegneria elettorale, oggi saremmo arrivati a un Parlamento dominato da una maggioranza che rappresenta soltanto, più o meno, un terzo del corpo elettorale.


Ancora meno prevedibile, per quanti avevano lottato e rischiato la vita per conquistare (per tutti) il diritto a decidere del proprio futuro, era che a questo diritto si potesse banalmente rinunciare.

Eppure dal 1997 nessuno dei 24 referendum abrogativi indetti ha raggiunto il quorum del 50% dei votanti richiesto per la loro validità. E non certo perché gli argomenti sottoposti a valutazione fossero irrilevanti: basti pensare ai quesiti relativi alla cosidetta 'fecondazione assistita', che superarono a malapena il 25%.

A questa 'disaffezione' ha certamente contribuito l'uso improprio del referendum abrogativo come 'contropotere' legislativo (pericolo evocato proprio nel dibattito alla Costituente), che ha portato nel 1993 a votare su ben otto quesiti, e nel 2000 su sette. Ma ancora più influente è stata la strategia di promuovere esplicitamente l'astensione da parte di chi è contrario alla libera espressione della volontà popolare, inaugurata da Bettino Craxi.

Così l'obiettivo dei partigiani del NO ora non è più convincere la maggioranza degli elettori della opportunità di mantenere la norma di cui si propone l'abrogazione, ma semplicemente che non vale la pena di perdere tempo per esprimere la propria opinione, acquisendo automaticamente l'astensionismo 'fisiologico' che oscilla intorno al 20%.


Per i quattro referendum del prossimo giugno il tentativo di manipolare la volontà popolare ha fatto un ulteriore passo avanti: per ridurre la partecipazione al voto, dopo aver rifiutato l'accorpamento con le elezioni amministrative (che avrebbe fatto risparmiare centinaia di milioni), il governo berlusconiano sta cercando di modificare alcune delle norme sottoposte a referendum, facendo capire che le relative consultazioni non avranno luogo.

Dopo aver di fatto cancellato l'informazione sui referendum dalle televisioni, si punta così a ridurre ancora l'attenzione dei cittadini, che, sull'onda del disastro di Fukushima, si era focalizzata sulla scelta di riprendere la costruzione di centrali nucleari in Italia.


Siamo dunque in presenza dell'ennesima 'furbata': in realtà la decisione di annullare il referendum spetta alla Cassazione (che non si è espressa) e, soprattutto, lo stesso Berlusconi ha pubblicamente dichiarato che si tratta di un trucco evitare il voto e riproporre entro pochi mesi la costruzione delle centrali.


C'è infine da valutare che fra i quattro quesiti c'è anche quello che annullerebbe l'ultimo (per ora) tentativo degli avvocati-ministri-deputati di sottrarre il loro datore di lavoro alla Giustizia. Se negli altri tre ci sono in gioco essenzialmente soldi e alleanze di potere in cambio della sicurezza e dei diritti dei cittadini, sul 'legittimo impedimento' (di cui quasi nessuno parla) siamo addirittura chiamati a decidere se vogliamo rimanere tutti uguali di fronte alla legge.


Il pessimismo sarebbe d'obbligo se non ricordassimo la maturità dimostrata dagli elettori e dalle elettrici italiani nel 2006, con la bocciatura del tentativo di stravolgere proprio la Costituzione: votarono il 52,3% degli aventi diritto, e i contrari al tentativo di 'riforma' furono oltre il 61%.

Sapremo il 15 giugno se gli elettori italiani, andando a votare, avranno dimostrato di ritenere ancora importante confermare la sovranità popolare sancita nella nostra Costituzione antifascista, che trova nel referendum abrogativo una modalità di espressione particolarmente importante di fronte all'attuale Parlamento di non-eletti e volta-gabbana. O se due decenni di monopolio della informazione e di involuzione politico-culturale hanno prodotto davvero danni irreversibili alla nostra democrazia.

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