Ma che c'entrano le primarie con la democrazia diretta?

di Raul Mordenti in controlacrisi.org - 11/10/2012
Credo che la questione delle primarie abbia assunto un tale rilievo politico e mediatico (paginate e paginate sui quotidiani!) da rendere necessaria una seria discussione fra compagni/e. Vorrei contibuire a favorire questa discussione dicendo la mia, sperando che altri/e, magari con posizioni diverse, vogliano intervenire.

Dunque le primarie sono una istituzione americana che serve a designare un candidato Presidente all’interno dei due partiti democratico e repubblicano. Faccio notare che neppure la iper-presidenzialista Francia sceglie il candidato Presidente con le primarie, e meno che mai ricorrono a tale strumento altre democrazie europee, come la Germania o l’Inghilterra o la Spagna etc. Faccio notare ancora che negli Stati Uniti si eleggono con le primarie dei delegati (non è dunque affatto una votazione diretta o di primo grado!) e, specialmente in passato, è accaduto che le Convenzioni modificassero, o anche ribaltassero, i risultati delle primarie, da qui l’estrema importanza delle Convenzioni dei partiti che – queste sì! – nominano il candidato alla presidenza.

L’oggetto delle primarie di cui si parla adesso da noi è la candidatura a Presidente del Consiglio (e mi permetterei di proporre – già che ci siamo – di chiamare questa carica con questo suo nome costituzionale, e non “premier” e meno che mai “Capo del Governo” come dicevano di sè Mussolini e poi Craxi: le parole in politica contano, perché corrispondono a concetti). E già qui sorge un rilevante problema, giacché la designazione di tale carica spetta, per la nostra Costituzione al Presidente della Repubblica (art. 92 della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i Ministri”). È il Presidente della Repubblica, non certo il popolo delle primarie e nemmeno l’elettorato, a scegliere il Presidente del Consiglio; fermo restando che il Presidente del Consiglio nominato deve avere la fiducia di entrambe le Camere, ed è una buona prassi, ormai consolidata, che prima di scegliere il Presidente del Consiglio il Presidente della Repubblica consulti i Gruppi parlamentari, che gli rappresentano gli orientamenti delle due Camere. Perché accade questo? Perché la nostra Repubblica è stata voluta dai padri costituenti come una Repubblica parlamentare, in cui cioè la sovranità popolare elegge un Parlamento e non una persona o un capo.

Per noi comunisti (ma, direi, per tutti i sinceri democratici) è assolutamente evidente quanto sia stata giusta e lungimirante questa scelta dei Costituenti, che avevano conosciuto il fascismo e volevano impedire che si potessero riproporre forme di potere personale, sempre anticamera delle dittature (e pensiamo che cosa sarebbe successo se Berlusconi avesse potuto sostenere legittimamente una diretta investitura popolare sulla sua persona!). Da questo punto di vista, oso dire che anche la dizione “Per Tizio Presidente” che compare nel simbolo di alcuni (troppi!) partiti è al limite della costituzionalità, perché (ripeto, ripeto!) l’elettorato non è chiamato affatto a eleggere un Presidente del Consiglio bensì a eleggere un Parlamento, il quale Parlamento poi darà, oppure negherà, la sua fiducia a un Presidente del Consiglio scelto, anzi nominato!, dal Presidente della Repubblica. E infatti secondo la nostra Costituzione sarebbe del tutto legittimo che, dopo aver consultato i Gruppi parlamenari, un Presidente della Repubblica desse l’incarico di formare il Governo a una persona diversa dal leader del Partito che ha vinto le elezioni (naturalmente purché questa persona abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento). Questo primo punto, che definirei di elementare cultura giuridica e costituzionale, mi sembra dunque già di per sé testimoniare contro il ricorso alle primarie, uno strumento improprio e, dunque, anche pericoloso, perché minaccia di turbare il delicato equilibrio costituzionale fra i poteri democratici dello Stato e di prefigurare (anzi di praticare già!) una Repubblica presidenziale, un “uomo solo al comando” legittimato personalmente dal voto popolare, che è l’esatto contrario di ciò che la Costituzione antifascista disegna.

Ma veniamo al secondo punto: la primarie americane, che piacciono tanto ai nostri “americani a Roma”, sono interne ai due partiti; lì è del tutto ovvio che i candidati siano esponenti del partito alla cui investitura aspirano ed è anche del tutto ovvio che (per una consolidata tradizione) i votanti appartengano a quello stesso partito. Qui invece si parla di “primarie di coalizione”, in cui potrebbero votare tutti quelli che in qualche modo si riconoscono in quella coalizione.

Se esaminiamo da vicino questa situazione ci rendiamo ben conto che ci troviamo di fronte al regno dell’assurdo. Intanto: di che coalizione si tratta? Quale è il suo programma? Quali i suoi confini? E, soprattutto, quali partiti ne fanno parte? Logica vorrebbe che prima ci fosse una coalizione e poi semmai questa, al suo interno, scegliesse il proprio candidato. Qui si propone, e si pratica, l’inverso: prima si sceglie il candidato Presidente e poi, se resta tempo, si definisce la coalizione e il suo programma. L’on. Tabacci, che è autorevole candidato alla primarie, fa parte oppure no della coalizione? E Vendola ne fa parte? In passato il PD rifiutò la candidatura di Marco Pannella con la (apparentemente ragionevole) obiezione che questi era esponente di un partito diverso. Questo argomento non vale più? Così come non vale più (e infatti si affretteranno a cambiarlo!) l’articolo dello Statuto del PD che afferma che il solo candidato di quel Partito alle primarie è il suo Segretario. Un’altra “stranezza”, degna di una comica finale e non certo di una democrazia seria: le primarie si dicono “di coalizione” ma le loro regole sono decise da un partito solo, il PD, che appunto ne sta discutendo in questi giorni (peraltro molto dopo l’inizio della campagna per le primarie!). Neppure l’esperienza insegna nulla: Forconi a Napoli vinse le primarie (lasciamo stare come) ma De Magistris, che non vi aveva partecipato, poi stravinse le elezioni vere. A Palermo la stessa situazione: Ferrandelli prevalse alle primarie ma poi (nonostante l’appoggio di Lombardo e di SEL) Orlando lo travolse alle elezioni vere; e altri analoghi esempi si potrebbero fare. D’altra parte l’esperienza romana di questi giorni parla chiaro: Zingaretti era un candidato credibile a fare il Sindaco: ma “qualcuno” – non certo le primarie – lo ha candidato invece “in mezz’ora” (come si è vantato l’on. Fioroni) a fare il Presidente della Regione Lazio, forse perché la carica di Sindaco deve essere scelta dal Vaticano. Le primarie allora si fanno solo se non servono a decidere davvero?

Si dice ora che per votare alle primarie occorrerà prima sottoscrivere qualcosa e lasciare il proprio nome e indirizzo: a parte che questo contraddice un altro pilastro della Costituzione (ma costoro neppure l’hanno letta, e comunque se ne fottono), cioè l’art.48 (“Il voto è personale ed eguale, libero e segreto”), la domanda che sorge è: che senso ha tale sottoscrizione? Ci si impegna così a votare poi alle elezioni per quella coalizione, tuttora indeterminata e inesistente? E chi può impedire all’elettore di cambiare parere nel frattempo? Un fatto è tuttavia certo: le primarie impegnano in modo ferreo a sostenere quella “coalizione” almeno chi vi partecipa. Non è infatti possibile pensare, nemmeno nell’attuale degrado dell’etica politica, che uno si candidi come leader di una coalizione e poi, se sconfitto, non appoggi leamente il vincitore! Lo stesso vale, naturalmente, anche per i Partiti. E dunque: Vendola e SEL, appoggeranno il berlusconico Renzi o il democristiano Tabacci se uno di costoro vincerà le primarie? Oppure qualcuno pensa che potrebbe accadere l’inverso? Siamo seri, compagni di SEL, nessuno di voi può crederlo. Se un obiettivo ragionevole è possibile rintracciare nella partecipazione alle primarie, questo può consistere soltanto nell’intenzione di alzare un po’ il proprio prezzo, cioè di poter partecipare comunque a qualunque coalizione guidata dal PD (e dall’“agenda Monti”) trovando all’interno di questa un po’ di spazio in più per sistemare più comodamente il proprio sgabello.

In conclusione: la democrazia diretta non c’entra proprio un bel nulla con questo incasinato balletto plebiscitario. Ormai è chiaro a tutti (almeno a chi voglia vedere onestamente le cose per quel che sono) che le primarie rappresentano solo un meccanismo che serve per umiliare ancora di più (come se ce ne fosse bisogno!) la democrazia costituzionale, la quale è fondata sul Parlamento e sui Partiti (sì, sui Partiti!), beninteso se, come il nostro, essi si sforzano di essere degni di questo onorato nome. Le primarie servono soprattutto per far pesare l’immenso potere mediatico e finanziario di alcuni “poteri forti” che (come dimostra il “caso” dello sciocco giovanotto democristian-berlusconico Matteo Renzi) sono perfettamente in grado, investendo soldi e consiglieri “di immagine” sufficienti, di creare dal nulla un candidato del nulla, e magari perfino di imporlo.

Io credo che tutto ciò sia l’esatto contrario di quel complicato ma esaltante processo di partecipazione cosciente che noi chiamiamo democrazia diretta, e credo che da tutto ciò la sinistra debba tenersi ben lontana, anzi non stancandosi di denunciare l’ennesima truffa “tecnica” e “americana” ai danni delle masse popolari.

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