In attesa della tempesta che si abbatterà su di loro alle prossime elezioni e incapaci di autoriformarsi, i partiti politici pensano di poter nel frattempo cambiare la Costituzione. I tre partiti maggiori si sono fatti predisporre un testo da alcuni esperti e ora vogliono farlo approvare senza una reale discussione, confidando su una stampa distratta e un'opinione pubblica anestetizzata dalla crisi economica. Una rocambolesca corsa contro il tempo per giungere con lo scalpo della Costituzione alle prossime elezioni e dimostrare così di essere ancora vitali: se si è in grado di cambiare la Costituzione si potrà ben governare, pensano i nuovi apprendisti stregoni. Ispirati dalla riforma bulgara del pareggio di bilancio, ora si vuole alzare la posta e l'ambizione diventa quella di modificare l'intero assetto dei poteri.
Siamo
al paradosso. Come può, infatti, immaginarsi che un ceto politico
agonizzante, commissariato da tecnici ai quali ha delegato il potere
di governo, possa mettere le mani sulla Costituzione?
Denunciamolo
apertamente: i partiti politici che sostengono l'attuale governo
Monti non sono legittimati a cambiare la Costituzione. Non sarà lo
specchietto per le allodole della riduzione del numero dei
parlamentari a giustificare un'operazione delirante ("delirante"
nel senso etimologicamente proprio di superamento di un confine
invalicabile). Quali prospettive costituzionali possono garantire
delle formazioni politiche in preda al panico, disorientate dalla
perdita di consenso, palesemente inadeguate a svolgere l'ordinaria
attività d'indirizzo politico. Le costituzioni definiscono
meccanismi di "governo degli altri" complessi e delicati
che non possono essere poste nelle mani di chi in questo momento -
per dirla con Michel Foucault - non ha il «governo di sé».
Non si
dovrebbe neppure cominciare a discutere. Ma se - con uno sforza di
volontà - si va poi a vedere il contenuto della riforma ai dubbi
espressi si collega anche il timore di un'operazione che ha tutto il
sapore di voler garantire la continuità del peggio. Ancora si vuole
rafforzare il governo (con corsie preferenziali e voti bloccati per
l'approvazione dei suoi provvedimenti), ridurre il ruolo del
Parlamento (il quale rischia lo scioglimento se vota contro
l'esecutivo). Come se nulla fosse successo, si prosegue una strategia
di umiliazione della rappresentanza politica sostituita dalla
retorica della governabilità. Un suicidio per tutte quelle forze
politiche che vogliono conservare la loro natura di strumento di
partecipazione dei cittadini. È proprio questo il compito che la
costituzione assegna ai partiti, ma questi sembra l'abbiano scordato.
Così
come sembra proprio non si voglia ricordare quel che è la regola
aurea che dovrebbe presiedere ogni sforzo di razionalizzazione della
nostra forma di governo. Eppure lo sanno anche gli studenti di
giurisprudenza che è l'equilibrio tra poteri quel che vale a
distinguere una forma di governo democratica da una dispotica. Quante
volte s'è denunciato il pericolo di uno sbilanciamento a favore
dell'esecutivo, uno squilibrio che ha contrassegnato il premierato
assoluto dei governi degli ultimi anni. Quando in passato si sono
tentate di imporre revisioni della costituzione che fissassero nella
nostra legge fondamentale simili preoccupanti alterazioni, i
costituzionalisti e la cultura democratica hanno riempito le piazze e
alzato le barricate. Oggi è assordante il silenzio dei tanti
esclusi, traumatizzante il consenso dei pochi prescelti. Nessuno
dovrebbe approfittare del sonno della ragione cui siamo caduti per
generare il mostro.
D'altronde,
i nostri parlamentari e i partiti sino a ieri maggiormente
rappresentativi avrebbero ben altro cui pensare. Dovrebbero riuscire
a ritrovare la parola smarrita della politica, salvare un sistema
della rappresentanza che rischia di trascinare nel baratro - con loro
- tutti noi, riallacciare un dialogo con i soggetti e le formazioni
sociali che operano all'esterno dei partiti e fuori dai palazzi.
Questioni di fondo, cui è legata la sopravvivenza della democrazia,
che non investono il piano costituzionale, bensì quello delle
culture politiche e istituzionali. È questo oggi il vero terreno
dello scontro politico, ma proprio su questo si registra il massimo
di confusione, come dimostrano le oscillazioni e i piccoli
opportunismi che dominando le discussioni sull'unica riforma
effettivamente necessaria: quella del sistema elettorale.
Prima
di poter cambiare la Costituzione è essenziale che si modifichi la
legge elettorale. È su questo che si dovrebbero confrontare i
partiti in questo squarcio di legislatura per cercare di recuperare
l'onore perduto. Poi, fatte le elezioni, si vedrà. Se emergerà un
ceto e formazioni politiche rappresentative degli interessi sociali
reali, questi potranno riprendere il discorso sulle modifiche
istituzionali e costituzionali. Ma sino ad allora, per favore, giù
le mani dalla Costituzione.