PER UNA NUOVA IDEA DI FISCALITA'

di Stefano Freddo - 23/11/2011
La crisi economica che stiamo vivendo è forse la più grave che l'umanità abbaia mai attraversato. Non si tratta di una crisi congiunturale, ma della naturale conseguenza delle regole economiche e politiche che sono state poste a fondamento della moderna vita sociale

Tutte le crisi sono dolorose, portano sofferenze e conflitti, ma possono essere anche delle opportunità per fare un passo avanti, per la crescita della coscienza di ciò che è necessario intraprendere per rendere la convivenza sociale degna dell'uomo.

Per fare ciò occorre sviluppare nuovi pensieri, pensieri pratici in grado di dare risposte efficaci ai problemi, quelle risposte che non sono in grado di dare né gli attuali responsabili della vita pubblica, né il grande esercito degli economisti e dei sociologi.

L'Italia si trova in una situazione assai delicata. In questi giorni stiamo assistendo a dei tentativi quasi disperati di salvarla dalla bancarotta.

Il debito è in continuo aumento e per farvi fronte non si riesce a far altro che emettere nuovi titoli di debito. L'Europa ha accettato di acquistarli, ma questo aiuto sembra in realtà una spinta verso il baratro, dati gli altissimi tassi di interesse da pagare. Di fatto l'Italia è commissariata da poche persone a capo della BCE, che ci dettano le condizioni da rispettare per essere “salvati”. Così è già accaduto con l'Irlanda, con la Grecia e così forse accadrà anche per altri Paesi.

Ad una osservazione oggettiva risulta chiaro che il debito pubblico, dal quale nessun Paese è risparmiato, sta diventando il pretesto per limitare e forse in futuro sospendere le sovranità nazionali dei popoli.


L'inganno

E se questa situazione fosse frutto di un grande inganno del quale siamo tutti vittime inconsapevoli? Se osserviamo bene, la crisi non è dovuta a scarsità di risorse, di beni e servizi, anzi se ne producono in eccesso. E' semplicemente una questione monetaria e finanziaria.

E se fosse possibile risolvere la questione monetaria con uno sguardo diverso sul problema, senza colpo ferire e senza chiedere a nessuno sacrifici?

L'Italia potrebbe assumersi un compito decisivo in tal senso e forse, da zimbello dell'Europa, potrebbe divenire a sorpresa il paese che guida la riscossa.

 

Una grande rete sociale

Nel nostro Paese esiste una vastissima rete di realtà operanti nel volontariato, nell'economia sociale, nella difesa dei più deboli, e anche realtà di sana imprenditoria intraprendente e creativa.

Esse potrebbero già costituire la base per il nuovo organismo sociale che sorgerà dalle ceneri di quello che sta andando in rovina.

Resta solo da risolvere il problema delle risorse economiche che è necessario reperire per dare nuova linfa e nuova vita a tutto questo fiorire di iniziative, che oggi cercano di resistere con ammirevole tenacia per non soccombere alla crisi.

Le risorse ci sono. Basta solo capire come possono essere redistribuite in modo semplice, indolore e vantaggioso per tutti.

 

Troppo bello per essere vero!

Quanto segue è tratto interamente dalla ricerca di Nicolò Giuseppe Bellia, che da oltre 30 anni si occupa della questione, ignorato dai più. Così è successo spesso ai grandi innovatori, prima derisi e poi santificati dai posteri. Io voglio qui sottoporre al libero giudizio dei lettori una sintesi di ciò che può essere approfondito da ognuno sul sito www.bellia.info

Come si può fare per pagare il debito pubblico e dare nuovo impulso al benessere sociale?

Questo non lo sanno indicare né i partiti di governo, né quelli all'opposizione. I primi non sanno fare altro che continuare a tagliare le spese sociali, a danno dei più deboli, mentre i secondi continuano a chiedere, inascoltati dai primi, di far pagare la crisi anche agli evasori, ai ricchi, a chi dispone di grandi patrimoni e oggi viene risparmiato in gran parte dalla tassazione. Ma sono comunque tutti unanimi nel sostenere che dovremo fare dei grandi sacrifici.

La situazione appare bloccata e rischia di esplodere in modo violento, come già preannunciato in varie parti del mondo e anche in Italia nelle manifestazioni di piazza. Tra i due schieramenti contrapposti, nessuno riesce a comprendere per quale motivo fondamentale si è venuta a creare la presente crisi. Proviamo ad indicarlo.

 

Il fattore determinante e inosservato è la FISCALITA' REDDITUALE, come la definisce Bellia, cioè il fatto che l'imposizione fiscale viene applicata ai redditi e alle imprese produttrici di ricchezza. La pressione fiscale oggi supera abbondantemente il 50%, conteggiando oltre le tasse (44 % circa) anche tutte le spese per gestioni contabili di bilancio, commercialisti e così via.

Ma non si osserva con sufficiente chiarezza che tali costi fiscali che le aziende produttrici devono sostenere, compresi i contributi previdenziali dei lavoratori, devono essere recuperate scaricandole sui prezzi delle merci prodotte. E' questa la causa principale dell'aumento dei prezzi e della perdita del potere d'acquisto del denaro, cioè dell'inflazione. Tale perdita si ripercuote

naturalmente sui più deboli. Per i ricchi non è un gran problema.

E non si considera inoltre che, dopo aver già pagato le tasse sul reddito, da lavoro o da impresa, le si pagano nuovamente nel momento dell'acquisto delle merci, non solo come Iva. Infatti nel determinare i prezzi delle merci, concorrono per più della metà i costi connessi alla fiscalità sostenuti dalle imprese produttrici. Guardiamo la situazione con oggettività: ogni italiano deve lavorare almeno la metà dell'anno per pagare le tasse; con ciò che rimane deve soddisfare i suoi bisogni, ma non ha denaro sufficiente perché i prezzi dei beni e dei servizi sono gravati delle stesse tasse che egli ha già pagato una volta.

 

Basterebbe questa semplice osservazione per convincersi che è nell'interesse di tutti , e soprattutto dei più deboli, abbassare il più possibile l'imposizione fiscale sui redditi e le imprese e cercare un'altra fonte di entrate fiscali. E questa altra fonte effettivamente esiste!

Si può addirittura eliminare completamente il prelievo fiscale dai redditi e dalle imprese. Questa misura consentirebbe già da subito di dimezzare i prezzi delle merci, raddoppiando il potere d'acquisto del denaro esistente.

L'esigenza del prelievo fiscale potrebbe essere soddisfatta, in modo assai semplice ed efficace, con una tassa unica su tutti i valori monetari circolanti, su quella che Bellia chiama Massa Monetaria. La misura di tale tassazione è calcolabile intorno all' 8% annuo dei valori monetari circolanti, che in Italia ammontano a circa 6.000 miliardi di euro. Questa tassa sarebbe assolutamente equa; ogni cittadino pagherebbe in modo proporzionato alla propria capacità di spesa, al denaro che possiede.

 

Per attuare praticamente tale riforma, sarebbe necessario che l'Italia tornasse alla propria moneta nazionale (Eurolira), cosa del resto possibile dato che altri paesi della comunità europea non hanno adottato l'euro. Inoltre, per l'efficacia di questa riforma fiscale, tutto il denaro circolante in varie forme nel giro economico dovrebbe essere convertito in moneta elettronica, non occultabile e

facilmente rintracciabile negli spostamenti. La tassazione sarebbe così automatica, attraverso procedure elettroniche controllate dall'amministrazione statale, e non eludibile. Essa garantirebbe un gettito sicuro e calcolabile a priori.

 

Queste entrate, oltre a consentire di coprire le spese dei servizi pubblici, offrirebbero anche la possibilità di istituire quel famoso reddito minimo garantito o reddito di cittadinanza per tutti, di cui oggi molti parlano, ma per realizzare il quale nessuno sa indicare da quali fonti prendere le risorse.

Queste misure, per essere applicate, richiedono quindi semplici accorgimenti tecnici e semplici scelte politiche.

Dico semplici perché la loro realizzazione non comporterebbe particolari difficoltà pratiche.

La difficoltà principale è costituita naturalmente dal fatto che intorno a questa proposta dovrebbe coagularsi un ampio consenso dei cittadini italiani.

 

E QUI ARRIVIAMO AI PUNTI DOLENTI DELLA QUESTIONE.

Chi è arrivato a seguire i pensieri fin qui svolti, una volta riavutosi dalla sorpresa, probabilmente dirà: “Sì, la cosa in teoria sarebbe giusta, ma comporterebbe una tale rivoluzione, che i poteri forti faranno di tutto per ostacolarla. Inoltre la gente non è matura per capire una cosa del genere”.

Affermo questo non per pregiudizio, ma perché questa è la risposta che ricevo dalla stragrande maggioranza delle persone da me interpellate in proposito; le quali di conseguenza trovano in tal modo una giustificazione per non occuparsi della cosa.

Questo dimostra però che il problema sociale non ha radici politiche o economiche, ma culturali e individuali. Sono i pensieri, i sentimenti e la volontà di ogni singolo individuo, soprattutto di coloro che si vogliono impegnare per una riforma positiva della vita sociale, determinanti per l'efficacia di una tale proposta.

Si tratta di decidere se indirizzare con coraggio le proprie energie per diffondere e sostenere con tutte le forze una proposta sensata e risolutiva, pur se inizialmente meno conosciuta e condivisa, oppure se seguire altre vie che promettono di ottenere un maggiore consenso iniziale, ma che non porterebbero a delle soluzioni reali del problema sociale, dato che non colgono il nocciolo della

questione.

E' chiaro che i poteri forti, compreso tutto il sistema dei partiti, faranno di tutto per opporsi, ma il pregio di questa proposta è che essa non comporta per la sua attuazione grandi energie sul piano degli investimenti in strutture e organizzazioni esteriori. Necessita semplicemente della diffusione di pensieri. E i pensieri giusti hanno solo bisogno di menti e cuori aperti per essere accolti. Sul fatto poi che sia difficile capire questa proposta, basta dire che quasi tutti coloro ai quali l'ho presentata, e sono molti, di diversi livelli culturali, di diverse condizioni sociali e opinioni politiche, l'hanno capita con una certa facilità, salvo poi aggiungere sempre che “la gente non è matura per accettarla”.

Questa affermazione dimostra semplicemente che ognuno di noi ha grande considerazione di sé e assai scarsa fiducia nel prossimo, nelle sue capacità di comprensione, non certo che la cosa sia difficile da capire per se stessa. Chi dall'esperienza ha invece accresciuto la sua fiducia sulla capacità pensante degli uomini, continuerà a portare queste idee capaci per la loro stessa forza e

verità di infondere fiducia. Ciò che manca infatti non è la capacità di comprendere, ma il coraggio di agire in conformità a quanto si è compreso.

 

Ma l'obiezione di fondo incosciente e inespressa, che vive in una sfera più profonda del nostro essere, si potrebbe tradurre con queste parole : “Il riconoscimento che l'ingiustizia sociale deriva da una questione di natura tecnica, un problema di carente osservazione del processo monetario e fiscale, mi costringe ad abbandonare tutta la mia indignazione, la mia convinzione di aver trovato la causa dei mali nei disonesti e nei corrotti. Se sono onesto con me stesso, questo riconoscimento mi deve obbligare a rinunciare alla ricerca della colpa dell'ingiustizia sociale in un nemico esterno a me”.

 

Questo è assai difficile da ammettere a se stessi. E' infatti più facile rinunciare alla ricchezza materiale, fare sacrifici per ridurre i propri bisogni e cercare di modificare lo stile di vita esteriore, piuttosto che sacrificare le proprie opinioni e le convinzioni con le quali ci identifichiamo e alle quali ci aggrappiamo come a verità e sicurezze. Ma questo è il solo sacrificio che ci è richiesto per ritrovare la via smarrita. Ci possiamo avvicinare sempre più alla verità solo correggendo continuamente l'errore. Questo inizialmente è doloroso, ma una volta intrapreso questo cammino esso genera fiducia e accrescimento delle capacità conoscitive e pratiche per la vita.

Il tanto agognato “bene comune” non potrà mai essere conseguito attraverso la vittoria su dei nemici. Gli unici nemici che devono essere vinti sono la cecità e l'errore che sono in noi stessi. E vengono vinti correggendoli, poiché l'errore non è altro che una verità parziale. Se il bene e la verità si volessero imporre “contro” qualcuno essi tradirebbero se stessi. Ciò che è buono e vero può agire solo attraverso la propria intima forza di persuasione, offrendosi al libero giudizio degli uomini, senza esercitare alcuna costrizione.

 

ALCUNE CONSEGUENZE PRATICHE DELLA RIFORMA PROPOSTA

Azzeramento del debito.

Il dimezzamento dei prezzi dovuto all'abolizione delle imposte su redditi e imprese produttive porterebbe uno squilibrio nei rapporti commerciali con l'estero. L'Italia diventerebbe la Cina dell'Europa e tutti vorrebbero acquistare qui. Per evitare ciò si potrebbe decidere di svalutare della metà la nostra moneta per riportarla in equilibrio con quelle estere. Col valore così ottenuto si potrebbe estinguere il debito pubblico in un'unica soluzione, ripagando i possessori dei vari titoli statali del debito che sarebbero così interamente riassorbiti.

Decrescita.

La crescita economica continua è sostenuta dalla necessità di creare lavoro per garantire ai cittadini un reddito adeguato. Col reddito di cittadinanza generalizzato per ogni cittadino questa necessità verrebbe a cadere. Già oggi si producono beni in eccesso rispetto alla reale domanda (metà dei prodotti agricoli vengono buttati via nel percorso dal campo alla tavola).

La diminuzione delle produzioni materiali consentirebbe di spostare le risorse monetarie in esubero rispetto alle necessità di tali produzioni verso il campo della cultura, dell'arte, della ricerca e dell'educazione, della tutela ambientale, che potrebbero costituire gradualmente il principale settore produttivo.

Tutela dei disoccupati.

Le aziende che producono beni non più richiesti dal mercato potrebbero chiudere senza traumi, dato che i lavoratori e i loro famigliari disporrebbero di una tutela sociale di base. Lo Stato non interverrebbe più per salvare aziende in crisi con risorse pubbliche che devono essere diversamente impiegate. D'altra parte il reddito di cittadinanza garantirebbe un potere d'acquisto di base che sosterrebbe la vita delle imprese e la creazione di quei posti di lavoro che siano in relazione alle produzioni effettivamente richieste dai consumatori.

Lavoro come scelta.

Non essendo più obbligati ad accettare qualsiasi lavoro per vivere, i lavoratori si indirizzerebbero naturalmente a quelle attività che corrispondano alle proprie capacità e al proprio desiderio di realizzazione umana e professionale. Il reddito da lavoro, da sommare a quello di base, sarebbe commisurato al valore reale delle proprie prestazioni nel campo della produzione economica. Infatti il lavoratore, non più ricattabile dal bisogno assoluto di lavorare, potrebbe contrattare il proprio compenso col datore di lavoro o coi collaboratori, interessati alla sua prestazione, su un piano di parità.

Fine della speculazione finanziaria.

La tassazione monetaria limiterebbe fortemente la possibilità di vivere di rendita. I valori monetari posseduti da persone inattive sarebbero gradualmente redistribuiti col prelievo fiscale verso la circolazione generale dell'economia reale. I capitali potrebbero dare un utile solo se investiti in attività produttive effettivamente richieste dai bisogni dei consumatori.

 

Si potrebbero illustrare altre conseguenze positive di tale proposta, ma queste sono già più che sufficienti per un primo approccio. Eventuali dubbi e perplessità potranno essere affrontati in un secondo tempo insieme a quanti siano interessati ad approfondire la questione.

 

18 novembre 2011

Per contatti: stefano.freddo@tiscali.it

29 aprile 2013

Costruiamo l'alternativa al governo Berlusconi

Giorgio Cremaschi-www.micromega.net
13 marzo 2014

Quello che non c'è

Francesco Baicchi
30 aprile 2013

La coerenza

Francesco Baicchi