Piove…

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 07/11/2011
In questo momento sembra che l’acqua cada su tutto e che le alluvioni siano di casa in questo paese: fisiche e politiche. C’è da scegliere.

In questi giorni assistiamo alla tragedia della Liguria, all’inondazione delle Cinque terre e di Genova. Abbiamo visto tutti quelle immagini angoscianti registrate dai cittadini sui balconi, che mostrano le strade diventate torrenti tumultuosi e le persone trascinate via dalla corrente, insieme ad automobili, cassonetti e rifiuti di ogni genere. Abbiamo visto il fango che entrava nelle case, nei negozi, nei campi e distruggeva ogni cosa, coprendo e cancellando le colture, abbattendo alberi e ponti. Abbiamo visto il dolore di tanti poveri cittadini, uomini e donne, che piangevano disperati sulle immense perdite economiche subite, ma anche sui ricordi di una vita cancellati.

E tuttavia non è la prima volta che vediamo queste scene nel nostro paese: internet è pieno di foto e filmati di queste periodiche sciagure, a cui pare nessuno possa mettere fine e rimedio, ma una immagine mi ha colpito particolarmente: è una foto del settembre scorso di Savona allagata, confrontata con un’altra del 1970, presa dallo stesso punto di vista, eppure è identica.

Genova differenze 02

Ed è proprio questo che fa riflettere: come mai in 41 anni nessuno è riuscito a cambiare qualcosa? Come mai e per che cosa è stata creata la Protezione Civile? Perché qualcuno la usasse per scopi molto diversi dalla tutela del territorio?

“Con le tecnologie attuali, le conoscenze meteorologiche, la casistica sul territorio, c’è il modo di elaborare sistemi attendibili per monitorare, prevedere e prevenire i disastri naturali? Un sistema, cioè che sia in grado di valutare gli scenari di rischio e la loro possibile evoluzione, prima che questi si manifestino? “ questa è la domanda che si è fatta il giornalista Roberto Rossi. E le risposte che ci ha dato sono davvero sorprendenti!
Sembra infatti che La Protezione Civile questo sistema lo abbia. “ O, almeno, dice di averlo. Per poter capire di cosa si sta parlando bisogna fare un passo indietro. E tornare al settembre del 2007 quando la Regione Liguria, l’Università di Genova, la Provincia di Savona e il Dipartimento della Protezione Civile, guidato allora da Guido Bertolaso, inaugurano la Fondazione C.i.m.a. L’acronimo sta per Centro internazionale di monitoraggio ambientale. La Fondazione, viene spiegato, servirà a studiare «l’impatto del cambiamento climatico sul rischio idrogeologico e sugli incendi boschivi, diventerà un punto di riferimento nazionale e internazionale per lo studio e la ricerca scientifica nel campo dell’ingegneria e delle scienze ambientali, per la tutela della salute e della protezione civile».

Due milioni e duecentocinquantamila euro è il patrimonio di partenza, stanziato in parte dalla Protezione Civile e in parte dalla Regione Liguria. Un finanziamento negli anni rinnovato e ampliato. Tra i compiti di «C.i.m.a.» anche quello di procedere a uno studio, in collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana, proprio sulla prevenzione dei rischi naturali. Da questa collaborazione, qualche mese dopo, viene portato alla luce il sistema «Dewetra».
Ma che cos’è «Dewetra»? La sua scheda tecnica nel sito della Protezione Civile lo descrive così: «Un sistema integrato per il monitoraggio in tempo reale dei rischi naturali.... L’applicativo fornisce, informazioni ad alta risoluzione e continuamente aggiornate, consentendo all’utente di monitorare eventi meteorologici, costruire dettagliati scenari di rischio e valutare il potenziale impatto dei fenomeni sulle comunità e sulle infrastrutture». Dunque con il sistema, come si evince dalla spiegazione, si potrebbe capire la gravità di eventi atmosferici potenzialmente devastanti per l’ambiente e, di riflesso, per l’uomo. Il sistema è talmente avanzato che la Protezione Civile lo presenta in pompa magna anche al resto del mondo, al quale naturalmente tenterà di venderlo.”

Così scopriamo che la piattaforma Dwetra ha creato un sottoprodotto che studia proprio le alluvioni e che si chiama Op.e.ra, anche questo un acronimo della frase inglese «Operational Eo-based Ranfall-run off fore- cast». Tra le sue «quattro macro funzionalità», come si legge nel sito del Dipartimento adesso guidato da Franco Gabrielli, proprio «la previsione e il monitoraggio delle inondazioni», attraverso delle simulazioni. E per questo utilizza un sistema satellitare che si chiama

Cosmo-SkyMed. Il programma è stato pensato e finanziato dall’Agenzia spaziale italiana e dal ministero della Difesa (con quattro satelliti in orbita). Rappresenta, si legge nel sito, «il più grande investimento italiano nel settore dell’Osservazione della Terra... con particolare riferimento alla prevenzione, al monitoraggio e alla gestione dei rischi». Un occhio - costato alla comunità oltre un miliardo di euro - al quale nulla sfugge. E che una volta integrato con i software in mano alla Protezione Civile dovrebbe essere in grado di prevenire eventi come quelli di Genova.

E allora come mai non è servita a niente tutta questa attrezzatura sofisticata, tutti questi studi approfonditi, tutti questi soldi spesi? Come mai la Liguria è stata devastata dal maltempo e Genova è stata allagata? Come mai ci sono stati 6 morti perché nessuno ha allertato i cittadini?

A che è servita tutta questa strombazzata e costosa strumentazione? Quelle due foto, una in bianco e nero e l’altra a colori sono un emblematicvo monito visivo e fanno riflettere desolantemente sul fatto che in questo paese sembra non ci sia niente di affidabile e serio. Niente che funzioni davvero.

E chi si nasconde dietro la scusa che questo novembre sia eccezionalmente piovoso e con precipitazioni di straordinaria intensità, dunque imprevista e imprevedibile, evidentemente non ricorda che proprio il 4 novembre del 1966 ci fu una alluvione che rimane ancora, dopo 45 anni, l’ “alluvione” per antonomasia.: a Firenze l’Arno esondò sotto una pioggia di intensità spaventosa e l’acqua, il fango e la nafta sommersero strade, case, negozi, musei e chiese, distruggendo un patrimonio artistico inestimabile. Una tragedia epocale, che portò a fare confronti con l’eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei nel 79 dopo Cristo, o il grande incendio che distrusse la biblioteca di Alessandria, proprio per l’entità della perdita culturale e artistica.

Alluvione S. Trinità 03

Ricordo ancora perfettamente quelle immagini in bianco e nero, sfuocate e mosse, sullo schermo della nostra televisione e noi saltati in piedi con le mani sulla bocca e gli occhi, sgranati dall’orrore, che cominciavano a riempirsi di lacrime. Mio padre che aveva fatto l’Università a Firenze e aveva abitato sul lungarno Guicciardini, si era coperto gli occhi con le mani a vedere i luoghi tanto amati, ormai irriconoscibili.

A Firenze due anni dopo ancora si vedeva sui muri delle case, a molti metri d’altezza, la linea nera del petrolio che, galleggiando sul pelo dell’acqua, aveva segnato il livello a cui era arrivata. Tutta la città sembrava un cantiere: le statue sporche venivano ripulite e restaurate e c’erano ancora strade dissestate e botteghe vuote e distrutte. La rovina era ovunque e stringeva il cuore, ma in quella desolazione entrare a Santa Croce e vedere il Cristo del Cimabue già restaurato fu per me un momento di emozione molto forte, indimenticabile, perché emblematico di una possibile resurrezione.

Perché ricordo tutto questo? Perché purtroppo non appartiene solo al passato: Firenze non è al sicuro nemmeno oggi. Perché non tutte le opere che si dovevano fare sono state fatte. Allora fu fatto il minimo indispensabile: addirittura il governo si mosse soltanto sei giorni dopo la catastrofe. E si limitò a dare solo 500mila lire ai negozanti, che noi tutti stiamo continuando a pagare nelle accise delle tasse sulla benzina*.

Così ricorda almeno il libro “L’alluvione di Firenze 1966”. Nel frattempo erano stati gli stessi abitanti di Firenze e dei centri vicini a muoversi per primi, l’esercito e poi i giovani, gli “angeli del fango” come furono chiamati, che arrivati da ogni parte del mondo a dare una mano volontariamente, si diedero da fare a spalare quel fango colloso e unto e a salvare libri ed opere d’arte, scrivendo, in quella immensa tragedia, una pagina bella e toccante di solidarietà senza frontiere.

Ponte Vecchio 04

E mentre noi sfogliamo l’album dei ricordi di tutte queste tragedie ecologiche, continua a piovere. “Piove, governo ladro!” si usa dire. Che io sappia è un modo di dire solo italiano: ci sarà un perché!

E visto che parliamo del governo: è sotto i nostri occhi un altro tipo di pioggia che porterà a una alluvione: l’acqua sale sulla nave del cavaliere e la gente scappa via (e a questo proposito c’è anche un altro modo di dire”quando la nave affonda i topi scappano” e anche questo ha un suo perché). Quello che lascia davvero basiti sono le persone che sono scese dalla nave del cavaliere: tutta gente che proclamava la propria fedeltà e la esibiva con vanto, come una medaglia al merito.

E Berlkusconi? Non sembra accorgersi della gravità della situazione.

Ieri il Financial Times è uscito con un editoriale dedicato a Berlusconi dal titolo melodrammatico: “In nome di Dio e dell’Italia se ne vada!” Figuriamoci! Quel signore non conosce il cavaliere: come se bastasse un appello accorato! Tanto è vero che il cavaliere lo ha ignorato e ha detto che non se ne andrà mai "Deludo i nostalgici della prima Repubblica, non me ne vado. Continuo la battaglia". Ma di che caspita di battaglia parla? Della sua contro i giudici? O della sua contro tutto e tutti, anche il buonsenso? Non lo sappiamo. L’unica cosa indubbia è che, in ogni caso, non è certo una battaglia per il bene del nostro paese.

E intanto continua a piovere, piove che Dio la manda, piove sulla protezione civile, piove sulla nostra ignavia, piove sui nostri disastri ecogeologici, piove sulle speculazioni edilizie, piove sui condoni delle costruzioni abusive, piove sugli appalti truffaldini, piove sul familismo amorale, piove sulla corruzione, piove sulle tangenti e sulle varie mafie, piove sulle nostre mani ignude, sui nostri vestimenti leggeri, su la favola bella che ieri ci illuse e che oggi vi illude, cari ragazzi.

 

Barbara Fois

 

Noi alluvioni 05

*Da Wikipedia:

Nel territorio italiano, sull'acquisto dei carburanti gravano un insieme di accise, istituite nel corso degli anni allo scopo di finanziare diverse emergenze. Alcune di esse, però, risultano talmente anacronistiche (la meno recente prevede tuttora il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935) da suscitare non poche polemiche al riguardo.

L'elenco completo comprende le seguenti accise:

  • 1,90 lire per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935;

  • 14 lire per il finanziamento della crisi di Suez del 1956;

  • 10 lire per il finanziamento del disastro del Vajont del 1963;

  • 10 lire per il finanziamento dell'alluvione di Firenze del 1966;

  • 10 lire per il finanziamento del terremoto del Belice del 1968;

  • 99 lire per il finanziamento del terremoto del Friuli del 1976;

  • 75 lire per il finanziamento del terremoto dell'Irpinia del 1980;

  • 205 lire per il finanziamento della guerra del Libano del 1983;

  • 22 lire per il finanziamento della missione UNMIBH in Bosnia Erzegovina del 1996;

  • 0,020 Euro per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004;

  • 0,0073 Euro in attuazione del Decreto Legge 34/11 per il finanziamento della manutenzione e la conservazione dei beni culturali, di enti ed istituzioni culturali.

  • 0,040 Euro per far fronte all'emergenza immigrati dovuta alla crisi libica del 2011, ai sensi della Legge 225/92.

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