Premettiamo
la condanna di fronte a qualsiasi atto di violenza. Evitiamo anche di
criminalizzare la fantasia satirica scatenatasi sul web il giorno
dell’aggressione al presidente del Consiglio, dato che si tratta di
un atteggiamento forse cinico, ma del tutto normale ed innocuo nei
confronti di un uomo potente e un po’ spaccone, nel momento in cui
viene a trovarsi in una situazione di debolezza.
È una reazione
naturale, quasi come quella che si ha di fronte all’attore comico
quando cade o sbatte il grugno da qualche parte. Si può discutere se
sia di buono o di cattivo gusto, ma non è possibile accettare che
ciò diventi il segnale di un clima d’odio unilaterale da fermare
con strette legislative sulla libertà di stampa ed espressione.
Censurare il web e criminalizzarlo, usando come pretesto quanto
accaduto al premier, è un’idea malsana che ha il nauseante olezzo
di un autoritarismo populista che, nell’ultimo anno e mezzo, ha
cercato e trovato spazi nuovi e più marcati nella vita degli
italiani. Il governo nazionale, con in testa il ministro Maroni, ha
rotto gli indugi e ha deciso di proporre al Parlamento un disegno di
legge (in una prima fase si voleva fare per decreto) che contenga
norme più severe nei confronti del web e, in particolare, dei social
forum.
Non bastava l’emendamento D’Alia, adesso dalle alte sfere
del comando si vuole sferrare l’attacco decisivo. Non lo si è
fatto quando si è scoperta l’esistenza del sito del Ku Klux Klan
italiano. Non lo si fa dinnanzi a gruppi a sostegno della mafia e dei
suoi boss e ricchi di offese indicibili alla memoria di Falcone e
Borsellino, o ancora gruppi che inneggiano all’Olocausto, all’odio
razziale, alla violenza xenofoba, ai pestaggi nei confronti dei
transessuali.
In questi casi, nessun intervento, nessuna proposta.
Nemmeno quando su facebook
ha fatto la sua apparizione uno squallido giochino razzista contro
gli immigrati “clandestini”, ideato e pubblicato dal “celebre”
figlio di Umberto Bossi. Eppure un giochino razzista e le comunità
virtuali di esaltati che incitano alla violenza contro ebrei,
immigrati e omosessuali dovrebbero creare maggior sdegno, maggiore
indignazione in un Paese democratico e civile rispetto alle trovate
goliardiche di chi, al di là del buono o cattivo gusto, in forte
dissenso con la politica e con i toni del premier, ha voluto
sbizzarrirsi, per una sera, con battute di scherno e fotomontaggi
satirici.
È bastato toccare Berlusconi per trovare un facile
pretesto per fermare la rete, vale a dire l’unico spazio di
informazione e comunicazione ancora dotato di libertà assoluta,
indipendentemente dall’uso corretto o scorretto che se ne fa.
L’aggressione di Milano, frutto del gesto isolato di uno
psicolabile, è diventata il pretesto per restringere questo spazio,
per progettare misure di controllo d’ispirazione cinese e che, tra
l’altro, sono di difficile applicazione su uno strumento forte e
vasto come la rete internet. Tutto si giustifica con la necessità di
porre un freno a questo clima d’odio che, secondo gran parte della
maggioranza governativa, sarebbe stato creato ad arte e fomentato da
una parte dell’opposizione, dalla stampa e dalla magistratura.
Tutti schierati contro Berlusconi, tutti pronti a colpirlo con ogni
mezzo. Le polemiche di questi mesi, particolarmente aspre, secondo il
centrodestra avrebbero armato la mente instabile e la mano di Massimo
Tartaglia, il lanciatore di statuette, trattenuto in carcere
nonostante esista il rischio (a detta dei legali e del padre) di un
suicidio. C’è stato chi ha provato a disegnare scenari allarmanti,
fantasticando su presunti complici di Tartaglia o addirittura
paragonando irresponsabilmente il gesto isolato di un folle ad
un’azione terroristica, rimembrando tempi bui della storia
italiana, lontani e attraversati da tensioni ideologiche peculiari,
profonde e irripetibili.
Si è parlato di odio costruito da chi dissente da Berlusconi, si è detto che c’è chi considera il premier non un avversario ma un nemico, c’è stato anche chi, come il fedelissimo Fabrizio Cicchitto e qualche giornale amico, ha gettato benzina sul fuoco, sputando veleno e odio, indicando addirittura i mandanti morali dell’aggressione al premier, facendo nomi e cognomi; i soliti, coloro che non si piegano alle voglie di consenso drogato di chi comanda.
Di Pietro, Santoro, Travaglio,
Scalfari e persino i magistrati antimafia Ingroia e Spataro sono
stati indicati come “colpevoli” al popolo innamorato del
Cavaliere, che al momento dell’accaduto voleva linciare Tartaglia e
che sul web ne chiedeva la decapitazione. Pericoloso messaggio
sottointeso: “Puniteli!”.
Una vergogna. La dimostrazione che il
clima pesante che regna in Italia non è il frutto di chi fa il
proprio mestiere, scrivendo e raccontando ciò che la realtà dei
fatti offre, o indagando su eventuali reati, oppure denunciando
politicamente lo sfascio istituzionale, politico e sociale a cui il
berlusconismo, grazie al controllo delle tv ed alla debolezza di una
parte dell’opposizione, sta riducendo l’Italia. C’è chi chiede
che i toni si abbassino, ma lo fa scaricando la responsabilità sugli
altri.
Questi “angeli bianchi” della politica, che vogliono
apparire puri e buoni, dimenticano l’arroganza, la volgarità, il
fastidio acre, la violenza dei toni usati da anni nei confronti di
chi legittimamente dissente da un uomo che ha asservito la politica
italiana ai propri affari privati.
Abbiamo sentito definire
“coglioni” gli elettori della sinistra, abbiamo sentito Brunetta
augurarsi la morte violenta degli oppositori, abbiamo ascoltato la
Lega minacciare di invadere con i “fucili” le piazze, abbiamo
ascoltato con sdegno Berlusconi parlare di un’opposizione che è
solo “miseria, odio e morte”. Colui che dovrebbe essere il
presidente del Consiglio di tutti gli italiani non fa altro che
rivolgersi solo a se stesso e a chi lo ama senza confini, offendendo
e cercando di delegittimare e distruggere tutti coloro che provano a
metterne in discussione atteggiamenti e azioni politiche, anche
all’interno del suo stesso schieramento.
Per far ciò si serve di
giornali e tv servili, che ad ogni ora e ogni giorno violentano i
principi dell’informazione libera, rendendosi cassa di risonanza
indisturbata delle volontà e delle idee del governo. Un’occupazione
coatta, ignobile, incivile che viene fatta passare in secondo piano,
nascosta dietro le invettive contro quei pochi mass media che non si
piegano al consenso bulgaro tanto agognato.
E se la magistratura
indaga su un uomo potente, sfuggito a molte condanne grazie a leggi
ad personam, con un passato che appare sempre più ambiguo, finito
dentro a vicende vitali della storia democratica italiana, oppure
indaga su qualche importante amico del Capo, scatta allora il
linciaggio mediatico di quei magistrati che si permettono di
rispettare il principio costituzionale secondo cui la legge è uguale
per tutti.
Berlusconi ha stravolto la storia politica italiana, l’ha
personalizzata, ha trasformato il normale confronto tra le parti in
un duello tra le persone. Egli ha rispolverato il culto di Cesare, la
supremazia dell’Imperatore, attorniandosi di tutta una serie di
legionari pronti a lavorare per lui e, nel contempo, ad adorarlo. Un
esercito che non ammette critiche e proteste, che opera
nell’interesse del proprio Dux,
un interesse che viene prima di ogni cosa. Non importa se c’è la
crisi o se la gente che sta perdendo tutto scende per strada, sale
sui tetti, occupa le fabbriche, chiede soluzioni per la collettività.
Niente, il Re è sordo, troppo impegnato a lucidare i propri denari e
a criminalizzare chiunque cerchi onestamente di liberare la verità
rimasta impigliata dietro le pareti impolverate del Palazzo.
L’Italia
che dissente cerca soltanto di difendere quelle garanzie e quegli
alti principi che, poco più di sessant’anni fa, uomini illuminati
e guidati da spirito di sacrificio e senso di giustizia sancirono in
una delle carte costituzionali più belle e moderne del mondo. Contro
il dissenso, negli ultimi anni, si è scelto di usare il disprezzo e
l’arroganza dei numeri. Spesso si è usata anche la forza.
In
questi anni, di attacchi vili, organizzati, sistematici e molto più
violenti di quello subito dal premier ce ne sono stati tanti ed in
ogni parte d’Italia. Squadracce di facinorosi sostenitori del
centro-destra hanno invaso il Paese colpendo tutti coloro che sono
lontani dall’idea di politica sposata da Berlusconi. Hanno seminato
violenza sentendosi protetti da un clima di impunità assicurato
dall’arroganza dei modi e dei numeri mostrata con orgoglio dai
propri riferimenti politici. Ma di questo non si parla. Si accusano
sempre gli oppositori, si criminalizzano i centri sociali, tacendo
sulla violenza dei metodi che, troppo spesso, anche le forze
dell’ordine adottano nei confronti di gente (vedi il caso
dell’Experia di Catania) che lavora per lo Stato, coprendo le falle
di un sistema di welfare carente e, a volte, persino inesistente.
Si
chiede la pacificazione, ma poi si impone come primario il punto di
vista della maggioranza. Una maggioranza che non dialogherà mai, in
quanto ha da portare a compimento il proprio disegno eversivo,
finalizzato a smaterializzare la Costituzione per sostituirla con il
“manuale Berlusconi”.
Se l’opposizione (anche interna)
acconsentirà acriticamente allora si potranno stemperare i toni,
altrimenti si andrà avanti così. Una condizione inaccettabile, in
un Paese attraversato da profonde lacerazioni del tessuto sociale.
Cosa accadrà se il Cavaliere proseguirà per la sua strada con gli
stessi toni, con l’identica tracotanza e spregiudicatezza? Di
Pietro lo dice da tempo: se non ci si accorge della disperazione
della gente si rischia di essere svegliati con modi violenti. Non
quelli estemporanei di uno psicolabile, ma quelli di una massa
organizzata.
Il problema è che il governo e, purtroppo, buona parte dell’opposizione non hanno né l’intenzione né il buon senso di ascoltarlo.