Unità vo cercando ch’è sì cara...

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 19/03/2011
Riflessioni sull’Unità nazionale, sul suo significato, sulle sue radici storiche e implicazioni politiche

Nel turbine di questi giorni ci siamo un po’ lasciati trascinare dalle emozioni, ma forse ora è il caso di fare insieme qualche riflessione e chiarirci un po’ le idee sull’Italia, sul significato e la consistenza dell’Unità nazionale. Troppi commenti e voci discordi abbiamo sentito in questi giorni, da storici, politici, esperti...

Da una parte abbiamo visto, condiviso e vissuto l’entusiasmo e l’emozione dei cittadini, che si sono coperti di coccarde, avvolti nelle bandiere, cantando mai stanchi mille volte “Fratelli d’Italia”, con foga e con commozione. Abbiamo ascoltato inviti all’Unità e qualche intervento un po’ retorico. Poi discorsi verbosi e inconcludenti sulla Questione meridionale e sul Federalismo, su cui l’unica cosa che appare chiara è che ognuno lo immagina come gli pare.

D’altra parte abbiamo subito le provocazioni e gli insulti della lega, che straparla di federalismo ma in realtà persegue il secessionismo, inventandosi una Padania che non è mai esistita.

Quello che stupisce è che nessuno ricordi mai che sono esistiti invece centinaia, migliaia di patrioti veneti e lombardi, che hanno combattuto e sono morti per diventare italiani e che hanno coinvolto e fatto combattere per loro anche piemontesi e sardi, a cui si erano rivolti per avere aiuto e sostegno contro l’Austria, in sanguinose battaglie.

A questo proposito nella mia memoria più remota, di bimba delle scuole elementari, c’è il ricordo del patriota milanese Amatore Sciesa, tappezziere - se la memoria non mi inganna – che, per strappargli il nome degli altri congiurati, fu fatto passare sotto le finestre di casa sua, con la moglie e i figli affacciati alla finestra. Se avesse parlato sarebbe stato libero e avrebbe potuto raggiungerli a casa, se no c’era il patibolo e lui – in perfetto meneghino – scelse coraggiosamente di andare avanti, con la famosa frase “tirémm innanz”. Mi chiedo che avrebbe detto se avesse saputo che un secolo emmezzo dopo ci sarebbe stato qualche lombardo che avrebbe minacciato di usare il tricolore come carta igienica!

E che direbbe oggi il tipografo comasco Luigi Dottesio, di cui mi resta il ricordo di una esecuzione orrorosa, per via di un boia pasticcione che non riuscì a ucciderlo subito e che poi a sua volta si impiccò: avrebbe affrontato tutto quel dolore e quella pena per degli ingrati?

Ma poi chi non ha studiato da piccino il 1848 e non conosce le 5 giornate di Milano? E i martiri di Belfiore (centro vicino a Mantova altrimenti sconosciuto) e Tito Speri e le dieci giornate di Brescia le abbiamo scordate? Ma questi leghisti sono mai andati a scuola? Ma che studi hanno fatto?? Si riempiono la bocca di un Alberto da Giussano che nemmeno si sa se sia esistito e comunque certamente non era nemmeno presente alla battaglia di Legnano e si dimenticano di questi eroi così vicino a noi? Una concezione storica da Alzheimer!

Unità Italia

Oltre tutto Bergamo poi, nel cuore della Padania, ha dato anche il più alto numero di partecipanti alla spedizione dei Mille, che le ha valso appunto il titolo di “Città dei Mille”, eppure la lega non solo ignora questo particolare, ma sulla faccia di Garibaldi - effigiata nel cartello all’ingresso della città - ha incollato quella di Bossi. Questa volta per fortuna il suo dito medio serve solo a reggere un sigaro: è già qualcosa.

Bergamo

Ma a proposito di Garibaldi, concedetemi una doverosa digressione: sull’Eroe dei due Mondi, infatti, i leghisti si sono accaniti in questi anni più e più volte ed è scandaloso che nessuno sia stato denunciato e non siano state comminate delle sanzioni esemplari. Ricordo i casi più gravi: l’8 novembre del 2007, nel bicentenario della nascita di Garibaldi, i leghisti escono con un manifesto che chiede che le statue di Garibaldi vengano tolte dalle piazze delle città della lega. Ed è il deputato leghista Andrea Gibelli a guidare la rivolta, dimentico che il suo congruo stipendio viene pagato da quei cretini di italiani che gli consentono di fare e dire queste cose.

Ultimamente, il 20 gennaio scorso, a Verona alla statua di Garibaldi è stato messo un sacco in testa, la bandiera della Serenissima al collo e hanno appeso un cartello con un testo da messaggino demente, che diceva “150=fandonie+magnarie” che vorrebbe dire – suppongo – “mangerie” nel loro dialetto. Dialetto e non lingua, come piacerebbe loro che fosse .

Statua con cavallo

L’ultima bravata risale – sempre a Verona – al 3 marzo scorso, quando fu messa al rogo l’immagine di Garibaldi con al collo un cartello che diceva “l’eroe degli immondi”. E tutti a minimizzare, a dire che è solo una bravata... non so voi, ma io mi sono proprio stufata di queste continue, miserabili scuse alle bestialità fatte e dette dai leghisti e pretendo da cittadino che si faccia una inchiesta, si trovino i cretini burloni e li si punisca come meritano.

La cosa è stata commentata così dalla nipote dell’Eroe, che si chiama (guarda un po’!) Anita Garibaldi: «Sinceramente mi sembrano anche un po' ridicoli. E ignoranti. I Garibaldi sono d'origine longobarda, i veneti li conosciamo bene. Ai signori che si disperano per l'annessione all'Italia mi viene da suggerire di andare a starsene per uno o due anni sotto l'Austria che rimpiangono tanto. Poi vediamo se non tornano indietro. In Tirolo mica li beccano i soldi che gli dà Roma. E che non vengano a dirmi che sono loro a mantenere il Sud. Senza i mercati del Meridione sarebbero in mutande». Se la diplomazia il suo bisnonno l’aveva lasciata ad altri, anche Anita è una che non cerca ghirigori per mandarle a dire. «Sono diatribe assolutamente stupide e, ripeto, assolutamente da ignoranti. Se c’era un federalista era Giuseppe Garibaldi. Basta leggere i suoi scritti, studiarne la storia. Lui sognava un’Italia federale, solidale, efficiente e trasparente nei rapporti tra l’apparato pubblico e i cittadini».

Garibaldi eroe degli immondi

E in linea con questo modo di fare e di pensare ( visto poi che si concede loro di fare quel che gli pare) l’ultimo affronto della Lega è stato quello di disertare il Parlamento, nel giorno della festa dell’Unità d’Italia, come – ripeto – prendessero i soldi dei loro stipendi dalla Padania e non dall’Italia, dopo aver giurato fedeltà alla Repubblica. Se l’opposizione fosse soltanto un po’ meno addormentata, invece di limitarsi a protestare intraprenderebbe azioni concrete, anche a livello legale.

Ma comunque la lega è solo una parte del grosso problema che affligge il paese e che ha un nome preciso: Silvio Berlusconi. E’ lui il nodo di tutto e il motivo per cui un pugno di zotici ottusi ed arroganti ha portato il suo ruspante olezzo sui seggi del Parlamento.

Ma di questo abbiamo già parlato a lungo. Il tema di oggi è se c’è l’Unità del Paese e in cosa consiste. E anche questo è un argomento spigoloso. Quando le bandiere tricolori finiranno di sventolare, infatti, torneranno a galla tutti i vecchi problemi: il sud contro il nord sarà certamente fra questi, grazie alla Lega, che pure in questa diatriba è l’ultima arrivata, perché con il suo razzismo stolto e ottuso è certamente colpevole di aver rinfocolato antichi rancori.

L’antipatia reciproca è tornata fuori e il sud rinnova le accuse al nord di averlo spogliato di tutto e di aver fatto passare per briganti dei patrioti che combattevano l’invasore piemontese. Vero? Falso? Mah... in questo genere di rivendicazioni le ragioni non sono mai da una sola parte. E’ vero che il banditismo nel sud Italia fu un fatto reale e non una lotta patriottica, ma è anche vero che la repressione piemontese fu indiscriminata e ugualmente bestiale e violenta. E’ vero che il sud era in generale più arretrato e povero del nord da un punto di vista industriale, sociale ed economico, ma è anche vero che la prima ferrovia fu fatta a Napoli e che i piemontesi la smontarono e si portarono via anche le rotaie, se è vero quanto asserisce Lorenzo Del Boca, nel suo durissimo libro “Maledetti Savoia”.

Ben altro scrive comunque e non solo sui Savoia! E nell’ultimo capitolo sostiene che «L’Unità d’Italia è stato uno slogan con cui la mitologia del Risorgimento ha giustificato un capitolo di storia del tricolore». E che a partire dal 1860, l’Italia non piemontese non è stata liberata, ma conquistata. Le regioni meridionali non sono state unite nell’unica Italia, ma annesse.

Insomma: l’Italia sarebbe solo un’invenzione della propaganda sabauda. Spesso l’abbiamo sentito ripetere in questi giorni.

E’ un punto di vista. Ma Dante, Petrarca, Machiavelli non erano piemontesi, non stavano dalla parte dei Savoia, eppure sognavano una Italia unita. E secoli prima del Risorgimento, del Romanticismo, della rivoluzione industriale e della ricerca di manodopera a basso costo.

Dante, a parte l’invettiva famosissima del canto VI del Purgatorio (Ahi serva Italia di dolore ostello... con quel che segue), addiritttura nel canto IX dell’Inferno delinea i confini dell’Italia, che sono più o meno quelli di oggi:

... Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
sì com'a Pola, presso del Carnaro
ch'Italia chiude e suoi termini bagna...

Come mai? Era forse un veggente? O vogliamo parlare di stucchevoli doni divinatori che avrebbero i poeti? Niente di tutto questo. L’Italia esisteva già da secoli, dall’89 avanti Cristo, da quando, con la lex Plautia Papiria la cittadinanza romana fu estesa anche alle altre popolazioni che vivevano nella penisola e che si erano coalizzate contro Roma, dando vita a una serie di guerre cosiddette “sociali”, visto che quelle popolazioni erano “socie” (foederatae) di Roma.

Del resto nella successiva età imperiale (e fino al 238 d.C.), quando il territorio dell’Impero fu diviso in Province, la Provincia Italica prendeva proprio tutto lo stivale, quasi come quella di oggi, ed era suddivisa in XI Regiones : Latium et Campania, Apulia et Calabria, Lucania et Bruttii, Samnium, Etruria, Picenum, Umbria, Aemilia, Venetia et Histria, Liguria, Transpadana. Con buona pace dei leghisti e della loro fantomatica Padania, visto che con Transpadana si intendeva il Piemonte. In realtà sono solo la Sicilia e la Sardegna a non far parte di questa provincia italica, essendo province a sé e addirittura dal III secolo a.C.

Italia Romana

 

Dopo la caduta dell’Impero romano (476 d.C) il territorio italico resta più o meno unito prima sotto i Bizantini e poi sotto i Goti (535-553) e si divide, o meglio si sfalda, solo con l’arrivo dei Longobardi (568).

Ma già con i successori di Carlo Magno e poi con gli Ottoni e fino al Mille esiste un Regno d’Italia, sia pure ridotto territorialmente. Quindi non è strano se poi Dante ed altri dopo di lui si rifanno a una comune idea di Italia, perché il ricordo di un comune passato era ancora ben vivo. E inoltre nel quotidiano vivere una sofferta e umiliante marginalità politica, si ricordava l’unità come una lontana e leggendaria età dell’oro. Si era ormai perso il ricordo dell’Impero romano, della sua potenza, della sua ricchezza e si era ridimensionato nell’unità del territorio della penisola.

Siamo stati divisi politicamente per molti secoli, ma la storia, la cultura, l’arte e la lingua facevano e fanno parte di una sorta di “zoccolo duro” che ci univa e ci unisce, al di là delle diverse organizzazioni statuali delle quali facevamo parte e delle odierne rivalità di campanile. E’ qualcosa che ci appartiene profondamente, che condividiamo e che ci lega come un DNA familiare.

Dunque la frase attribuita a D’Azeglio “Abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani” non solo non è vera ma è priva di fondamento. Il problema è infatti, a mio avviso, esattamente opposto: gli italiani ci sono, come ci sono sempre stati ( e lo si vede in occasioni come questa festa), ma è l’Italia che non c’è ancora, per l’inettitudine, l’ avidità, la pochezza, la miopia politica di chi volta a volta ci ha governato e che ci ha preferito divisi per schiacciarci e sfruttarci meglio, seguendo il cinico “Dìvide et ìmpera”. Poteva forse nascere dalla Resistenza, ma perfino il Partito Comunista di allora preferì non portare a termine la rivoluzione appena cominciata. Da allora è stato un lento inabissarsi nella palude collosa di una politica guidata da poteri forti e occulti: la CIA, la Massoneria, la Chiesa...

Né possiamo aspettarci che la costruisca l’attuale classe dirigente diffusamente corrotta e certamente inadeguata, asservita a interessi di parte e che la vuole divisa, imbelle, inconscia, per spolparla meglio e senza rischi.

L’Italia che vorremmo noi italiani consapevoli ancora non c’è, ma non siamo disposti a rassegnarci e continuiamo a sognarla e ad amarla, a ritrovarci sotto il tricolore nelle piazze, a commuoverci per il nostro inno e per questo sogno, per questa idea lungamente accarezzata e attesa e che tuttavia non riesce a prender forma. Forse questa festa, questo ritrovarci tutti in uno spasmodico bisogno di sentirci parte di un tutto e orgogliosi di esserlo ci ha aperto gli occhi e c’è da sperare che finalmente ci si renda conto che spetta a noi e solo a noi conquistarcela e costruircela la nostra Patria, con la guida della nostra Costituzione e cacciando via i parassiti e i corrotti che ci governano e che pensano solo a realizzare i propri interessi.

Fratelli d’Italia, ci siamo destati, finalmente?

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