Viva il popolo sovrano

di Daniela Gaudenzi - Liberacittadinanza - 27/04/2011
“La gente era contraria, fare il referendum adesso avrebbe significato eliminare per sempre la scelta del nucleare”

Così ha parlato nella conferenza stampa seguita al vertice Italo-francese a Villa Madama, rovinoso sotto ogni profilo per l’Italia, il presidente del Consiglio che a parole ha fatto della sovranità popolare e dell’investitura del popolo un idolo che, secondo le convenienze del momento, antepone a qualsiasi regola costituzionale, principio di legalità, bilanciamento dei poteri.

Il ragionamento è semplice, anzi elementare, Watson: il referendum va aggirato e il voto dei cittadini va mandato a quel paese, perché in questo momento non è opportuno, sarebbe “emotivo” dopo la sciagura terrificante di Fukushima, mentre “noi siamo assolutamente convinti che l’energia nucleare sia il futuro per tutto il mondo”.

Come sempre la sconcertante “sincerità” e la sfrontata “rozzezza” del nostro presidente del Consiglio fanno totalmente piazza pulita della disgustosa ipocrisia e dei contorcimenti penosi dei suoi ministri, dalla inconsistente Prestigiacomo al devotissimo Romani.

Berlusconi rivendica la decisione di mandare all’aria quello che non gli piace, e cioè un pronunciamento antinuclearista da parte degli italiani come è stato ampiamente confermato da qualsiasi sondaggio, soprattutto se il trucco gli consente di sabotare il referendum che non si deve fare, quello ovviamente, sul legittimo impedimento.

Notoriamente a rischio c’è anche il referendum sull’acqua con l’annunciato decreto del Governo, una manovra concentrica per isolare il referendum sul legittimo impedimento con l’assoluta e prioritaria determinazione di boicottarlo, non essendo evidentemente sufficientemente rassicurante una data balneare e lo scorporo dalle amministrative, scelta che, en passant, ci è venuta a costare oltre 300 milioni di euro.

Adesso naturalmente l’ultima parola sulla fine annunciata dei due referendum passa all’ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione che dovrà pronunciarsi sul fatto che i provvedimenti legislativi annunciati dal Governo assorbano e rendano dunque superati i quesiti referendari sulla privatizzazione dell’acqua e sul piano nucleare. Il percorso dei provvedimenti, peraltro, anche sotto il profilo dei tempi che devono includere la promulgazione e la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale a pochissimi giorni dalla consultazione, sembra tutt’altro che agevole e scontato.

Ma qualsiasi espediente, anche il più palesemente truffaldino e improvvisato merita di essere praticato per vanificare l’esercizio del voto popolare nella declinazione più indigesta alla casta politica in generale, ed in specie a questa maggioranza servile e mercenaria: e cioè quella della democrazia diretta.

Se l’istituto del referendum, avversato da sempre dalla partitocrazia, e obiettivamente indebolito da un uso a volte disinvolto da parte in particolare del partito radicale, deve essere sempre e comunque salvaguardato come espressione fondamentale ed insostituibile della democrazia partecipata, in questa circostanza è anche l’ultima possibilità per dire basta.

Questa volta, purtroppo, non si tratta solo di abrogare una legge, quella sul legittimo impedimento, palesemente anticostituzionale, già fortemente ridimensionata e in buona parte sminata dalla Corte Costituzionale, ma si tratta veramente di erigere una diga inattaccabile contro un’aggressione quotidiana e pericolosamente progressiva dei più elementari istituti e strumenti della democrazia e della civiltà giuridica.

Al di là della pericolosità oggettiva del provvedimento in oggetto, scavalcata e sorpassata ogni giorno da una miriade di disegni di legge ordinari e costituzionali ancora più devastanti ed iniqui, bisogna impegnarsi su ogni fronte per il raggiungimento del quorum, anche e soprattutto se dovremo pronunciarci solo sul legittimo impedimento.

La sconfessione diretta e popolare sulla sua pretesa all’impunità ex lege potrebbe veramente essere la nemesi politica più chiara e incontrovertibile per il presidente imputato che dà dei brigatisti ai suoi giudici, ma anche per un’accolita politica che da decenni chiama garantismo la lotta senza esclusione di colpi contro il controllo di legalità.

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