“Via l’art. 81 dalla Carta: sovrano è il Parlamento, non i mercati”

di Silvia Truzzi - Il Fatto Quotidiano - 12/10/2018
“La sovranità non appartiene alla finanza, ma neanche a un popolo astratto: la sovranità è solo costituzionale”

Cominciamo questa conversazione sul rapporto tra Europa e Stati, tra volontà dei popoli e diktat di mercati e commissari, dall’inizio. Cioè dal secondo comma del primo articolo della Costituzione (“la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla legge”). Partiamo dalla Carta anche perché parliamo con Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale alla Sapienza.

Professore, assistiamo a continue tirate d’orecchie, per di più preventive, su quello che possiamo o non possiamo fare. La sovranità a chi appartiene? Ai popoli o ai mercati?

Non certo ai mercati, ma neppure al popolo astrattamente e retoricamente inteso. Nel Novecento la sovranità è ‘sovranità costituzionale’. Quando si evoca genericamente il popolo non si fanno i conti con quanto prescritto dall’articolo 1, cioè che questi esercita la propria sovranità entro le forme e i limiti stabiliti dalla Costituzione: è questo il perimetro della sovranità.

E che succede se – come ora – i cittadini non sono disposti a farsi dire come votare dai mercati?

Anche in questo caso le decisioni politiche fondamentali spettano non a indeterminati cittadini, ma agli organi costituzionalmente competenti, in primo luogo al Parlamento, ovvero – quando la Costituzione lo prevede – alle decisioni assunte direttamente dal corpo elettorale. L’equivoco di fondo è che spesso si parla di sovranità e si pensa a quella del capo, che non è titolare di alcuna sovranità diretta; in Italia neppure il governo è eletto dal popolo. Quel che si dovrebbe recuperare non è un potere decisionale in ‘capo ai capi’, ma all’organo della rappresentanza popolare, al Parlamento appunto.

Ma è possibile che si possa dettar legge dall’esterno anche sulla riforma delle pensioni di uno Stato sovrano?

Il vero argine alle decisioni politiche dovrebbe essere la Costituzione. Argine a tutte quelle misure che non tenendo in considerazione i principi costituzionali finiscono per compromettere la salvaguardia di diritti fondamentali. Da questo punto di vista, la misura che più preoccupa è la flat tax, se essa dovesse essere concepita come un’unica aliquota al 15% come si è a lungo scritto, poiché andrebbe in conflitto con il principio della progressività fiscale.

Come siamo arrivati a questo conflitto con l’Europa?

C’è stato un tradimento dell’Europa politica. La formula dei ‘piccoli passi’ di Schuman (cominciamo dall’unione economica per arrivare all’Unione politica) si è rivelata sbagliata. Una scommessa persa a causa della sottovalutazione della forza del mercato che ha fagocitato tutto. Dal ’92 i parametri di Maastricht hanno dominato lo scenario europeo. E quando nel 2000 si è provato a reagire elaborando la Carta dei diritti dell’Unione europea, l’Europa ha finito per voltargli le spalle.

Qual è la morale?

Per rimanere in Europa si deve lottare per dare un primato dell’Europa dei diritti sull’Europa dei mercanti.

Si può rimanere in Europa tentando di preservare il diritto dei cittadini di esprimere, attraverso il voto, un indirizzo politico?

Sì, riaffermando la centralità degli organi della rappresentanza politica che oggi sono messi in un angolo. Penso al Parlamento italiano, emarginato da esecutivi sempre più invadenti; penso anche al Parlamento europeo, che con Lisbona nel 2009 si è cercato di rafforzare, ma che poi si è visto espropriare dalle decisioni assunte dagli Stati membri i quali indirizzano di fatto le politiche europee.

In Grecia c’è stato un referendum nel 2015, il cui esito è stato completamente sconfessato.

Sulle ragioni dei diritti fondamentali dei greci è prevalsa la visione europea di salvaguardia degli equilibri di un’economia senza diritti. È il punto più basso dell’Europa dei popoli. Non avremo mai un’Europa credibile se questa non riuscirà ad andare oltre alle ragioni di bilancio e farsi carico dei diritti indisponibili delle persone che devono essere comunque tutelati.

Però su tutto, sugli zero virgola e non solo, ha più voce in capitolo la Commissione europea che lo Stato italiano.

Non c’è dubbio. Oggi l’Europa pretende di dettar legge attraverso i vincoli economici. Io credo che dovrebbero essere rivalutati dei contro-limiti costituzionali per salvaguardare i diritti. Sono contro-limiti individuati dalle Corti costituzionali di alcuni Paesi e ormai implicitamente ammessi anche dalla Corte di giustizia. In ogni caso, è chiaro che c’è ancora molta strada da fare. Ma ciò che più preoccupa credo non sia neppure tanto il conflitto in sé, quanto le ragioni di esso.

Cioè?

Si scatena il conflitto solo per far prevalere gli interessi egoistici degli Stati. È sintomatico che l’enfasi maggiore riguardi la questione del debito, mentre le politiche sociali o le stesse politiche migratorie, vengono ridotte a questioni di ordine pubblico interno. Ciò che appare veramente inammissibile è l’assenza di una politica comune e solidale in tema di migrazioni.

L’articolo 81 della Costituzione, diceva il professor Rodotà, è stato un grande sbaglio perché mette il principio del pareggio di bilancio in concorrenza con i diritti fondamentali (salute, istruzione, retribuzione dignitosa).

Verissimo. L’articolo 81 è una serpe in seno alla Costituzione. Se introduci certe norme nella tua Carta fondamentale è difficile andare poi in Europa a protestare per il rigore preteso dalla Commissione. Nel 2012 è stato introdotto all’unanimità e con grande entusiasmo il vincolo di bilancio, subito dopo s’è pretesa maggiore flessibilità. Comportamento anomalo che dovrebbe far riflettere.

Forse si dovrebbe partire da qui, eliminando l’articolo 81?

Sarebbe un bel segnale per far ripartire un’Europa dei diritti e non solo dei mercati.