L’ingente debito pubblico di Parma chi l’ha pagato? NOI

di Commissione Audit sul debito pubblico di Parma - 10/06/2022
Dobbiamo pretendere l’accertamento della composizione del debito (della sua parte illegittima in quanto frutto di speculazioni, corruzione, truffe, etc.), l’individuazione di coloro che ne siano i responsabili

L’ammontare del Debito Complessivo Consolidato del gruppo Comune-Società partecipate di Parma nel 2012 era di € 874.533.266 e aveva dei precisi responsabili: le due giunte Ubaldi e la giunta Vignali. Larga parte di questo debito era illegittimo: fondato sull’intreccio tra amministratori, banche e imprenditori, è stato il prodotto di sprechi, speculazioni finanziarie ed immobiliari, privilegi e clientele, uso delle risorse pubbliche per favorire interessi di potenti lobby, strette intorno a un vasto, organico piano politico-affaristico, costruito nel corso di 14 anni di governo.

Nel novembre 2011, dopo la caduta di Vignali, il Commissario prefettizio Ciclosi varò un Piano per il risanamento dei conti pubblici che prevedeva l’applicazione dell’aliquota massima di IMU e dell’addizionale IRPEF, attraverso cui ogni anno sarebbero entrati nelle casse del Comune 137 milioni di euro.

Questo pesantissimo retaggio fu riversato sulla nuova Amministrazione comunale, che si trovò costretta a far fronte all’ingente debito prodotto, occultato dentro le società partecipate, fuori bilancio, fuori controllo pubblico. Disattendendo l’impegno preso da Pizzarotti in campagna elettorale (“Non pagheremo il debito illegittimo!”), non volle aprire un’indagine capace di restituire l’intreccio degli interessi e delle responsabilità coinvolti.

Il Consiglio comunale, con delibera del 30 ottobre 2012, abbracciò la tesi secondo cui “i cittadini dovranno farsi carico del debito”, e ne vennero trovati i modi: più imposte, in particolare la triplicazione delle aliquote IMU e IRPEF, con un incremento di ben 72 milioni rispetto alla vecchia ICI, minori costi dei servizi, attraverso esternalizzazioni, aumenti delle rette, bassa retribuzione del personale, contrazione della spesa pubblica. Insomma, il 90,5% delle risorse destinate a ripianare il debito doveva provenire dal solo aggravio delle tasse a carico dei cittadini.

Nei 10 anni di amministrazione Pizzarotti le aliquote comunali IRPEF sono rimaste fissate al massimo e tali si sono mantenute. Solo i percettori di redditi inferiori ai 10.000 euro – molto recentemente ai 12.000 euro – ne sono stati esentati.

In quattro anni, dal 2012 al 2015, il Comune di Parma ha incassato dai cittadini con tasse e imposte a vario titolo la somma di € 597.591.550; nel corso del secondo mandato ha incassato 500 milioni di euro: 120 milioni nel 2017, 150 milioni nel 2018, 180 milioni nel 2019, 200 milioni nel 2020, 130 milioni nel 2021 (per effetto di riduzioni e/o sospensioni di introiti fiscali – IMU e TARI, in particolare – a favore di imprese e attività commerciali a séguito della pandemia, su disposizione del governo). Per l’addizionale IRPEF è previsto nel 2022 un introito di 2,27 milioni di euro in più.

Nel 2014 ogni cittadino ha versato ben 941 euro di tasse, la leva fiscale più alta in assoluto di tutti i Comuni dell’Emilia-Romagna fra i 50.000 e i 200.000 abitanti e ben al di sopra della media nazionale – 650 euro pro capite (fonte: Open Bilanci).

La Giunta Pizzarotti si vanta oggi di aver abbattuto il debito del gruppo Comune-Società partecipate di Parma, che ammonterebbe a 286,565 milioni. Cosa c’è di vero in queste dichiarazioni trionfalistiche?

  1. Sono stati ridotti in larga parte i debiti del Comune (che ne costituivano la parte più piccola) non per suo merito, ma per effetto di disposizioni di legge (allentamento e poi sospensione dei vincoli del Patto di stabilità).
  2. La parte rilevante del debito, pari a 607.839.879 euro, che fu trasferita da Ubaldi-Vignali sulle Società partecipate, è stata ridotta per circa 200 milioni nel corso della prima legislatura Pizzarotti, ancora una volta non per suo merito, ma per effetto della decisione del Tribunale di Parma di dichiarare il fallimento di SPIP (che ha fatto venire meno un debito di oltre 110 mln) e della cessione della quota detenuta dal Comune in STU Pasubio, di un’ottantina di milioni. È interessante richiamare che sebbene la Magistratura avesse aperto un’inchiesta su SPIP per bancarotta fraudolenta, la giunta Pizzarotti tentò in tutti i modi di costruire un piano concordatario coi creditori che prevedeva l’erogazione di finanziamenti pubblici a fondo perduto nel tentativo di salvare “il ceto bancario”, penalizzato dall’insolvenza di SPIP e dalla svalorizzazione dei terreni ipotecati, il cui valore risultò dimezzato rispetto a quello attribuito in sede di erogazione dei mutui stessi.
  3. Per la quota residua di debito delle Società partecipate, al termine del primo mandato: il debito bancario delle Società partecipate era aumentato di 12.751.000 euro; il patrimonio netto delle partecipate aveva subìto una perdita di quasi 14.900.000 euro; le Società partecipate per le troppo elevate esposizioni bancarie, e spesso per le assenze di ricavi operativi correnti, hanno ricevuto continui supporti finanziari da parte del Comune.
  4. La giunta Pizzarotti non ha aperto alcuna vertenza con le banche per ridurne le ingiustificate pretese, quantomeno alla luce del fatto che nei decenni precedenti esse avevano sguazzato nella melma prodotta dalle giunte di Ubaldi e Vignali (al 31 dicembre 2011, degli 874 milioni di debito complessivo 462 erano verso le banche e 384 verso i cosiddetti “fornitori”, cioè in larga parte le imprese di costruzione).

L’amministrazione Pizzarotti invece ha perseguito il ripianamento del debito di STT Holding SpA attraverso un piano di ristrutturazione del debito, ex art. 182 bis della Legge finanziaria, con gli istituti di credito. Tale piano era fondato su due direttrici, non certo penalizzanti per le banche:

  1. a) cessione di patrimonio immobiliare;
  2. b) vendita di una consistente quota di azioni IREN. Dei 52,2 milioni di azioni di STT Holding SpA ben 40 milioni sono stati conferiti in garanzia alle banche, perdendo oltre il 4% del suo pacchetto azionario e con ciò facendo perdere la maggioranza pubblica del pacchetto azionario e saltare la norma statutaria che prevedeva il mantenimento del 51% delle azioni del gruppo IREN in mano a soggetti pubblici.

Con questo piano concordato, per pubblica ammissione dell’amministratore delegato di STT Holding SpA le banche «non ci hanno rimesso quasi nulla».

Dobbiamo rifiutare la logica secondo cui il debito pubblico, contratto all’insaputa dei cittadini e in contrasto col preminente interesse pubblico, debba ricadere sulla collettività. Dobbiamo pretendere l’accertamento della composizione del debito (della sua parte illegittima in quanto frutto di speculazioni, corruzione, truffe, etc.), l’individuazione di coloro che ne siano i responsabili, ma soprattutto smascherare quanto sia stato ingiustamente scaricato sui cittadini attraverso tasse, tariffe comunali altissime, privatizzazioni, tagli di servizi. Diciamo No alla trappola del debito: se il debito è pubblico, tutti dobbiamo poter decidere!

Questo articolo parla di:

14 marzo 2024

Bellissime

Massimo Marnetto
14 marzo 2024
6 aprile 2024
archiviato sotto: