C’è voluto un anno e mezzo di orrore, stragi, massacri, violenze, progetti scientificamente eseguiti di eliminazione di un intero popolo, prima che il mondo, o meglio la comunità politica internazionale, si accorgesse di Gaza, iniziasse a borbottare qualcosa. Quasi un anno e mezzo, da quel 7 ottobre 2023, usato per mesi da Israele e dai suoi alleati politici e culturali come lasciapassare per qualsiasi crimine contro l’umanità. Non di guerra, come qualcuno dice, perché quella di Israele non è una guerra contro un esercito o uno Stato sovrano, ma una rappresaglia di tipo nazista contro dei civili, che hanno la sola colpa di appartenere alla stessa etnia dei membri di un’organizzazione terroristica (Hamas). Un anno e mezzo di silenzio assoluto da parte dell’Europa, di tentativi timidi e maldestri della precedente amministrazione USA, di incoraggiamenti e complicità da parte di quella nuova, a guida Trump.
Qualcuno ha iniziato a chiedere al presidente israeliano, Benjamin Netanyahu, di fermarsi, soltanto negli ultimi due mesi, dopo le bombe e i proiettili sugli ospedali e sulle ambulanze, dopo le immagini della fame del popolo palestinese, ingabbiato, con aiuti che non arrivano e quando arrivano diventano occasione per trasformare gli affamati in bersagli. Ci sono voluti 18 mesi e oltre 60mila morti per fare in modo che ci si interessasse di Gaza. È bastato un solo giorno, invece, per dimenticare tutto. È bastato che il governo israeliano decidesse di aprire un altro fronte, di aumentare la tensione per portare il mondo verso una guerra sempre più globale. L’attacco all’Iran, con le bombe su un sito nucleare e l’uccisione di diversi scienziati, è la seconda parte del progetto criminale di Netanyahu, sempre più deciso a espandere il potere di Israele in Medio Oriente, a liberarsi dei suoi potenziali nemici, a eliminarli senza nemmeno curarsi dei “danni collaterali”. Tutto questo con il placet e il sostegno concreto degli Stati Uniti, al di là delle menzogne pronunciate da Trump sul “non coinvolgimento” del governo a stelle e strisce.
Naturalmente, ogni azione criminale ha bisogno di una motivazione di facciata, come è sempre avvenuto nella storia dell’uomo, sia che si trattasse dell’iniziativa di un dittatore, sia che si trattasse di un’operazione condotta da Stati formalmente democratici. Per giustificare l’orrore compiuto a Gaza, è stato usato l’atroce attentato compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023, un evento drammatico che è diventato di colpo la scusa per legittimare tutto, per arginare qualsiasi regola che anche un’azione militare è tenuta a rispettare. Ma il 7 ottobre è diventato anche una spugna utile a cancellare il passato e gli anni di violenza di Israele, dei suoi governi, del suo feroce esercito, dei suoi coloni nei confronti del popolo palestinese. Le vessazioni, la privazione di beni essenziali, gli stupri, le esecuzioni di innocenti, l’operazione “Piombo fuso”, le bombe al fosforo: tutto cancellato, tutto scomparso dalla narrazione politica e mainstream. Solo le scuse sono sempre le stesse. Anche dopo i 22 giorni dell’operazione “Piombo fuso”, infatti, il governo israeliano si difendeva dalle accuse di crimini di guerra accampando il diritto all’autodifesa.
Ad ogni modo, ormai è tutto cancellato, adesso lo sguardo al passato arriva fino al 7 ottobre 2023. E poco importa se quell’orribile attentato terroristico non riesce comunque a spiegare i 60mila morti, gli orrori, i bambini spezzati o affamati, le immagini e i fatti che mostrano come il progetto autentico di Netanyahu, ossia spazzare via Gaza, cacciare i palestinesi e realizzare il sogno che Israele vada dal fiume al mare, abbia preso funestamente forma, anzi sia quasi del tutto compiuto. Poco importa se avviene tutto ciò, perché a Israele è tutto concesso. In nome della storia drammatica del suo popolo. E guai a dire o sottolineare che sia proprio il governo del Paese al quale quel popolo guarda come un faro a compiere un simile orrore, a perpetrare le stesse spietate e disumane logiche nei confronti di altri. Non è ammesso. Non è accettato.
Così, criticare il governo israeliano significa subito essere antisemiti, sventolare una bandiera palestinese significa essere pro Hamas, filo terroristi, parlare di genocidio significa voler offendere volutamente il popolo ebraico e non invece riconoscere che esiste un progetto chiaro e dimostrato di eliminazione dei civili palestinesi, attraverso le bombe, la negazione delle cure e dei beni di prima necessità. Insomma, la propaganda di Israele, che trova tanti amplificatori nei suoi alleati americani ed europei cerca di trasformare la menzogna in realtà. La stessa cosa che avviene adesso con l’Iran, Stato sovrano e con un proprio programma nucleare. La scusa è abbastanza banale: va fermato perché potrebbe colpire Israele con un attacco atomico. Una grande bugia, evidente, che somiglia a quella americana sulle testate nucleari che sarebbero state in possesso dell’Iraq di Saddam Hussein e che ne giustificarono l’aggressione militare e la disintegrazione del Paese. Un Paese che era laico e che la guerra voluta dagli USA trasformò in un focolaio fondamentalista, con l’ISIS a farla da padrone.
Bugie enormi come quelle sulla lunga caccia ai capi e ai miliziani di Hamas, alle quali il mondo crede, malgrado Israele abbia dimostrato che il Mossad è capace di stanare ed eliminare chiunque e in qualsiasi momento, che si trovi in una stanza di hotel o in un mercato rionale o in un sito nucleare. E menzogna è anche l’ultima di Netanyahu, che si mostra interessato alla necessità di abbattere il regime iraniano, cercando così di fare leva sul popolo, sui dissidenti, su chi da quel regime viene schiacciato da anni, nel silenzio del mondo. Peccato però che l’assalto israeliano all’Iran, che naturalmente ha reagito, non faccia danni a quel regime ma solo alla popolazione civile, intrappolata nei quartieri e nelle città, sottoposta alle bombe, alla violenza, costretta ad aggiungere l’orrore della guerra alla disuguaglianza profonda della società iraniana.
Non è certo così che si abbatte un regime e non è certo quella la ragione che muove Israele (e gli USA, che da sempre hanno l’Iran nel mirino). Il governo Netanhayu sta trascinando il mondo in guerra, sta allargando il conflitto dentro un’epoca già piena di tensioni e sull’orlo dell’esplosione. Un’epoca nella quale non esistono leader capaci di diplomazia e di visioni e lungo termine, né blocchi di Paesi capaci di giocare una funzione di riequilibratori (al momento l’unica “speranza” è rappresentata dalla Cina). In tutto questo, però, Netanyahu ha già ottenuto qualcosa di importante: il mondo ha smesso di parlare di Gaza. Che agonizza lentamente, osservando la morte che allunga la sua ombra dal cielo e tra le macerie, tra sangue, fame e sete. Nel silenzio di un’Europa che, adesso, in parte ha già scelto di schierarsi con Israele e contro la (provocata) risposta militare dell’Iran. Un controsenso, uno dei tanti che la storia sta imboccando, mettendo a rischio i suoi passeggeri. Vale a dire tutti noi.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org