A breve si vedranno manifestazioni e movimenti internazionali anche di piazza per ripudiare le guerre nel mondo e il genocidio a Gaza e per fermare il riarmo in Europa. Come attivista impegnato su più fronti per la pace e i diritti umani puoi e vuoi commentare queste forti prese di posizione delle società civili di fronte all'orrore dei regimi dittatoriali e totalitari che si manifestano in tutta la loro criminalità?
Siamo davanti ad una sempre più preoccupante situazione internazionale, dove continua la devastante guerra in Ucraina, il genocidio della popolazione palestinese a Gaza, il massacro nascosto del Sudan e dell’Africa centrale, fino agli attacchi israeliani all’Iran, che avvicinano ulteriormente il rischio di una guerra nucleare. Non possiamo chiudere gli occhi: le guerre, oltre ad essere un’inutile carneficina, portano all’instaurarsi di governi totalitari ed all’annullamento delle libertà democratiche, all’impoverimento della popolazione e solo all’arricchimento sfrenato delle industrie belliche e delle élite.
Il riarmo europeo rientra nella criminalità assassina globale di una nuova corsa agli armamenti. Ma di quale riarmo si parla?
In realtà, i paesi europei non sono mai stati disarmati, anzi già da anni le loro spese militari, sommate insieme, risultavano seconde solo alla macchina da guerra del Pentagono. Si parla di incrementare una spesa già molto rilevante che, in un’epoca di cambiamenti climatici e catastrofi ambientali, meriterebbe ben altro utilizzo.
Che responsabilità ha in questa corsa al riarmo globale il sistema che sembra inarrestabile e intaccabile delle cosiddette banche armate che noi invece vogliamo disarticolare dal basso?
Solo una forte spinta verso il disarmo potrà evitare all’umanità di cacciarsi nel vicolo cieco di una nuova guerra mondiale. Le guerre sono alimentate dall’industria delle armi, che utilizza le banche per le proprie transazioni economico-finanziarie. Ma se per i normali cittadini è assai difficile raggiungere direttamente i fabbricanti, potrebbero tentare almeno di arrivare alle banche.
Quindi da tutta questa barbarie si prospetta un sussulto di dignità e di riscatto pacifista e disarmista con una importante campagna nonviolenta. Puoi parlarne?
Da qui nasce l’idea di rilanciare la CAMPAGNA DI PRESSIONE ALLE BANCHE ARMATE. Ogni persona ha a che fare con le banche, non fosse altro perché i pagamenti di pensioni, stipendi, compensi nel settore pubblico e, in parte, anche in quello privato, passano obbligatoriamente attraverso gli istituti di credito. Ma poiché ad una banca ci dobbiamo forzatamente affidare, vogliamo almeno che la banca sulla quale riceviamo lo stipendio o la pensione, col cui bancomat facciamo la spesa, non abbia fra i suoi clienti e non faccia operazioni con produttori o mercanti di armi.
Come state agendo a livello locale nella vostra già martoriata isola sottomessa dalle servitù militari imposte dai poteri forti come Nato e Stati Uniti?
Il Comitato Sardo Campagna Banche Armate, dopo un attento studio, coadiuvato anche dai massimi esperti in materia, ha avviato un’interlocuzione con tre banche, due rilevanti nell’ambito dell’isola, il Banco di Sardegna-BPER e Poste Italiane, la terza, Banca Valsabbina, nel bresciano, la banca cui si è affidata l’industria bellica RWM per le sue operazioni sul mercato.
Da Banca Valsabbina, nessuna risposta in quasi due mesi, nonostante un sollecito: il che la dice lunga sul suo reale interesse di interloquire con la società civile. Con Poste Italiane l’interlocuzione sta andando avanti, mentre con il Banco di Sardegna- BPER la comunicazione finora è stata piuttosto fredda, reticente e poco collaborativa.
Per questo avete dato risalto pubblico alla Campagna, con un sit-in conferenza stampa davanti alla sede del Banco di Sardegna a Cagliari lo scorso 11 giugno. Giusto?
Certo. Una mobilitazione che ha visto la presenza di oltre cinquanta persone, suscitando anche interesse e approvazione fra i passanti. Grandi assenti i mezzi d’informazione: a parte un brevissimo servizio su TG3 Regione e gli articoli pubblicati da alcune testate online, non è stato dato il giusto risalto a questo evento.
A voi sembra arrivato il momento di dare spessore a questa mobilitazione, nata in Sardegna, ma che vuole essere contagiosa anche a livello nazionale e internazionale?
Sì. Certamente. Vogliamo banche disarmate, che facciano a meno dei denari di aziende che forniscono ordigni bellici o apparecchi d’intelligence militare, perché ci ripugna la guerra come ignobile ed inutile strage, compiuta e subita, nell’escalation, da persone che appartengono alla stessa specie biologica e che muoiono per gli interessi dei loro dominanti.
Per questo il comitato andrà avanti sulla strada che ha tracciato, sperando di ottenere ulteriori consensi e partecipazione. Voglio ricordare il messaggio giuntoci dagli amici nonviolenti di Brescia, nella cui provincia ha sede la Banca Valsabbina e, guarda caso, a Ghedi anche la RWM. Con loro c’è una sorta di gemellaggio al rovescio: subiamo le stesse calamità. Ma questo può unirci nell’impegno per un mondo in cui non ci sia più spazio per le guerre.