Scacco matto. Il criminale di guerra Benjamin Netanyahu resta in piedi. Lo credevamo finito, abbandonato dalle stesse lobby della guerra, delle armi, di Israele. Le invettive della maggioranza politica e dello spazio mediatico, inesistenti in precedenza, ci avevano fatto ben sperare. Invece ha di nuovo mischiato le carte con un’azione annunciata da anni: l’attacco all’Iran.
Israele, uno Stato di 9 milioni di abitanti che non ha mai firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) e possiede illegalmente l’atomica, attacca senza alcuna giustificazione un Paese di 92 milioni di abitanti, firmatario del Tnp, che si è sottoposto alle ispezioni dell’Aiea e, sebbene ne abbia le capacità, ha fino a oggi rinunciato a fabbricare l’atomica, utilizzando l’arricchimento di uranio per scopi civili, come consentito dal trattato. Tulsi Gabbard, attualmente dirigente dell’intelligence statunitense, ha dichiarato in numerose occasioni che non vi era alcuna prova dell’arricchimento di uranio a fini militari. Del resto non era interesse dell’Iran sfidare non solo l’Occidente, ma anche la Russia e la Cina che hanno sempre chiesto il rispetto del Tnp. Si tratta quindi, come per la guerra all’Iraq, di una menzogna condivisa dalle democrazie europee, facilitata da Rafael Grossi, direttore dell’Aiea, di stoffa diversa rispetto ad alcuni suoi predecessori come lo svedese Hans Blix che si oppose, difendendo la verità, alle pressioni statunitensi alla vigilia dell’attacco a Baghdad.
Di fatto, come si desume dai tweet di Donald Trump, il negoziato in corso tra diplomatici iraniani e statunitensi era in stallo in quanto l’Iran non voleva accettare limitazioni all’arricchimento di uranio tali da mettere a repentaglio la sua stessa economia. Con i metodi fascisti a cui ormai siamo abituati, il presidente Usa ha intimato all’Iran di accettare le condizioni imposte, altrimenti si sarebbero verificate conseguenze disastrose per il Paese. Con la solita contraddittorietà di un’amministrazione allo sbando, gli Stati Uniti hanno poi preso le distanze dell’attacco israeliano che, tuttavia, come è noto a tutti, non sarebbe potuto avvenire senza il consenso di Washington e la complicità di Starmer, Merz e Macron, che si sono affrettati a balbettare il patetico slogan “Israele ha il diritto di difendersi”. L’Iran anche. E potrebbe ora legalmente, avendo subìto un attacco militare ingiustificato, fabbricare l’atomica appellandosi agli stessi articoli del Trattato che in queste condizioni di estrema insicurezza nazionale lo permettono. Le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele sono questa volta suicide. Una guerra con l’Iran non è paragonabile ai bombardamenti su Hezbollah in Libano, sugli Houti in Yemen o su uno Stato fallito come la Siria: sono diversi anche da una guerra contro l’Iraq.
La situazione internazionale attuale conferma le tesi che da tempo portiamo avanti sul Fatto. 1) La mancanza di strategia dell’Occidente bellicoso, artefice di una tattica volatile, che risponde alle pressioni delle lobby delle armi, della finanza e di Israele e a motivazioni di potere politico interno ai vari Stati. 2) La complicità delle democrazie europee con una politica basata sull’arbitrio e la violazione delle più evidenti norme internazionali, a cui si contrappone una difesa del multilateralismo e della legalità da parte dei Paesi membri dei Brics (le famigerate autocrazie). 3) La debolezza di Trump, un parvenu del potere che si piega alle esigenze dello Stato profondo, radicato negli apparati di sicurezza e nelle burocrazie statunitensi ed europee. 4) Le esigenze di rifinanziamento della bolla speculativa su cui si regge il sistema economico internazionale sono tali da richiedere una guerra permanente, che per la prima volta nella storia appare insensibile al rischio nucleare. L’attacco diretto alla Russia da parte della Nato e l’attuale distruzione dell’equilibrio basato in Medio Oriente sul Tnp ci inducono a pensare che le probabilità di un conflitto atomico limitato e circoscritto sono ormai accettate dalle élite che ci governano. 5) Lo slittamento costante e inesorabile verso forme di governo oligarchiche in Occidente, nelle quali il dibattito democratico è stato annullato dall’osmosi esistente tra finanza, marionette politiche e spazio mediatico.
Terminerei con la stessa domanda rivolta ai progressisti e a un’opinione pubblica dormiente: oggi gli ucraini e i palestinesi, domani a chi toccherà? La passività della società civile europea, politicamente incolta, distratta dai residui di benessere, che si astiene sfiduciata dal voto oppure si allinea ai partiti maggioritari, come macchine di relazioni e potere, può permettere il disastro. Mi rivolgo ai politici e ai giornalisti nostrani, mi appello alla loro umanità, agli affetti che nutrono per figli e nipoti. È il tempo di svegliarsi e di non essere più indifferenti o consenzienti.