La forza dei pacifisti e la debolezza drammatica delle armi

di Giulia Rodano - huffingtonpost.it - 07/03/2022
In Europa sembra configurarsi uno scenario simile a Jugoslavia, Iraq, Siria, Afghanistan. Guerre in cui ci siamo impegnati, ma terreni da cui ci siamo dovuti ritirare senza sostanziali risultati, lasciando dietro di noi rovine, sofferenze, odio, instabilità e insicurezza

I pacifisti, e le pacifiste, quelle e quelli che da decenni vogliono mettere la guerra fuori dalla storia, sono scesi in piazza contro la guerra di aggressione di Putin, ma anche contro l’allargamento della Nato. Immediatamente si è riaperta la solita discussione. I pacifisti sarebbero equidistanti, non prenderebbero posizione, mentre oggi esisterebbero aggrediti e aggressori.

Non solo, chi si batte per la tregua, la cessazione dei combattimenti, l’avvio di una trattativa per la ricerca di una soluzione politica negoziata del conflitto, sarebbero, nella migliore delle ipotesi, degli illusi, dei profeti disarmati e, nella peggiore, dei nemici degli ucraini a cui vorrebbero negare la possibilità di difendersi. Mai come in questa occasione, le accuse si rivelano sbagliate. Mai come in questa occasione, infatti, la logica della armi e della guerra si rivela la più debole e la più inadeguata.

Jean Stoltemberg, segretario generale della Nato, ha ripetutamente affermato che nessun areo o drone o soldato dell’Alleanza atlantica, si impegnerà direttamente nella guerra in Ucraina, perché farlo significherebbe allargare il conflitto fino alla guerra nucleare mondiale. E non a caso sia la Polonia che l’Italia hanno dichiarato che non invieranno aerei e che non forniranno le basi per farli partire. La stessa cosa ha ripetuto più volte anche Biden. Eppure la richiesta di un maggior impegno militare e soprattutto la creazione di una no fly zone rappresentano richieste pressanti del premier ucraino Zelensky. Il conflitto dunque non può allargarsi oltre i confini ucraini.

La guerra generale contro la Russia non è una opzione, perché significherebbe l’olocausto nucleare. Ne usciremmo, come si diceva in un vecchio film del secolo scorso, senza nessun vincitore. Una risposta armata all’altezza dell’aggressione russa, in grado di sconfiggere Putin e cacciarlo dal suolo ucraino non può essere messa in campo. Il conflitto, nelle intenzioni dell’occidente, deve rimanere limitato, chiuso esclusivamente dentro i confini dell’Ucraina, che deve contenere i Russi, strapotenti militarmente ed economicamente, affrontando una lunga, dolorosissima, straziante guerra sul proprio territorio.

In Europa sembra dunque configurarsi uno scenario simile a quello che abbiamo visto, forse troppo distrattamente, prima in Jugoslavia, poi in Iraq, poi in Siria, poi in Afghanistan. Guerre in cui ci siamo impegnati, ma terreni da cui, come ci ha ricordato Henri Kissinger, ci siamo dovuti ritirare senza sostanziali risultati, lasciando dietro di noi rovine, sofferenze, odio, instabilità e insicurezza.

In realtà, nessuno ha vinto nessuna guerra negli ultimi trenta anni. Non per niente, Biden e Stoltemberg stanno dicendo dall’inizio della guerra che il conflitto sarà lungo, potrebbe durare anni. Eppure noi stiamo dicendo di voler aiutare gli Ucraini. E qualcuno arriva ad affermare, per giustificare l’invio di “armi letali”, che stiamo facendo con la resistenza ucraina quanto gli alleati fecero con quella italiana durante la seconda guerra mondiale. Niente di più ingannevole.

I partigiani italiani combatterono a fianco degli alleati angloamericani, sullo stesso terreno di battaglia. Non furono armati e abbandonati a combattere da soli, contro lo strapotente esercito nazista. In Spagna successe così, nella guerra civile del 1936, in cui si affermò la teoria del non intervento. E sappiamo come è andata a finire. Ma allora che vuoi – mi si chiederà – lo scoppio della guerra nucleare? Quello che vorrei è che si riflettesse. Se la guerra non è un’opzione, cosa stiamo facendo in Ucraina e soprattutto cosa stiamo chiedendo agli ucraini? A cosa devono servire i sacrifici enormi che stanno affrontando?

Se la guerra non è un’opzione, l’unica altra opzione praticabile è la de-escalation militare, la tregua e la ricerca dell’accordo politico. Dunque, i pacifisti hanno ragione. Per aiutare veramente gli ucraini, bisogna che le armi tacciano e si ricerchi l’accordo politico anche con i vicini che non ci piacciono, ma che, lo vogliamo o no, sono nostri vicini, in un mondo sempre più interdipendente, fragile e esposto.

Qui arriva la seconda domanda ai pacifisti. Come si può arrivare a una tregua, mentre Putin bombarda e uccide quasi incontrastato? Certamente non basteranno le parole e le buone intenzioni. Non resterebbe che schierarsi dalla parte dei deboli e sperare che resistano. Anche a questa domanda risponde la saggezza dei pacifisti, che consiste proprio nell’essere non equidistanti da Putin e dalla Nato, ma nell’essere contro Putin e contro la Nato. La Russia e la Nato agiscono infatti sulla base della stessa folle logica, quella che considera la forza come l’unico strumento che garantisce la sicurezza e tutti coloro che non sono dichiaratamente amici come potenziali nemici da cui guardarsi e da contenere.

Questa è la logica che ha condotto in questi trenta anni alle guerre in Georgia, in Cecenia, ma anche in Somalia e in Iraq, in Siria e in Libia e in Afghanistan, in Jugoslavia. Nessuna di queste guerre è finita, nessuno di questi paesi è pacificato e nessuno al mondo è più sicuro. Anche l’Europa è stata teatro di questo contrasto, di questa politica di potenza.

Di fronte alla dissoluzione del blocco sovietico e dell’alleanza militare del Patto di Varsavia, la Nato ha ritenuto possibile allargarsi ad est, in Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Ungheria Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e nei Balcani, fino ad allora non allineati, dalla Croazia, al Montenegro, dalla Macedonia, all’Albania, alla Slovenia. Ancora in questi giorni Stoltemberg ha ricordato come dal 2014 la Nato e “gli alleati” hanno armato, finanziato e formato l’esercito ucraino in funzione antirussa.

La politica di potenza è spietata. Non ammette vuoti. Putin, dal canto suo, ha ritenuto e ritiene anche oggi possibile riprendersi quel che poteva del vecchio impero zarista e lo ha fatto, fino alla tragedia dell’aggressione all’Ucraina. Henry Kissinger sosteneva nel 2014 che l’unica soluzione fosse la neutralità di Kiev e ancora prima, nel 1997, George Kennan, il maggior esperto di Russia nel Dipartimento di Stato americano giudicò sul New York Times, un errore tragico l’allargamento della Nato, descrivendolo come una profezia che si auto avvera: l’allargamento avrebbe scatenato la reazione russa che avrebbe ex post giustificato l’allargamento.

È a questa politica di potenza che i pacifisti sono contrari. Contro ogni riedizione della dottrina Monroe, di paesi che si arroghino il diritto di fungere da polizie internazionali, qualunque teorizzazione che giustifichi interventi in altri paesi in nome della propria sicurezza. Per non trovarci più a dover combattere guerre che nessuno può in realtà combattere e vincere. Per questo i pacifisti hanno parlato nelle piazze non di una generica trattativa, ma di una soluzione politica, di intervento delle Nazioni Unite, di ripresa di una politica di ricerca di soluzioni negoziate e pacifiche ai conflitti, di cancellazione della guerra come opzione possibile.

La soluzione politica è possibile, mentre la guerra efficace non lo è. Per averla però occorre usare parole diverse dal passato: occorre riconoscere anche le ragioni dell’avversario, prendersi cura – sì, prendersi cura – delle sue paure e delle sue follie. Ricordare oggi le responsabilità delle Nato non significa giustificare l’imperialismo guerrafondaio e spietato di Putin, significa comprendere quali questioni dobbiamo affrontare per risolvere le contraddizioni che hanno condotto ai conflitti di oggi. Significa comprendere che i russofoni in Ucraina hanno dei diritti come quelli che in Italia parlano tedesco e si sentono tedeschi. Significa ammettere che in questi anni la Nato e l’Occidente hanno cercato di accrescere la forza militare ucraina in funzione antirussa. Significa ammettere che l’Ucraina deve essere integra e indipendente, ma anche neutrale. La via del dialogo comporta che si voglia costruire un mondo meno armato, più plurale e più confidente, dove la sicurezza è comune, perché altrimenti non è.

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