Nuove denunce contro le armi nucleari a Ghedi e Aviano

di Laura Tussi - 28/10/2025
La protesta pacifista sfida la Nato nel cuore dell’Europa in fiamme
Il movimento pacifista italiano torna a farsi sentire. Nella mattinata del 24 ottobre 2025, in concomitanza con la Giornata delle Nazioni Unite, attivisti contro la presenza di armi nucleari sul territorio nazionale hanno tenuto due presidi informativi: uno davanti alla base militare di Ghedi, nel Bresciano – o, in caso di maltempo, in Piazza della Loggia – e un altro di fronte alla Loggia del Municipio di Pordenone. L’iniziativa accompagna il deposito di nuove denunce alle Procure di Brescia e Pordenone, con l’obiettivo di accertare la presenza, ritenuta certa dai promotori, di testate nucleari nelle basi di Ghedi e Aviano, sotto controllo statunitense ma ospitate in territorio italiano.

Le denunce chiedono ai magistrati di dichiarare l’illegittimità della presenza di tali armamenti, in violazione della legge 185/90 che vieta l’importazione di materiale bellico senza autorizzazione, del Trattato di Parigi del 1947 che impedisce all’Italia di detenere armi di distruzione di massa, e del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) del 1975, sottoscritto proprio per impedire la diffusione di ordigni atomici in Paesi non dotati di tale arsenale.

Un precedente tentativo, risalente al 2 ottobre 2023, si era concluso con l’archiviazione da parte della Procura di Roma, che aveva ritenuto la questione materia di “scelte politiche” non sindacabili in sede giudiziaria. Gli attivisti non si sono tuttavia arresi. “Il giudice – spiegano i promotori – è garante della legalità e non può arretrare laddove gli spazi della discrezionalità politica siano limitati da vincoli di diritto internazionale e costituzionale. La presenza di testate atomiche in Italia viola norme precise e non può essere giustificata in nome di un’alleanza militare”.

Dietro la nuova offensiva legale si muove un fronte composito di pacifisti, giuristi, antimilitaristi e attivisti di storiche associazioni come la WILPF Italia (Women’s International League for Peace and Freedom), da sempre in prima linea nella denuncia delle politiche di riarmo e nella richiesta di adesione al Trattato ONU per la proibizione delle armi nucleari, che l’Italia continua a non ratificare.

Il contesto internazionale rende la protesta particolarmente significativa. Mentre il mondo è scosso da nuovi conflitti – dall’Ucraina al Medio Oriente, fino al riaccendersi delle tensioni in Asia – la NATO appare impegnata in una crescente corsa agli armamenti, con un’espansione delle spese militari e l’installazione di nuovi sistemi bellici nel continente europeo. L’Italia, per la sua posizione strategica nel Mediterraneo e la presenza di basi chiave come Ghedi e Aviano, resta uno dei punti più sensibili di questa infrastruttura nucleare.

Non a caso, la contestazione contro la NATO si intreccia con un più ampio dibattito sulla sovranità nazionale e sulla legalità internazionale. Per i manifestanti, il mantenimento di testate atomiche statunitensi in Italia costituisce “una violazione palese del diritto dei popoli alla pace” e un atto di sudditanza verso un’alleanza militare che agisce al di fuori dei principi della Carta delle Nazioni Unite.

“Non possiamo accettare che il nostro territorio continui a ospitare strumenti di distruzione di massa – affermano gli organizzatori – mentre si moltiplicano guerre e tensioni in nome della sicurezza. L’unica sicurezza reale è il disarmo”.

L’iniziativa, organizzata in occasione del deposito delle denunce alle Procure di Brescia e Pordenone, è stata promossa da esponenti di «Donne e uomini contro la guerra», del «Centro sociale 28 Maggio», di «Abbasso la guerra», insieme ad altre realtà del pacifismo di base, tra cui Rifondazione comunista. Davanti all’ingresso dell’aeroporto di Ghedi si è tenuta una conferenza stampa, con gli interventi di Elio Pagani, Ugo Giannangeli e Beppe Corioni, voci storiche del movimento per il disarmo nucleare.

Gli attivisti chiedono di accertare la presenza – da loro ritenuta certa – di testate nucleari nelle basi di Ghedi e Aviano, e di dichiararne l’illegittimità. Le denunce si fondano sulla legge 185 del 1990, che regola il commercio e il transito di armamenti in Italia, sul Trattato di Parigi del 1947, che vieta al nostro Paese di detenere armi di distruzione di massa, e sul Trattato di non proliferazione del 1975, che impegna i firmatari a non ospitare né sviluppare armi nucleari.

Non è la prima volta che queste norme vengono invocate in sede giudiziaria. Una precedente denuncia, depositata alla Procura di Roma il 2 ottobre 2023, fu archiviata perché il giudice ritenne di “non poter interferire con scelte prettamente politiche”. Una motivazione che gli attivisti respingono con forza: «Se la magistratura deve essere indipendente dalla politica, allora un atto politico può essere indagato», sostengono. Per questo, le nuove denunce sono state ripresentate a Brescia e Pordenone, cioè nei territori in cui “è stata materialmente consumata l’attività di importazione”.

«Il giudice è garante della legalità – affermano i promotori – e non può arretrare di fronte a una violazione così grave. Le basi nucleari italiane sono contrarie al diritto internazionale e alla Costituzione».

Durante la conferenza stampa, Ugo Giannangeli ha criticato quella che definisce una deriva bipartisan: «In contesti diversi, Antonio Tajani da una parte e Piero Fassino dall’altra hanno detto la stessa cosa: che il diritto conta poco. È una dichiarazione inquietante, che dimostra come il potere politico consideri il diritto un ostacolo, non un limite».

Ancora più dura la denuncia di Beppe Corioni, secondo cui «l’Italia si sta preparando alla guerra». Ha citato un documento ufficiale della Regione Lombardia che, “sotto il titolo di Emergenza Ucraina – eventuale rischio nucleare, prevede l’istituzione di 30 depositi di stoccaggio di ioduro di potassio”. Una decisione grave, ha aggiunto, «se si considera che ancora non esiste un piano di emergenza nucleare, nonostante le nostre ripetute richieste».

In un contesto internazionale attraversato da guerre e tensioni crescenti – dal fronte ucraino al Medio Oriente, passando per le dispute in Asia – la protesta assume un significato che va oltre i confini italiani. Gli attivisti denunciano la progressiva militarizzazione del continente europeo e il ruolo sempre più aggressivo della Nato, accusata di spingere l’Europa verso una logica di guerra permanente.

«Non vogliamo essere complici di un sistema che prepara la catastrofe – dichiarano i promotori –. L’unica sicurezza possibile è il disarmo, non l’accumulo di armi nucleari nei nostri territori».

Piazza della Loggia e la base di Ghedi diventano così luoghi simbolici di una stessa battaglia: quella per riaffermare il primato del diritto, la centralità della Costituzione e il valore universale della pace in un’epoca in cui, come ricordano i pacifisti, “l’Italia sembra dimenticare di essere nata dalla guerra e dalla Resistenza”.

Il 24 ottobre, dunque, non è stata soltanto una giornata di denuncia legale, ma anche un momento di mobilitazione civile e di memoria. Piazza della Loggia, teatro della strage fascista del 1974, e la base di Ghedi, simbolo del potere militare, rappresentano due luoghi emblematici in cui si incrociano le ferite della storia e le sfide del presente.

Un segnale forte che, nelle intenzioni dei promotori, vuole ricordare che la pace non è un affare di politica estera, ma un diritto costituzionale da difendere con la stessa tenacia con cui si difende la giustizia.

Laura Tussi

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