Una sanità uguale per tutti

di Alfiero Grandi - 24/10/2025
Rosi Bindi propone un cardine del programma alternativo alla destra di governo

Non so se il nuovo libro di Rosy Bindi (Una sanità uguale per tutti) sia stato pensato anche per aiutare il decollo di una discussione sul programma indispensabile per un’alternativa politica.

 In ogni caso è un contributo rilevante per analisi e proposte che rendano chiare a tutte e a tutti le ragioni per un’alternativa politica alla destra, con un salto di qualità nel cammino per costruire lo schieramento politico necessario.

 Rosy Bindi si sofferma sulle difficoltà a porre oggi un’alternativa alle destre sulla sanità sulla base del principio costituzionale che la salute è un diritto per tutti. Su questa analisi stabilisce un rapporto tra la crescita del dualismo sociale e la difficoltà di sostenere un sistema sanitario che garantisca risposte adeguate per tutti i cittadini senza distinzioni di reddito.

 E’ forte la contrapposizione con il governo Meloni che afferma di avere dedicato risorse mai viste sulla sanità e svela il trucco di affermazioni che si basano sulla cifra assoluta mentre le spese per il sistema sanitario dovrebbero riferirsi alla percentuale del Pil che invece dimostra la diminuzione relativa delle risorse messe a disposizione. Quindi si possono offrire meno prestazioni e servizi alle persone per la loro salute e il punto evidente è il problema del personale, gravemente insufficiente e con trattamenti inadeguati, basta fare raffronti con l’Europa. Per di più occorre tenere conto di altri fattori come l’invecchiamento della popolazione, la disponibilità di cure più avanzate ma costose per malattie prima non curabili.

 Il trucco del governo Meloni, assicurazioni e costi privati

 La scelta del governo Meloni è di affiancare al sistema sanitario nazionale, nato nel 1978 come una riforma epocale, un sistema privatizzato fondato su sistemi di assicurazione, contrattuali e generali, che tendono non a integrare ma a sostituire le prestazioni del sistema sanitario pubblico. La scusa è quella dei costi ma viene taciuto che le prestazioni pagate direttamente dai cittadini nel 2023 hanno un costo di 43/45 miliardi all’anno e creano un’ingiustizia selettiva tra le persone sulla base del reddito. Da questa contraddizione lacerante derivano i 6 milioni di cittadini che rinunciano a curarsi perché non se lo possono permettere.

 La scelta di Rosy Bindi è coraggiosa e punta ad una spesa sanitaria paragonabile a quella dei paesi più avanzati in Europa, dedicando risorse crescenti, dal 6,1% di oggi al 7,5% in tempi brevi e al 10 % come obiettivo. Non è un sogno, se si aggiungono le risorse private che già oggi pagano i cittadini arriviamo a cifre elevate, in % del Pil. Naturalmente non tutto è travasabile e serviranno anche altre risorse, ma occorre ricordare che se la dotazione di risorse è troppo bassa, malgrado i miracoli che molte strutture sanitarie fanno per garantire le prestazioni, i cittadini spenderanno comunque per altre vie (la sanità privatizzata) e quindi il totale è molto più alto e in parte è già a carico del bilancio dello stato attraverso gli sgravi fiscali.

 Bindi: rafforzare e rifinanziare la riforma del 1978

 Bindi fornisce gli elementi con chiarezza. Il libro ricostruisce la storia dopo la straordinaria riforma del 1978, frutto anche di forti lotte dei lavoratori, con i sindacati non solo nel ruolo di difensori della condizione di lavoro immediata ma parte del rinnovamento dell’intera società, puntando a forti elementi di coesione sociale. I contrasti e i tentativi di tornare indietro sono stati frequenti. Del resto la sanità per tutti superava forme mutualistiche e corporative.

In parallelo è stato immaginato un sistema unitario di sostegno sociale alle aree più in difficoltà e un sistema pensionistico ricondotto, con alti e bassi, ad elementi di coerenza nazionale.

 Una società e una socialità molto diversa da quella precedente e da quella con cui ci misuriamo oggi, dopo lo straripamento dell’individualismo e una separazione neocorporativa favorita da un uso improprio di nuove tecnologie e nuove opportunità. Bisogna ammetterlo per ripartire: errori e ritardi oggi pesano e ci sono modalità di leggere il rapporto con gli altri che è fortemente inquinato da un personalismo a spese degli altri.

 Il programma della coalizione alternativa alle destre dovrebbe essere la grande occasione per ricostruire nell’analisi, nel pensiero, nelle proposte una nuova e moderna unificazione, senza accontentarsi di rivendicare il ritorno a ciò che oggi non c’è più.

 Questo pensiero alternativo, a cui il libro di Bindi contribuisce, deve avere il coraggio di affrontare anche gli errori e i cedimenti politico-culturali a cui le forze di centro sinistra, o almeno non di destra, hanno avuto. Rosy Bindi ne parla con attenzione anche se con qualche prudenza.

 La questione dell’autonomia differenziata

 Autonomia regionale differenziata. Bindi ne parla, la descrive con precisione e ricorda il grande movimento che avrebbe portato al referendum abrogativo se la Corte costituzionale non avesse con una mano colpito al cuore i cardini del provvedimento di Calderoli e dall’altro negato il referendum abrogativo che avrebbe potuto fare pulizia di un provvedimento che è una mala pianta che non basta potare ma occorre azzerare. Altrimenti, afferma giustamente Rosy, potrebbe rientrare dalla finestra ciò che si è cercato di escludere.

 Del resto Giorgia Meloni ha detto con nettezza che l’autonomia regionale differenziata è in agenda e si farà, con gli stessi toni con cui ha detto che i centri migranti in Albania resteranno in vita. I patti nella coalizione per tenere in piedi il governo vengono prima di tutto, anche della ragionevolezza.

Per questo insisto sull’esigenza di ricordare che Gentiloni ha sbagliato a firmare i documenti preliminari per l’autonomia regionale differenziata con Lombardia, Veneto, Emilia Romagna a pochi giorni dall’uscita di scena del suo governo, evidentemente pensava fosse importante.

 Non a caso Calderoli ha usato questa sponda in abbondanza e ancora oggi, malgrado il ripensamento tardivo di Bonaccini e la scelta del suo successore di ritirare il consenso al documento, c’è ancora il rischio che la sentanza della Corte costituzionale possa essere aggirata. Del resto Fontana (Lombardia) non perde occasione per dire che a breve verranno firmate con il governo intese sull’autonomia regionale differenziata. Andrebbe fermato.

 La riforma del Titolo V

 All’origine c’è una riforma costituzionale del titolo V del 2001 che pone il problema del ruolo delle regioni non solo a spese di quello degli enti locali ma propone un assetto istituzionale e soprattutto finanziario (quello che più interessa) che inevitabilmente, se attuato, porterebbe alla formazione di mini stati regionali, per di più in presenza di problemi europei e mondiali che rendono ridicola questa deriva.

 L’alternativa sull’autonomia regionale differenziata non può limitarsi a contrastarne l’attuazione sulla base del richiamo ai principi fondamentali della Costituzione, gli stessi che i giudici della Consulta hanno usato per azzoppare la legge Calderoli, ma deve rimediare ad un titolo V mal scritto, pericoloso, approvato con la maggioranza di pochi voti e che è oggi l’alibi delle destre per il modo spiccio se non autoritario, con cui impongono le loro scelte a tutti, malgrado una maggioranza posticcia.

 Vogliamo davvero 20 diversi sistemi regionali?

 I problemi della sanità sono il tarlo che dall’interno dell’assetto istituzionale italiano ha consentito alle regioni di arrivare, per ragioni diverse, a mettere in discussione il servizio sanitario nazionale, fino a prefigurare 20 diversi sistemi sanitari regionali. Gli aspetti che più mi hanno impressionato sono che il diritto delle donne ad abortire – se è quello che vogliono – in alcune regioni non è di fatto possibile e così viene contrastato il diritto al fine vita, previsto dalla Consulta nel vuoto legislativo nazionale attuale.

 Bisogna riconoscere che le destre politiche e sociali, anche per la pressione di formidabili interessi economici, oggi vogliono mettere in crisi definitivamente il SSN imponendo la presenza di un pilastro privato. Ricordo che Obama cercò di contrastare un sistema sanitario assicurativo che escludeva 25 milioni di americani e che oggi Trump vuole tornare all’antico, fino a togliere l’assistenza a 11 milioni di americani per ridurre le tasse ai più ricchi. E’ in discussione il carattere universale del sistema sanitario pubblico italiano, fondato sulla risposta ai bisogni dei cittadini e non ai vincoli di bilancio.

 La questione del welfare aziendale

 Le attuali opposizioni hanno subito l’influenza culturale e politica delle destre economiche, sociali, politiche e non hanno contrastato la deriva politica e istituzionale e il nuovo titolo V, approvato nel 2001, resta una pietra miliare di questa subalternità politica e culturale.

 Anche i sindacati debbono riflettere sul significato che ha il welfare contrattuale aziendale o di categoria, un conto è che sia aggiuntivo/integrativo al servizio sanitario nazionale, altro è che sia sostitutivo e quindi direttamente concorrenziale con il SSN e le sue prestazioni universali. Inoltre ci sono aspetti contrattuali e del rapporto di lavoro del personale sanitario che vanno ripensati al fine di renderli coerenti con un servizio sanitario nazionale universale.

 Bindi ha fatto bene a riproporre la discussione, a rispondere a critiche ingiuste, a rivendicare la sua riforma del 1999 come continuità di quella del 1978. Sul tavolo c’è un’evidente alternativa delle destre alla riforma del 1978, è giunto il momento che chi vuole effettivamente un’alternativa alle destre capisca che occorre costruire proposte di merito alternative alle destre.

 Alfiero Grandi

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