Breve (ma non incidentale) encomio delle donne

di Claudio Lalli - 04/08/2019
Se non l’avessimo ancora capito, la nostra salvezza saranno le donne

Siamo un’insieme di popoli antichi – non certo un popolo – che la sorte ha casualmente radunato in una penisola incredibilmente bella e varia, con un accentuato carattere per via d’una forma insolita, quasi disegnata per gioco. E siccome, come ci hanno insegnato, l’ambiente forma l’individuo, ecco quindi che s’è formato un’insieme di popoli spesso (perversamente)geniali dotati della capacità di immaginare, pensare, ideare, inventare, scoprire e intrigare, come forse nessun altro popolo su questo piccolo pianeta, sperso in un piccolo sistema solare situato nella periferia della galassia che abbiamo chiamato Via Lattea e a trentamila anni-luce dal suo centro. E’ vero, non abbiamo modo di verificare se tra gli infiniti nostri fratelli cosmici, che abitano sui miliardi di miliardi di pianeti che quotidianamente ruotano intorno alle loro stelle nella nostra e nei miliardi di altre galassie che stacanovisticamente girano attorno al loro asse, ce ne siano di più intellettualmente brillanti. Certamente ci sono, perché siamo laici e non antropocentrici, ma cosa importa? tanto non li potremo mai incontrare perché sembra che nessuna invenzione umana o dei nostri fratelli cosmici potrà mai annullare la quarta dimensione dello spazio: il tempo.

Sicchè possiamo dire che noi italiani siamo veramente soli, noi che non siamo un popolo, e tanto meno una nazione, eppure veramente soli navighiamo nello spazio. Soli, anche se  abbiamo dato tanto al mondo e non abbiamo preso molto, o almeno non quello che ci sarebbe servito tanto (come il concetto di responsabilità individuale, di idea dello Stato, eccetera). E se dico che abbiamo dato molto non è per spocchia o sciovinismo ma per banale constatazione storica. Mi si nomini un pensiero, un’invenzione, una scoperta, un progetto, una cosa, un’idea che non abbia avuto una paternità italica: dal Rinascimento alla pizza, dall'isocronismo del pendolo galileiano alla Vespa, dal Colosseo all’opera lirica, dal vicolo più stretto del mondo (appena 43 cm) alla più grande varietà di formaggi (oltre 700 – la Francia non arriva a 400!), da Pinocchio alla mafia, dalla Santa Inquisizione al roherer. Già, cos’è il roherer? Ce lo spiega (o così pretende di fare) una lapide italica in quel di Monterubbiano, in provincia di Ascoli Piceno, che recita approssimativamente così:

“In questa casa nacque, visse e morì Temistocle Calzecchi-Onesti, genio italico, inventore del roherer, senza il quale mai Marconi avrebbe inventato la radio”.

Non per partigianeria, ma quel MAI è una non trascurabile stampella per la mia tesi: Guglielmo Marconi era di madre inglese; se un altro genio (tutto italico, nonno tra l'altro di Rosa Calzecchi-Onesti, grande latinista e traduttrice moderna di Omero) non gli avesse dato la dritta - inventando il roherer (qualunque cosa esso sia), pronto lì per lui -,  l’invenzione della radio - con la quale in questo momento ascolto arie di Rossini cantate dalla voce ricca, calda, femmina, barocca, di Cecilia Bartoli - l’avremmo dovuta dividere a metà con Albione. Così almeno gliene possiamo concedere, al più, un quarto.

Per correttezza e completezza d’informazione devo aggiungere che questi geniali popoli italici si limitano però a immaginare, pensare, ideare, inventare, scoprire e intrigare (tanto). Come i siciliani descritti dal Principe di Salina al cavaliere Chevalley, non possono migliorarsi perché sono perfetti; è questa la caratteristica che unisce il pensiero di questi popoli, così diversi tra loro come possono essere solo un toscano ed un pugliese, un siciliano e un veneto: il non essere perfettibili. Ecco quindi altri popoli di questo pianeta, abitanti di terre diverse e lontane, ricevere il dono delle nostre creazioni e trasformarle in strumenti di cultura, di produzione, di lavoro, di aggregazione, di accumulazione. Un esempio per tutti: il sistema bancario nasce a Firenze intorno al 1100. Prima ancora che le città-stato italiane ed i comuni italiani cominciassero a battere moneta in senso sistematico ci pensarono in proprio i banchieri fiorentini: per rendere credibile lo strumento di pagamento e di credito decisero che le monete dovessero essere d’oro, sicchè un fiorino d’oro valeva letteralmente il suo peso in oro.

Quando, dopo alcuni decenni, essendosi consolidata la credibilità del sistema, cominciarono ad affermarsi sistemi alternativi alle monete d’oro (quali le monete d’argento e le lettere di credito), i bravi banchieri  scoprirono che le monete d’oro tendevano a scomparire dalla circolazione per finire nelle casseforti. Si erano resi conto dell’esistenza del fenomeno in base al quale, tra due monete di pari valore facciale, conviene tesaurizzare quella che vale intrinsecamente di più e che garantisce di più la convertibilità in oro, non a caso poi chiamato dagli inglesi metallo di ultima istanza (metal of last resort). Cosi i nostri amici banchieri decisero di ridurre il peso in oro dei fiorini di nuovo conio fino al punto in cui non fosse più conveniente tesaurizzarli, ch’è poi quello in cui il costo dell’immobilizzo è maggiore del vantaggio (futuro) della tesaurizzazione. Trecento anni dopo Sir Thomas Gresham, consigliere di Elisabetta I d’Inghilterra, studiò a fondo il sistema bancario toscano e stabilì i criteri della moderna monetazione e, con una operazione che oggi chiameremmo di plagio, strutturò e codificò il sistema ch’è passato alla storia sotto il nome di British Standard. Per onorare Sir Thomas gli storici dell’economia hanno poi chiamato legge di Gresham quella il cui enunciato è “la moneta cattiva caccia la buona (se il loro tasso di cambio è fissato per legge)” - Bad money drives out the good one (if their exchange rate is set by law)- e che, invece, si sarebbe dovuta chiamare la legge dell’Ignoto Banchiere Fiorentino. Ricordiamocelo, allora, che il sistema bancario e mercantile fiorentino su base monetaria è quello su cui storicamente si sviluppa l'Inghilterra (che ci costruisce pure un impero). E quindi,nel mondo, il processo di accumulazione capitalistica che impera (e ci opprime) oggi. Sono bravi gli anglosassoni, va detto, nel prendere idee e tradurle in sistemi operativi.

Ma rimane, e pesa, il problema che i popoli nostrani, quelli che abitano questa nostra penisola, sono assolutamente incapaci di prendere quanto di buono - e ce n’è tanto, altroché! - è stato pensato, fatto, realizzato altrove. Abbiamo, sì, scritto la Costituzione Repubblicana, che si distingue fra tante non solo per gli ideali di libertà e di uguaglianza che esprime, ma anche per la forma alta, non retorica, che risente dello stile e della cultura di uomini come Calamandrei, Parri, Croce, però non l’abbiamo mai compiutamente attuata soprattutto nella parte che riguarda la costruzione dei doveri di cittadinanza e della coscienza dei diritti. Ed è per questo, credo, che siamo rimasti un insieme di popoli diversi, ciascuno singolarmente eccezionale per quello che esprime delle proprie individuali e peculiari storie, culture, esperienze. Non siamo stati capaci di costruire un vero Stato unitario, quello ch’è anzitutto la capacità di esprimere un’idea di Nazione. Già, cos'è una Nazione? Esattamente con queste parole se lo chiedeva Ernest Renan nell'800, e si dava due risposte: anzitutto la consapevolezza del proprio retaggio storico e culturale e poi l'esplicitata volontà di voler vivere insieme, quella che lui definiva essere"un plebiscito quotidiano". Anche Leopardi nel suo "Discorso sopra lo stato dei costumi degl'Italiani" parlando della scarsa propensione degli italiani a conoscersi e comunicare, lamentava il fatto che la nostra non fosse una "società stretta".

Allora forse occorrerebbe riconoscere che gli acefali energumeni ministeriali delle nostre quotidiane cronache politiche (ma che c'entra la Politica?), i tronfi ducetti da operetta che imperversano sui social sono in ultima analisi il prodotto di una società che è permissiva in quanto inesistente. Per nulla dire della nostra sedicente sinistra, da quarant'anni ormai indaffarata a decostruire una società che timidamente chiedeva una guida. Tragica conclusione, davvero, perché il compito di costruirla, questa società nazionale, è titanico e vasto non meno del "vaste programme" di degaulliana memoria.

Solo come gioco di speculazione intellettuale e non per sovvertire i destini di questo strano paese, io penso che se questi popoli nostrani si fossero strutturati su base matriarcale, se cioè avessero delegato il potere alle loro donne, limitandosi a curare le attività loro congeniali - immaginare, pensare, ideare, inventare, scoprire, sognare, salvo non avere poi la capacità di ridurre il tutto ad una coerente sintesi realizzatrice – questo Paese incredibilmente bello e vario, probabilmente ordinerebbe oggi ai Trump di turno e ai nazionalisti italiani ed europei, che agitano spettri di uno sciagurato passato, di fermarsi subito perché non abbiamo proprio bisogno di altre guerre.

Perché, se non l’avessimo ancora capito, la nostra salvezza saranno le donne. Perché le donne non solo sanno immaginare, pensare, ideare, inventare, scoprire, come noi maschietti ma oltre a ciò sono più belle di noi (ch’è già di per sé decisivo),  non vedono solo le cose ma - in una sorta di meta-pensiero - vedono anche e soprattutto i rapporti tra le cose, e quindi sono concrete, determinate, realizzatrici. Migliaia d’anni di lavoro duro le hanno plasmate al pragmatismo del quotidiano;sanno proiettare sul piano sociale le dinamiche della struttura che da sempre affrontano e gestiscono, la famiglia, e ne sanno gestire le ampie problematiche; sanno pensare due cose allo stesso tempo, ch’è come dire che mentre da architetti lavorano al tavolo da disegno, o da ingegneri su un foglio elettronico, o entrano da anestesiste in sala operatoria o come notaie redigono un rogito, allo stesso tempo sanno anche tornare a casa, pulire il culo ai ragazzini e preparare la cena (magari non in quest'ordine), cose forse banali ma certamente necessarie, quelle che noi maschietti non sappiamo(vogliamo?) fare.

Certo, non hanno il pisello. Questo è un fatto. Oggettivamente molto grave. Oserei dire una impietosa discriminante. Ma, in fondo, nessuno è perfetto.

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