La mancanza di una classe dirigente

di Massimo Villone - La Repubblica Napoli - 23/07/2025
Sul percorso verso il voto in Regione è il nodo principale: si punti sugli strumenti di democrazia diretta previsti dallo Statuto

Si è avviato - faticosamente - il percorso verso il voto regionale. Meglio tardi che mai, si dirà, ed è giusto. Sempre che la via non si presenti impervia. Su queste pagine Ottavio Ragone delinea una prospettiva di passaggio di mano tra il decennio di De Luca e un futuro che potrebbe appartenere a Fico e Manfredi, con il recupero di una centralità di Napoli. Certo è uno scenario a oggi possibile o probabile. Ma lo stesso Ragone indica il punto debole. Dov'è la classe dirigente chiamata a realizzarlo? Beninteso, la domanda vale per qualsiasi scenario, di destra o di sinistra. Nel bel tempo che fu, la classe dirigente si formava nei partiti politici, si selezionava attraverso competizioni elettorali scandite su un cursus honorum abbastanza definito, si faceva le ossa nelle istituzioni a partire dalle assemblee elettive. Ma come si forma una classe dirigente quando i partiti sono evanescenti, poco più che assemblaggi di comitati elettorali di questo o di quello? Mentre le assemblee elettive sono in uno stato vegetativo permanente, grazie a leggi elettorali che le subordinano agli esecutivi?

 È questo il problema di fondo che pesa sulla politica, e non solo locale. Si può in astratto pensare a un ritorno all'antico. Ma, se anche fosse possibile - e ne dubito assai - richiederebbe un tempo lungo. Per questo ho scritto - e ribadisco - che la risposta qui e ora è la democrazia diretta. Darebbe coesione e massa critica al variegato mondo dell'associazionismo e dell'impegno civico, troppo disperso per pesare davvero su un ceto politico autoreferenziale. Una supplenza indispensabile. La Campania dispone di molteplici possibilità. La prima è la proposta di legge di iniziativa popolare (art. 12 stat.), sostenuta dalle firme di almeno 10 mila cittadini. Qui abbiamo avuto un importante esempio con la legge "Rigenera", presentata con 13 mila firme, giunta in aula consiliare e ibernata con un rinvio in Commissione.

La proposta passerà automaticamente al nuovo Consiglio (art. 53.3). Per l'art. 54.3 statuto e l'art. 100.2 del regolamento del consiglio regionale il progetto di legge di iniziativa popolare "è portato all'esame del Consiglio regionale entro tre mesi dalla data di presentazione. Scaduto il termine, il progetto è iscritto all'ordine del giorno della prima seduta del Consiglio regionale e discusso con precedenza su ogni altro argomento". Il passaggio alla nuova legislatura rende l'avvio di questa il termine iniziale per il decorso dei tre mesi. Ma la proposta potrebbe finire di nuovo nelle secche dei lavori consiliari. Una maggioranza malevola può mettere la mordacchia al popolo sovrano. Sono poi previsti ben tre tipi di referendum: abrogativo, consultivo, approvativo (art. 13, 14, 15 stat.). I primi due sono disciplinati dalla legge regionale (25/1975 e succ. mod.), come lo statuto prevede. Non è privo di rilievo il referendum consultivo, che può essere richiesto dal consiglio o dalla giunta, ma soprattutto da 10 mila elettori, su "questioni di particolare interesse, sia generale che locale" (art. 1, 3.3, 5. 6, 10 e Capo IV lreg. 25/1975). Per le questioni di interesse locale è richiesta la firma del 5 per cento degli elettori iscritti nelle liste dei comuni interessati (così la lreg. 35/1986).

Sull'ammissibilità del quesito referendario esiste una normativa della Consulta di garanzia statutaria (lreg. 25/2018). La manifestazione di volontà popolare ovviamente non incide sulla disciplina in vigore, ma certamente ha un peso politico rilevante. La normativa è invece incompleta per la legge di iniziativa popolare che si traduce in referendum approvativo in caso di rigetto o modifica sostanziale. La previsione statutaria c'è (art. 15), Manca invece una adeguata disciplina sia nella legge regionale che nel regolamento consiliare. Una menzione - di per sé insufficiente - si trova nella disciplina della Consulta di garanzia statutaria (art. 6.4 lreg. 25/2018). Ecco una proposta per la campagna elettorale: assumere nell'accordo politico di coalizione il consolidamento e completamento della normativa sulla partecipazione democratica, dando in specie attuazione all'art. 15 dello statuto. In particolare, M5S spinge per la discontinuità. Ricordo ancora che nella XVIII legislatura una proposta di riforma costituzionale di referendum approvativo, di iniziativa M5S, ebbe il voto della Camera e si fermò poi in Senato (AC 1173 e AS 1089). Ecco una discontinuità che val la pena di considerare per la Campania.

Massimo Villone

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