Trump: un’eccezione nella storia degli Stati Uniti?

di Elio Rindone - 10/05/2025
Ebbene, senza negare i caratteri positivi del sistema politico americano, e il ruolo decisivo che gli USA hanno avuto nella seconda guerra mondiale per la sconfitta del nazismo, penso che una migliore conoscenza della storia dell’America porterebbe alla luce il fatto che essa è stata spesso segnata da tendenze razziste e imperialiste

Donald Trump presidente degli USA! Come è possibile che nel 2024 sia stato eletto per la seconda volta un uomo a cui vengono comunemente attribuite idee razziste e imperialiste, e che è stato accusato di aver negato la sconfitta alle elezioni presidenziali del 2020, incitando i suoi sostenitori ad assaltare la sede del Congresso? Inevitabile lo stupore di tanti concittadini, abituati al luogo comune che gli Stati Uniti siano la più grande democrazia del mondo.

Ebbene, senza negare i caratteri positivi del sistema politico americano, e il ruolo decisivo che gli USA hanno avuto nella seconda guerra mondiale per la sconfitta del nazismo, penso che una migliore conoscenza della storia dell’America porterebbe alla luce il fatto che essa è stata spesso segnata da tendenze razziste e imperialiste, evitando così una narrazione selettiva che di solito elogia certi aspetti, sicuramente apprezzabili, censurandone altri. Proprio di questi fatti, ignorati o almeno sottovalutati, mi occupo in questo articolo, consapevole ovviamente del fatto che le storie di altri Paesi sono decisamente peggiori.

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Come è noto, le Tredici colonie britanniche, che si erano insediate sulla costa orientale dell’America del nord, e che già il 4 luglio 1776 avevano approvata la Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America, diventano effettivamente uno Stato indipendente dopo una lunga guerra (1775-1783), che le vede vittoriose sugli inglesi. Ma la storia di questo Stato, che garantiva la cittadinanza solo alle "persone bianche libere" – in pratica solo a coloro che erano di origine anglosassone – non si comprende se non si risale indietro di qualche secolo, cioè agli inizi della colonizzazione europea. Questa storia comincia – va detto subito – con un genocidio: quello dei nativi americani. La cosiddetta ‘scoperta del Nuovo Mondo’ da parte degli europei, infatti, ha comportato la colonizzazione delle Americhe, che iniziò alla fine del XV secolo e si è protratta fino alla fine del XIX secolo! Quali le conseguenze di tale colonizzazione? Guerre di conquista, sottrazione di territori, riduzione in schiavitù, condizioni di lavoro insostenibili, deportazioni, malattie epidemiche, assimilazione forzata, sterilizzazione coatta e sterminio intenzionale di popolazioni considerate inferiori: tutto ciò ha provocato in totale la morte di circa 80 milioni di nativi.

Le cifre dell'entità dello sterminio sono, per la verità, ancora al centro del dibattito storiografico ma, secondo recenti ricostruzioni, già nel primo secolo della conquista sarebbe morto il 90% della popolazione indigena 1. La maggior parte dei superstiti visse poi nelle riserve indiane (inizialmente veri campi di concentramento), dove poterono mantenere i loro costumi, anche se molti preferirono trasferirsi nelle città. Solo nel 1924 i nativi furono autorizzati a integrarsi e venne loro concesso il diritto di voto, anche se furono soggetti ancora alla segregazione razziale, che colpì anche i neri.

Le terre sottratte ai nativi, infatti, dovevano essere coltivate, e per svolgere questo compito si mostrarono più adatti gli africani. Già nel ’500 le potenze coloniali europee dettero vita al commercio degli schiavi, venduti dagli Stati africani e deportati nel continente americano. La tratta atlantica degli schiavi africani ebbe il suo maggiore sviluppo tra il 1600 e il 1800, essendo richiesto il loro lavoro per la coltivazione delle fiorenti piantagioni di canna da zucchero, tabacco, caffè, cacao e cotone, tanto che la popolazione di origine africana, specialmente in alcune regioni del sud, superava numericamente sia i popoli nativi sia i coloni di origine europea. Secondo calcoli recenti, circa 12 milioni di schiavi attraversarono l'oceano, mentre circa due milioni morirono durante la traversata.

Qualcosa cambia per gli schiavi africani quando, in seguito alla crescente industrializzazione delle regioni degli Stati Uniti nord-orientali, viene meno l'utilità economica dello schiavismo. Così nel 1863 un Proclama di emancipazione viene emanato dal presidente Abraham Lincoln (1860-1865), esponente del partito Repubblicano. Ciò è sufficiente perché i più estesi territori agricoli del profondo Sud diano vita a una coalizione degli Stati Confederati d'America a difesa della schiavitù, dando inizio a una sanguinosa guerra civile: la guerra di secessione americana (1861-1865). Con la sconfitta dei sudisti – appoggiati da indiani che erano diventati anch’essi proprietari di schiavi – fu approvato nel 1865 il XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America, in seguito al quale circa quattro milioni di schiavi neri furono liberati.

Ma non bisogna credere che la questione razziale sia stata così risolta. Infatti una serie di leggi prevedeva la separazione sui mezzi di trasporto, nelle scuole e nei luoghi pubblici, e la differenziazione anche dei bagni e dei ristoranti, tra quelli per bianchi e quelli per neri. Anche dopo l’abolizione di queste leggi, la segregazione è proseguita a lungo, seppur in altre forme, come per esempio la pratica di negare o aumentare i costi dei servizi bancari e assicurativi, e la difficoltà di accesso ai posti di lavoro e alle cure mediche.

E non va dimenticato che anche gli immigrati non protestanti provenienti dal continente europeo, in particolare i cittadini irlandesi, polacchi e italiani, subirono forme di discriminazione basate sull'etnia, così come ebrei, arabi e asiatici. Niente di paragonabile, però, a quanto subirono gli africani. Basta pensare alla regola vigente negli Stati del Sud, per cui bastava una sola goccia di sangue impuro per essere esclusi dalla comunità bianca. A un simile criterio, nota Domenico Losurdo, non è arrivata neanche la Germania nazista: "La definizione nazista di un ebreo non fu mai così rigida come la norma definita the one drop rule [regola di una sola goccia (di sangue)], prevalente nella classificazione dei neri nelle leggi sulla purezza della razza nel Sud degli Stati Uniti" 2.

Di solito si ignora, inoltre, il fatto che in una trentina di Stati dell’Unione il matrimonio interrazziale fu proibito sino al 1952 3. Per quanto possa apparire inverosimile, bisognerà aspettare sino al 1964 perché vengano rimosse le leggi razziste e anticostituzionali dei singoli stati, grazie all’approvazione del Civil Rights Act da parte del Presidente Lyndon Johnson (1963-1969).

 

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L’altro aspetto che ha caratterizzato i sentimenti del popolo americano, e ne ha influenzato le scelte politiche, è stata la convinzione di avere una missione unica nel mondo. Già nel 1776 Thomas Paine (1737-1809), studioso britannico trasferitosi da due anni in America e considerato uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti, affermava in un suo pamphlet, intitolato Senso comune, che “È in nostro potere di ricominciare il mondo da capo. Una situazione simile alla presente non accadeva dai giorni di Noè. Il giorno della nascita di un nuovo mondo è a portata di mano”.

Nel 1787 Thomas Jefferson, che diventerà presidente degli Stati Uniti (1801-1809), proponeva l’annessione di Cuba e del Canada, convinto che quello che definiva ‘l’impero per la libertà’ fosse chiamato a essere il più grande e il più glorioso “dalla Creazione ad oggi”. Similmente John Quincy Adams, futuro presidente (1825-1829), scriveva nel 1811 che “L'intero continente del Nord America appare destinato dalla Divina Provvidenza ad essere popolato da una nazione, che parla una lingua, professa un sistema generale di principi religiosi e politici, e condivide un tenore generale di usi e costumi sociali”.

E in effetti, il crescente potere della nazione indurrà il presidente James Monroe (1817-1825) ad enunciare, nel discorso sullo stato dell'Unione del 1823, quell’idea della supremazia degli Stati Uniti nel continente americano, che prenderà il nome di ‘Dottrina Monroe’. In quel discorso, il presidente affermò che qualsiasi intromissione di potenze straniere negli affari politici del continente americano sarebbe stata considerata come una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti, e non sarebbe stata perciò tollerata. La Dottrina Monroe diverrà un caposaldo della politica estera statunitense, e i Paesi europei hanno dovuto accettarla, lasciando a Washington l’egemonia sull’intero continente, anche se oggi essa si può considerare superata, perché gli interessi e gli interventi degli Stati Uniti vanno ben oltre quei limiti, tanto da assumere i caratteri propri di una politica imperialistica.

L’idea che gli USA abbiano una missione unica nel mondo trovò un’espressione particolarmente efficace ad opera di un giornalista, John Louis O'Sullivan (1813-1895) che, in un articolo pubblicato nel 1845, scriveva che gli Stati Uniti possono annettere nuovi territori “in nome del diritto del nostro destino manifesto di espanderci e di possedere l'intero continente che la Provvidenza ci ha dato per lo sviluppo del grande esperimento di libertà e di auto-governo federale che ci è stato affidato”. È significativo il fatto che le parole Destino Manifesto si ritrovino ancora nel discorso di insediamento del presidente Donald Trump del 20 gennaio 2025.

 

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Se questi sono i sentimenti, i costumi, le leggi che hanno caratterizzato la storia del popolo americano, non è affatto strano che ancora oggi milioni di americani si riconoscano nelle idee di Trump. Mi limito qui a riportare alcuni esempi di presidenti, che ovviamente hanno fatto anche cose molto apprezzabili, ma che hanno però condiviso posizioni razziste e imperialiste decisamente inaccettabili, che non possono essere taciute in una narrazione storica che voglia essere equilibrata.

Cominciamo con uno dei padri fondatori della nazione, il presidente Thomas Jefferson (1801-1809), principale estensore di quella Dichiarazione di indipendenza del 1776 che dichiarava: “sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”. Evidentemente l’espressione ‘tutti gli uomini’ non va presa alla lettera: in realtà si tratta soltanto dei bianchi; essa infatti non includeva, per Jefferson, gli schiavi, ai quali non apparteneva l’inalienabile diritto alla Libertà.

Convinto dell’impossibilità di una convivenza su basi egualitarie di bianchi e neri, egli stesso possedeva più di 600 schiavi, eppure una sua statua in bronzo, realizzata nel 1833, era collocata dal 1915 nella sala centrale dell'amministrazione newyorkese. Solo nel novembre del 2021 il consiglio comunale di New York ne ha deciso la rimozione e l’affidamento alla New York Historical Society.

Il presidente Andrew Jackson (1829-1837) va ricordato per la decisione di mettere in atto una deportazione di massa, già ipotizzata da Jefferson e definita nei dettagli da Monroe. Nel 1837, in base all’accordo con cui una minoranza di nativi cedeva Georgia, North Carolina e Tennessee ai bianchi, ordinò infatti che 16.000 membri della tribù dei Cherokee fossero deportati per un percorso di oltre 2.000 chilometri. Lungo quello che i Cherokee chiamano il 'Sentiero delle Lacrime', circa 4.000 deportati trovarono la morte 4.

Si capisce come, nel giugno del 2020, numerosi manifestanti antirazzisti abbiano legato con delle corde la statua di Jackson, che si trova a Lafayette Park, con l'obiettivo di abbatterla. La polizia ha immediatamente fatto sorvolare degli elicotteri sull'area, mentre numerosi agenti scendevano sul campo per fermare i manifestanti, usando spray al peperoncino. E si capisce come il presidente dell’epoca abbia minacciato con un tweet 10 anni di prigione per tutti coloro che commettevano atti di “vergognoso vandalismo contro la magnifica statua di Andrew Jackson”. Quel presidente era Donald Trump, in carica per il suo primo mandato (2017-2021).

Ma un’attenzione particolare merita Theodore Roosevelt (1901-1909), un presidente che, dalla convinzione che “il cowboy più malvagio possiede più principi morali dell’indiano medio”, ricavava la conclusione che non è il caso di prendersi cura di individui di una razza decisamente inferiore: “Se le classi migliori non si riproducono, la nazione andrà a rotoli, perché il problema veramente decisivo è incoraggiare a sopravvivere gli individui capaci e scoraggiare gli incapaci”. E trovava normale che la storia degli Stati Uniti fosse stata segnata dal massacro di milioni di nativi: infatti “Il nostro grande paese non è un’oasi di protezione per sporchi selvaggi, la cui vita è appena un paio di punti meno insignificante di quella degli animali selvatici”. Ebbene, quello di Theodore Roosevelt è il terzo dei quattro volti scolpiti sul monte Rushmore [il Monumento nazionale del Monte Rushmore è un complesso scultoreo nella roccia completato nel 1941, situato nel Dakota del Sud], assieme a quelli di George Washington, Thomas Jefferson e Abraham Lincoln, scelti perché rappresentavano rispettivamente la nascita, la crescita, lo sviluppo e la stabilità della nazione. E ancora alla fine del ’900 Ronald Reagan (1981-1989) e George H. W. Bush (1989-1993) prendevano ad esempio proprio Theodore Roosevelt come il presidente più rappresentativo della storia americana 5.

A un simile presidente era stato ovviamente dedicato anche un monumento equestre, installato nel 1940 davanti all’ingresso del Museo di scienze naturali, da lui fondato a New York. Roosevelt, a cavallo per una battuta di caccia, con la mano destra sulla pistola, era scortato da due figure a piedi: un indiano e un africano. Soltanto nel gennaio del 2022 questo monumento è stato rimosso dal suo piedistallo, per essere spedito alla Theodore Roosevelt Presidential Library di Medora in North Dakota.

Convinto che l’America “sia stata creata per guidare il mondo”, Woodrow Wilson (1913-1921) è stato presidente degli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale e l'immediato dopoguerra, e ha giocato un ruolo importante soprattutto alla conferenza di pace di Parigi (1919-1920), in cui gli Stati Uniti, per tanto tempo potenza economica e militare di secondo piano, acquistarono una posizione dominante sullo scacchiere internazionale. Ma spesso si dimentica che caratteristiche della sua politica furono un continuo incitamento alla segregazione razziale e al suprematismo bianco e un deciso imperialismo nei confronti delle nazioni deboli e arretrate del continente americano, come Messico, Nicaragua, Haiti, Panama, Cuba e Repubblica Dominicana, dove l'esercito degli Stati Uniti si rese complice di numerosi massacri.

Wilson è stato anche rettore dell'Università di Princeton, che era poi stata a lui intitolata. Nel 2020, però, il suo nome è stato rimosso: il consiglio dell’Università ha infatti deciso che "il pensiero e le politiche razziste dell'ex presidente lo rendono inappropriato a rappresentare una scuola o un college dove studiosi, studenti e ex studenti devono opporsi saldamente al razzismo in tutte le sue forme". La Scuola è ora chiamata "Princeton School of Public and International Affairs".

Harry S. Truman, presidente degli Stati Uniti dal 1945 al 1953, va ricordato per essere, sino ad oggi, l’unico capo di Stato che si è assunto la responsabilità di fare uso della bomba atomica. La prima fu sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945 e la seconda su Nagasaki il 9 agosto, con un totale di più di 200.000 morti. La dichiarazione di Truman, secondo cui Hiroshima era una base militare, era in realtà falsa; inoltre, l'imperatore giapponese Hirohito aveva già iniziato a trattare la resa con Stalin a partire da metà luglio, cosa di cui Truman era stato immediatamente messo a conoscenza, come risulta dal suo stesso diario autografo. Nel 1946 fu, ovviamente, vietata la pubblicazione di qualunque documento da cui risultasse che la bomba atomica era stata lanciata su un popolo che aveva già chiesto la fine della guerra.

Chiudiamo la rassegna con George Bush Jr. (2001-2009) che, dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, ha definito i Paesi accusati di favorire il terrorismo "stati canaglia", un "asse del male" da combattere anche con una guerra preventiva, attribuendo agli Stati Uniti, come potenza egemonica del mondo, il diritto di usare la forza per difendere i valori occidentali. In un discorso del 2002 alle emittenti religiose, Bush dichiarava che "La libertà non è un dono degli USA al mondo, è un dono di Dio a tutta l’umanità, e per questo la nazione che incarna la libertà deve portare questo dono divino ad ogni essere umano, in tutto il mondo". L'impegno di «estendere democrazia, libertà e sicurezza in tutte le regioni» del mondo, formulato in quella che viene definita ‘Dottrina Bush’, si concretizzò, per esempio, nella guerra all’Iraq, giustificata dalla presenza in quel Paese di armi di distruzione di massa, che in realtà non vennero mai trovate. Iniziata nel marzo del 2003, la guerra – definita illegale, in un’intervista del 2004 alla Bbc, da Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite dal 1997 al 2006: «La guerra americana in Iraq è illegale e contravviene alla Carta della Nazioni Unite» – ha causato nel corso degli anni, secondo la rivista americana Physicians for Social Responsibility, almeno un milione di morti.

 

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Se gli USA hanno avuto presidenti, sia democratici che repubblicani, del genere – che per altre scelte politiche, ripeto, meritano invece giudizi decisamente positivi – è assolutamente ingiustificato lo stupore per la rielezione di Trump. Il suo programma, che comprende una grande deportazione di migranti, odora di razzismo? Ebbene, è in assoluta continuità con i suoi predecessori: infatti “Tra il 2017 e il 2021, sempre gli anni di Trump alla Casa Bianca, sono state deportate un milione e mezzo di persone. In due mandati, Barack Obama (2009-2017) ha deportato cinque milioni di irregolari; George W. Bush (2001-2009), sempre in due mandati, dieci milioni; Bill Clinton (1993-2001), ancora in due mandati, dodici milioni” 6.

Ed è un programma che non nasconde mire imperialistiche? Anche sotto questo aspetto – mi pare più che documentato – nulla di nuovo. Mi sembrano, perciò, condivisibili le parole di Elena Basile, dal 2013 al 2021 ambasciatrice d'Italia in Svezia e in Belgio, che nel 2023 ha dato le dimissioni per incompatibilità tra i suoi principi morali e gli obiettivi della nostra politica estera: “L’elezione di Trump ha sconvolto le élite europee. È sbalorditivo ascoltare gli esponenti delle due destre (centrodestra e centrosinistra). Scoprono oggi che gli Stati Uniti sono un impero aggressivo, che sono una oligarchia illiberale, che hanno rinunciato al multilateralismo e perseguono in Europa i propri interessi geopolitici economici ed energetici. Hanno avuto bisogno del linguaggio grezzo e poco mediato di Trump per realizzare quello che a un analista attento è evidente da diversi decenni” 7.

 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025

 

1 Oggi si comincia finalmente ad avvertire la necessità di modificare la narrazione corrente, che esalta la ‘scoperta dell’America’ ad opera di Cristoforo Colombo, integrandola con la storia del genocidio, dell’oppressione, della distruzione, delle espropriazioni e delle violazioni dei diritti umani dei nativi. Ne è prova il fatto che, mentre il presidente Franklin Delano Roosevelt (1933-1945) nel 1937 stabilì che il giorno di Colombo diventasse una festività federale, “negli ultimi anni un nuovo sentimento si è diffuso nel Paese che ha spostato l’attenzione sulle sofferenze inflitte ai popoli indigeni in seguito a quell’evento. Così molte città hanno deciso di sostituire il Columbus Day con l’Indigenous Peoples’ Day, per rendere omaggio ai Nativi Americani” (M. Mistretta, Stati Uniti. L'attenzione per gli indigeni «oscura» il Columbus Day, Avvenire 18/10/2017).

2 D. Losurdo, Controstoria del liberalismo, Roma-Bari 2005. Da questo testo traggo molte delle notizie che riporto in questo articolo.

3 Già nel 1916 l’antropologo Madison Grant (1865-1937) aveva pubblicato un libro, The Passing of the Great Race [La scomparsa della Grande Razza], in cui sosteneva che la presenza di esseri inferiori, gli africani usati come manodopera a basso costo, che avevano però un alto tasso di riproduzione, avrebbe spazzato via la razza bianca. Proponeva, perciò, un massiccio piano di sterilizzazione che avrebbe portato alla loro eliminazione, assieme a quella dei disabili e dei criminali. Va ricordato, per inciso, che l’opera di Grant fu molto apprezzata da Adolf Hitler, che chiamò questo libro “la mia Bibbia” e lo utilizzò come base per il suo Mein Kampf. Negli Stati Uniti queste pratiche eugenetiche coatte sono rimaste invece a lungo in vigore, e “sono state vietate soltanto nel 1973 dal "Dipartimento per la salute e il benessere", in seguito alla delibera di una commissione senatoriale, presieduta da Ted Kennedy” (G. Moriani, Eugenetica made in Usa, "Il Manifesto" 6/2/2001).

4 Stabilitisi in un continente abitato da esseri considerati inferiori, per gli europei legati alla tradizione biblica, soprattutto veterotestamentaria, era ovvio identificarsi col popolo di Israele, che ha il diritto di impadronirsi della terra promessa da Jahvè. A un disegno provvidenziale, seppur doloroso per molti, fa riferimento in un’opera di immediato successo anche un pensatore francese liberale, Alexis de Tocqueville (1805-1859), che ha conosciuto negli anni 1930-1931 l’America di Jackson: “Sembra che la Provvidenza, ponendo queste genti [i nativi] fra le ricchezze del Nuovo Mondo, ne abbia dato loro solo un breve usufrutto; in un certo senso, esse erano là solo ‘in attesa’. Quelle coste così adatte al commercio e all’industria, quei fiumi così profondi, quella inesauribile vallata del Mississippi, quell’intero continente, apparivano allora come la culla vuota di una grande nazione” (A. de Tocqueville, La Democrazia in America, 1835; 1840).

5 Traggo le informazioni su Roosevelt e Wilson da E. Drewermann, Dal discorso della montagna. Le Beatitudini e il Padre nostro, Brescia 2000.

6 R. Festa, Il confine lo ha già sigillato Joe Biden, Il Fatto Quotidiano, 26/1/2025.

7 E. Basile, Solo ora si accorgono della prepotenza Usa, Il Fatto Quotidiano, 4/2/ 2025.

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