La prevalenza del ridicolo

di Corrado Fois - liberacittadinanza.it - 17/04/2024
Invito Israele ed Iran alla moderazione- Putin // il bue che dice cornuto all’asino- Motto Popolare

In mezzo alla guerra mondiale, sotto i bombardamenti od in montagna, la gente sapeva ridere. Non era soltanto una difesa dalla disperazione, è che davvero nulla ferma la spontanea reazione a ciò che appare paradossale, grottesco. Sta nella natura umana. In proposito Baudelaire diceva la chiesa predica che il riso sia diabolico, allora è perfettamente umano. Se un ente, un sistema, un potente appare grottesco agli occhi di tutti, appare anche debole e frangibile. Toglie timore, innesca delegittimazione. L’enfasi del paradossale è da sempre un’arma politica di grande efficacia. Mussolini chiamava il ridicolo re nano sciaboletta, una rasoiata. I partigiani chiamavano lui el crapun, per via della grossa testa sgraziata e rasata.

Il ridicolo – specie se involontario – scatena la risata, poco male se acida ed amara. Ricordo il racconto, veritiero, di un funerale. Gli addetti portavano fuori la bara di una nonna che a 98 anni si era spenta serenamente ( vulessimo vedé che s’incazzava, direbbero a Napoli ). Per un errore dei portantini la bara cade e scivola lungo la scala. Una nipote con tono straziato grida Nonna dove vai? Panico di tutti che soffocano nei fazzoletti incontenibili risate. Biden ospite della corte inglese scorreggia. Triste incontinenza di un anziano, ma come non ridere? Per la cosa in sé e perché lui sarebbe l’uomo più potente del mondo. In una tv americana un comico acido come Chris Rock ha commentato that’s the last american revolution. Da sbellicarsi. Crozza lo ha caricaturato e la sua imitazione ha fatto il giro del mondo ( https://www.youtube.com/watch?v=6dADyPBHeOg ).

Il ridicolo è un’arma di resistenza popolare. A volte sconfina nell’amarezza, a Roma nel 1945 sui muri del centro comparve una scritta cubitale annatevene tutti, lasciatece a piagne soli. Ma 20 anni dopo si rideva per un’altra scritta cubitale, rivolta al PCI in piena svolta migliorista: ahò, aridatece er baffone! Sul finire degli anni ’70, dopo un lustro di slogan truci, si diceva una risata vi seppellirà. Si voleva rendere eclatanti, con il sarcasmo e la satira, le contraddizioni del potere così come insegnava Guy Debord. Ma le cose goffe, le ridicolaggini dei politici erano allora eccezioni. Oggi, dopo la voluta consunzione delle ideologie e nel vuoto dei valori dismessi, il ridicolo è diventato prassi diffusa. Una premier sotto la giacchetta è ridicola, una capo dell’opposizione che racconta le sue armocromie non lo è da meno. Le sceneggiate post pandoro della coppia più bella del mondo fan da specchio agli strafalcioni del ministro della cultura che mette Times Square a Londra o col ministro della giustizia che confessa d’essere pantofobico. Sono cose grottesche ed esilaranti così come sentire Putin che invita alla moderazione Israele ed Iran. Per dirla con Fiorello è come vedere Canavacciuolo che parla di diete. Siamo ormai quotidianamente davanti ad uno spettacolo che non ha bisogno della lente deformante della satira. Il potere si rende ridicolo da solo. Ma è un bene? Non credo. Almeno, non lo credo più.

Istituzioni spettacolo

Berlusconi è stato il primo responsabile dell’involontario ridicolo istituzionale. Dai cucù alla Merkel, alle barzellette sconfortanti, alla nipotizzazione di Mubarak fatta votare in Parlamento, una roba che non si vedeva dai tempi di Caligola. All’inizio il suo stile da venditore di tappeti un po' funzionò. Veniva incontro al desiderio popolare di vedere aria nuova in cucina. Dopo anni di cervellotiche elucubrazioni di De Mita e di estenuanti e tronfie pause craxiane vedere un ometto sornione e compiaciuto di sé faceva sorridere. Ma nel medio del suo potere e poi nell’infinitamente lungo della sua agonia politica, l’ostinarsi a far macchietta fu devastante per la reputazione delle istituzioni.

Non erano da meno i vaffanculo di Grillo, i congiuntivi arditi del Di Maio, le smorfiette di Renzi. Vogliamo dimenticare le canottiere di Bossi, le minchiate omofobe di Giovanardi, le circonlocuzioni di Vendola? Scivolando nel tempo ci troviamo, oggi, davanti ad un palcoscenico che rigurgita tipi esotici, millantatori e imbarazzanti che manco nelle commedie di Plauto e nelle caricature di Petrolini. Il ridicolo ormai connaturato alla partitica è una delle cause che hanno prodotto il crollo verticale della partecipazione al voto degli italiani, un tempo entusiasti elettori come racconta la scena finale di C’è ancora un domani, forse il momento più intenso del film. Le vicende pugliesi sono la summa del grottesco e del patetico che siamo costretti a subire.

Istituzioni da avanspettacolo quelle italiane. Certo faceva ridere Hollande che sbagliava tutte le entrate e le uscite da ogni palco, ma sul palco non era mai ridicolo. E’ buffo Scholz che imita la determinazione della Merkel senza averne il carisma né la storia umana. Lo chiamano scholzel apposta. Eppure se lo si guarda si coglie lo sforzo per essere all’altezza del ruolo che ricopre. Da noi no. I nostri scappati di casa arrivano sul proscenio nature, come mamma li ha fatti. Improvvisano, non studiano, non hanno manuali di negoziazione, vanno in scena alla viva il parroco, come butta butta. Tanto il pubblico è fesso, pensano. Una totale mancanza di rispetto per le due più grandi istituzioni repubblicane: il parlamento ed il Popolo.

Uno spettacolo che non fa più ridere, non rende esplicita la contraddizione. Fa solo paura. Perché la crisi della reputazione istituzionale è la crisi della Repubblica.

La prevalenza del ridicolo

Di coalizione riparleremo dopo il voto, avrebbe detto la Schlein riferendosi alle Europee come traguardo ed alle elezioni pugliesi come circostanza. Se traferita esattamente dalla stampa questa considerazione è ridicola. Come se Spalletti dicesse della formazione parliamo dopo la partita. Ma come si può ragionare così? La coalizione è il frutto di una definizione strategica condivisa è la strategia lavora a partire dal presente per costruire il futuro. Se non ci sono fondanti per l’accordo oggi questo non sarà praticabile domani. Insistere è patetico. Inoltre, che diamine di obiettivo sarebbe quello dichiarato per l’ipotetica coalizione, uniamoci dobbiamo battere la destra? Ma che cacchio, battere la destra è una condizione non un obiettivo.

L’obiettivo è governare col progetto di riformare l’Italia, modernizzarla, renderla un sistema equo e trasparente. Per questo scopo strategico la parte tattica è superare la destra alle elezioni. Cosa diamine pensano di dire al pubblico questi personaggi singolari, aiutateci a battere la Meloni? Perché dovrebbe un elettore andare a votare, per cambiare un culo su una sedia? Suvvia, siamo davvero davanti ad un ragionamento irragionevole, dunque grottesco.

La costruzione di un accordo di coalizione che nasce zoppo è come il ponte sullo stretto voluto da quell’altro soggetto singolare, il sior Salvini. Un ponte che costa più di 15 miliardi unirebbe due tra le più sgangherate reti ferroviarie e stradali d’Europa. Per andare in treno od in auto da Catania a Palermo si impiegano tre ore. Se va bene. Logica vorrebbe che prima si investa sulle infrastrutture essenziali, binari ed asfalto, si mettano in sicurezza i ponti esistenti e pericolanti e solo dopo si pensi alla congiunzione sullo stretto. Peraltro incastrata su due sponde ad alto rischio sismico. Un’idea ridicola.

Così com’è ridicola l’idea dell’autonomia differenziata, aggettivo buono la nettezza urbana. Io credo che il federalismo sia una strada ragionevole, come si vede in Svizzera od in America. Poggia su una logica paretiana perché suddivide la complessità in perimetri precisi, tuttavia è un sistema delicato e complesso. Questi gonzi della lega lo rendono banale e semplicistico, ma esso può funzionare solo a due condizioni 1) che si fondi sul principio di cooperazione tra diversità, se no è secessione; 2) che il potere centrale, per ruolo intermediatore tra regioni e gestore strategico, funzioni perfettamente. In assenza di queste due condizioni l’autonomia è solo ulteriore casino. Così come è ovvio che la Costituzione vada riformata, è tempo ed è ragionevole, ma è anche molto pericoloso se a metterci mano sono il gruppo di sprovveduti che abbiamo nei corridoi di Montecitorio, scelti tra parenti e famigli eletti con voto a capocchia.

La prevalenza del ridicolo in tempi di così grande trasformazione è un rischio clamoroso. Non è più quel ridicolo che scatena ilarità, com’era in passato. E’ una cosa mesta.

Non viene affatto da ridere se si guarda a governo ed opposizione italiani nel quadro degli eventi internazionali. I politici, intestandosi il ruolo di comici, hanno svuotato di senso quella risata popolare che avrebbe dovuto seppellire il potere. Al contrario, ci seppelliranno loro, sotto il cumulo delle micidiali minchiate che producono con straordinaria continuità.

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