In ricordo di Paul Ginsborg

di Pancho Pardi - 12/05/2022
Il commiato si terrà sabato 14 maggio, alle ore 15.00 nella sala delle Leopoldine piazza Tasso7, Firenze

Quando interveniva su materia politica negli incontri pubblici o nelle nostre riunioni di movimento Paul Ginsborg spesso si appoggiava su una sua formula abituale: "parlo da storico". Voleva essere una manifestazione di modestia, ovvero: non voglio passare da politico, non sono un soggetto in primo piano, sono semmai un osservatore critico. Come negarlo? Era uno storico, e in quanto storico davvero di primo piano. Ma la formula si prestava anche all'esercizio di una leggera ironia. Soprattutto quando, e accadeva non di rado, i politici di professione mostravano le loro insufficienze e invece i soggetti del movimento, compreso lo storico, proponevano discussioni e proposte più creative.

Ho conosciuto Paul Ginsborg molto prima dell'inizio dei movimenti, mi sembra nel 1991 quando Claudio Greppi, che aveva curato il libro, lo aveva invitato alla presentazione di un volume su "Il paesaggio delle colline toscane", cui avevo collaborato anch'io. L'intervento di Paul fu molto interessante e gli devo anche il suggerimento di leggere "Guerra in Val d'Orcia" di Iris Origo, che allora non conoscevo. Diventammo presto amici insieme alle nostre mogli, Maria e Ayshe. Ci scambiavamo cene e libri. Venivano da noi in campagna a far funghi, grande passione di Paul. Allora il figlio suo e di Ayshe era piccolissimo e ormai ha superato i trent'anni. Paul aveva un modo di parlare molto originale, almeno per noi latini rumorosi. A bassa voce con una giusta misura di esitazione e di sospensioni interrogative. Non ho mai assistito a una sua lezione ma poiché per fortuna gli studenti hanno una vita errabonda, con circuiti culturali misteriosi, mi sono capitati ogni tanto studentesse e studenti affascinati dalla sua profonda capacità didattica.

I nostri rapporti hanno avuto una svolta comune da quando Berlusconi andò al governo. Abbiamo sempre sentito come fatto intollerabile che un monopolista televisivo potesse salire al vertice del potere politico, un'anomalia che nessun paese democratico avrebbe ammesso. Ed era toccata a noi. Dopo le violenze poliziesche di Genova 2001 (la famigerata "macelleria messicana", secondo il ritratto di uno stesso poliziotto) ci eravamo giurati che nel momento in cui Berlusconi avesse preso una nuova iniziativa contro la Giustizia (e a suo personale favore) ci saremmo mossi comunque anche se fossimo stati soli. All'inizio del gennaio 2002 il procuratore generale di Milano Francesco Borrelli lanciò un appello a "Resistere, resistere, resistere" contro l'assalto allo stato di diritto perpetrato dalle leggi volute da Berlusconi. Per noi fu come un frustata. Se perfino i magistrati esprimevano allarme, sarebbe stato da vigliacchi non far nulla. Convocati a casa di Paul ci riunimmo in dieci e ognuno di noi doveva trovare dieci firme per l'appello scritto sul momento. Ne trovammo centinaia e con quelle si indisse una manifestazione pubblica per il 24 gennaio. Quel giorno pioveva per la prima volta da mesi ma la manifestazione fu un successo insperato. In almeno dodicimila dietro a uno striscione su cui stava scritto "Informazione e giustizia imbavagliate Democrazia in pericolo" marciammo dal Rettorato al Palazzo di Giustizia dove trovammo i magistrati sulla scalinata.

Da quel giorno un crescendo rossiniano. Negli stessi giorni partirono i Girotondi a Roma e Milano e ben presto trovammo una comune intesa. Il Palavobis a Milano ai primi di marzo rese evidente che era necessario stabilire un coordinamento nazionale. Poco dopo partecipammo alla grande manifestazione indetta dalla CGIL guidata da Cofferati al Circo Massimo di Roma, la più grande manifestazione in Italia di tutti i tempi. Ma d'estate, stagione propizia alle malefatte parlamentari, ripartì l'azione berlusconiana contro la giustizia. E così il 31 di luglio un raduno spontaneo davanti al Senato indisse una manifestazione nazionale contro le leggi vergogna per il 14 settembre a Roma: Una Festa di Protesta. Fu un successo colossale, talmente esagerato che dopo risultava impossibile mantenersi al livello di quella giornata.

A Firenze il movimento cosiddetto dei professori si organizzò in Laboratorio per la Democrazia e iniziò un suo cammino molto radicato sui problemi locali e regionali senza perdere di vista le relazioni nazionali con le altre sedi. Paul Ginsborg fu un cardine essenziale del Laboratorio, animatore persuasivo e suggeritore instancabile di temi e iniziative. Il Laboratorio si articolò in diverse commissioni centrate su vari i temi, non solo Informazione e Giustizia , ma anche Scuola, Costituzione, Politica locale, Nuovi stili di vita e altri. Un punto fisso di attenzione di Paul fu sempre la necessità del protagonismo femminile, nelle grandi come nelle piccole cose. Il Laboratorio è durato parecchi anni e ha rappresentato a lungo una creativa spina nel fianco della politica cittadina e regionale.


Ma anche le cose belle finiscono e soprattutto i movimenti, che per loro fisiologia non possono diventare organizzazioni strutturate, hanno difficoltà a durare. I partiti hanno un'attitudine a usare a proprio vantaggio lo stimolo esercitato dai movimenti. La loro interlocuzione con la società civile è finalizzata al guadagno elettorale ma in modo poco lungimirante, tanto da perderlo rapidamente a causa delle delusioni inflitte. Anche soltanto per puro opportunismo converrebbe ai partiti riconoscere ai movimenti una certa sovranità, ma è nella loro natura non farlo. Questo tema con tutti i suoi contorni è stato a lungo al centro della riflessione storico-politica di Paul, che negli ultimi anni ha continuato in nuove forme la sua militanza, anche come presidente di Libertà e Giustizia. Non so, forse alla fine ha sentito il peso del disincanto, ma non riesco a persuadermene, perché l'immagine che mi resta più ferma di lui è il suo sorriso incerto che sembra alludere a una qualche misteriosa speranza.



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