A pensar male … (si fa peccato, ma spesso ci si indovina, cit.: Andreotti).

di Francesco Baicchi - 31/10/2016

Si stima in circa un milione e mezzo il numero dei cittadini residenti fuori dall’Italia che voteranno per il referendum del 4 dicembre prossimo, ma potrebbero essere molti di più.

E’ quindi evidente che, visto che si prevede un testa-a-testa fra le due parti contrapposte, il voto degli Italiani all’estero potrebbe essere determinante.

Ma è proprio in questo particolare campo che si possono verificare le maggiori violazioni della parità fra i contendenti che costituiscono una garanzia fondamentale.

Infatti, come è facilmente comprensibile, la stampa estera (a cui si presume che questo particolare tipo di elettori faccia ordinariamente ricorso) non può che dare maggior risalto alla valanga di comunicati provenienti da fonte governativa rispetto alle argomentazioni  fornite dalle opposizioni. Già questo è l’ennesimo argomento contro una iniziativa che proprio dal governo (e non dal Parlamento) trae origine e promozione, ma assai più gravi sono i rischi di irregolarità nella espressione del voto.

A questo proposito l’articolo 12 della legge 27 dicembre 2001, n. 459 (Norme per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all' estero) descrive una procedura di votazione che sembra studiata appositamente per consentire manipolazioni.

I Consolati devono infatti spedire al domicilio di quanti hanno diritto di voto un plico contenente una scheda (senza timbro, firma o altro) e un certificato con un tagliando. Espresso il voto l’elettore inserisce la scheda in una busta che provvede a sigillare, unisce (fuori dalla busta) il tagliando e rispedisce il tutto al consolato, che provvederà a inviare all’ufficio elettorale centrale di Roma le sole buste sigillate.

Il primo problema consiste nel fatto che il numero delle schede che vengono stampate a cura dei singoli consolati è superiore al numero degli elettori potenziali.

Il secondo che il mancato invio del plico, o il suo mancato arrivo all’elettore/elettrice, può emergere solo per iniziativa di quest’ultimo. L’esperienza dimostra che in alcuni Paesi la maggioranza degli ‘aventi diritto’ non sa nemmeno dell’esistenza del referendum, e comunque non è interessato a votare, quindi si presume non si attiverà se il plico non arriva.

Può anche verificarsi che, se non coinvolto, il potenziale elettore ceda (a qualunque titolo) il plico elettorale a altri, evidentemente più interessati.

Quindi in realtà chiunque entri, in qualunque modo, in possesso di un plico (tagliando + scheda) può tranquillamente esprimere uno o più voti.

Esiste un’altra e più grave possibilità, che cito solo per completezza: che all’arrivo delle buste accompagnate dal tagliando esse possano essere sostituite da altre già votate, vista la impossibilità di collegare la busta ‘vera’ all’elettore (se non, appunto, per la presenza del tagliando, che viene separato dalla busta).

 Potrebbe infine anche avvenire che alcune buste vengano dichiarate ‘arrivate fuori tempo’ e quindi il relativo voto annullato, perché la legge non prevede l’uso della raccomandata con avviso di ricevimento.

 Insomma molti e gravi sono i possibili ‘incidenti’ che possono falsare la reale volontà dei nostri concittadini che vivono all’estero, magari da generazioni e senza nemmeno conoscere bene la nostra lingua. E che non si tratti solo di possibilità remote è dimostrato da non lontane vicende di cronaca.

Una corretta informazione rivolta a questi elettori e una attentissima sorveglianza delle varie procedure affidate al personale consolare costituiscono un dovere ineludibile da parte di chi ha la responsabilità di garantire la legalità e la correttezza della consultazione.

Lo scenario di una modifica costituzionale che entra in vigore per una vittoria referendaria ottenuta solo grazie a questa categoria di elettori sarebbe senza dubbio legittimo, ma di una gravità politica inaudita.

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