Di male in peggio

di Francesco Baicchi - 29/03/2014

I facili slogan sulla riduzione dei 'costi della politica' e del numero dei parlamentari, sulla semplificazione della pubblica amministrazione e sul 'fare' vengono senza dubbio incontro al malcontento popolare verso una casta che si è dimostrata in larga parte incapace, oltre che indegna.

Non possono però nascondere le drammatiche conseguenze che avrebbe l'approvazione delle 'riforme' istituzionali concordate fra Berlusconi e Renzi, che non a caso ricalcano in gran parte la riforma bocciata a larga maggioranza nel 2006 da un ampio schieramento di cui faceva parte anche l'attuale PD, non ancora renziano.

L'attuale presidente del consiglio non nasconde d'altronde il proprio disegno, annunciando la sua scelta per il bipartitismo (non più bipolarismo) e poteri quasi dittatoriali per il capo dell'esecutivo, mentre tenta di imporre tappe forzate per l'approvazione di un insieme di provvedimenti che convergono a disegnare un modello di società che ci riporterebbe indietro di un secolo.

Purtroppo il nostro è un Paese di corta memoria, facilmente influenzabile dalla ossessiva campagna di disinformazione portata avanti da buona parte dei grandi media nazionali, affascinati dal dinamismo del nuovo 'uomo della provvidenza'.

Così il miraggio elettoralistico di un bonus di pochi euro mensili e la serie di generici annunci quasi sempre rapidamente smentiti sovrastano e soffocano facilmente, oltre al ricordo del referendum del 2006, la voce della grande maggioranza dei giuristi che mettono in guardia da provvedimenti delle cui conseguenze reali si dice poco o niente.

Provvedimenti che si intende far approvare da un Parlamento composto (non eletto) mediante una legge dichiarata incostituzionale, che avrebbe dovuto limitarsi ad approvare un nuovo sistema elettorale e mandarci al più presto alle urne; e che comunque non è certo legittimato a stravolgere la nostra Costituzione.

Invece Renzi, forte dell'appoggio del pregiudicato Berlusconi e, finora, di Napolitano, dimostra di voler ignorare totalmente la sentenza della Corte Costituzionale, pretendendo l'approvazione di una legge elettorale che non risolve nessuna delle cause di incostituzionalità della precedente, e anzi la peggiora.

Anche per le altre 'riforme' costituzionali sembrano non valere più gli impegni che erano stati presi non molti mesi fa dal precedente governo (sempre con il benestare del Presidente Napolitano), con il ddl costituzionale del giugno 2013. In quel testo, che istituiva un comitato parlamentare incaricato di redigere le proposte di riforma costituzionale, il governo e la sua già anomala maggioranza si impegnavano a non presentare più riforme costituzionali 'globali', ma solo progetti di legge 'omogenei e autonomi dal punto di vista del contenuto e coerenti dal punto di vista sistematico' (art. 4 , secondo comma). Ben diversi dunque dal testo che si intende ora depositare al Senato, che tratta dell'abolizione di una delle Camere, dei procedimenti legislativi, della cancellazione delle Province, delle competenze delle Regioni, forse del potere di revoca dei ministri, ecc ….

Si avverano oggi le peggiori previsioni di quanti individuavano nella scelta maggioritaria e bipolare l'avvio di un processo involutivo e pericoloso, e nella sostanziale accettazione del conflitto di interessi berlusconiano, del leaderismo rampante e della logica antidemocratica del 'porcellum' una svolta inaccettabile da parte del PD, motivata solo dall'arroccamento difensivo di gruppi dirigenti decotti e compromessi.

Le leggi per l'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di regione, che ci vengono riproposte come modello positivo, sembrano volerci far dimenticare i disastri e i fenomeni di malcostume, clientelismo e corruzione derivanti proprio dalla inamovibilità di personaggi sostanzialmente incontrollabili da parte di organismi assembleari privati di ogni potere e solo formalmente rappresentativi della volontà popolare.

Il 25 maggio, come dimostra la forsennata campagna elettorale dell'attuale presidente del consiglio, la posta in gioco non sono solo alcuni seggi al Parlamento europeo: è una occasione forse unica di arrestare un modello di politica spettacolare che punta a cancellare principi fondamentali come l'uguaglianza, la solidarietà, la ricerca del consenso, la partecipazione popolare alle scelte politiche, il bilanciamento dei poteri per impedire tentazioni autocratiche.

Alla nostra Costituzione repubblicana e antifascista, che ora si tenta di stravolgere per un ritorno a logiche autoritarie e alla eliminazione per legge del dissenso, si può rimproverare solo di non aver forse previsto la mancata capacità di reazione di una opinione pubblica che, forse delusa da troppi colpevoli fallimenti della sinistra, non riesce a superare anacronistiche divisioni identitarie e a unirsi in un grande movimento di alternativa e di difesa del sogno di una società meno ingiusta.

Dobbiamo sperare che anche questa volta, come accaduto in altre occasioni fondamentali, gli Italiani e le Italiane ritrovino la capacità di indignarsi e rivendicare i propri diritti democratici, pretendendo di esprimere la propria volontà, che non hanno delegato a un Parlamento che non li rappresenta.

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