La Delrio: una tessera del mosaico

di Francesco Baicchi - 20/11/2014

 Non si parla, né si scrive quasi più della ‘riforma’ Delrio, che poche settimane fa ha trasformato i consigli provinciali in comitati di sindaci e consiglieri comunali nominati dai loro colleghi, lasciando intatti gli apparati amministrativi (e i relativi costi).

Eppure si tratta della prima (e speriamo ultima) ‘riforma’, di tutte quelle messe in ponte per demolire l’assetto democratico della nostra Repubblica, che Renzi riesce a portare a compimento, anche se parzialmente e lontana da quella ‘cancellazione delle province’ che aveva annunciato.

Ricordo che con la nuova legge, nell’attesa di cancellare le province dalla Costituzione, l’attuale governo ha pensato di modificare la natura dei soli consigli, da assemblee  democraticamente elette dai cittadini a organismi ‘di secondo livello’, formati da consiglieri comunali e sindaci scelti, con un procedimento macchinoso, dai loro pari grado.

Lo schema è simile a quello che si sta cercando di imporre per il Senato, che si vorrebbe non più espressione della volontà dei cittadini, ma eletto e formato da consiglieri regionali con una spruzzata di sindaci.

Dato che i consiglieri provinciali non godevano di indennità, ma solo di gettoni di presenza, la riduzione di spesa è irrisoria, mentre l’effetto più tangibile è la scomparsa della rappresentanza di interessi e opinioni minoritarie, anche se magari lungimiranti. Cioè l’ennesima forzatura in direzione di un bipartitismo obbligato, che nella versione del Nazareno tende al partito unico.  

La ricerca di dimensioni ottimali per la gestione dei servizi, anche mediante la fusione degli enti esistenti, sarebbe di per sé giustificabile e ragionevole, molto più preoccupante invece appare l’ennesimo tentativo di ridurre la partecipazione alla gestione della ‘cosa pubblica’ e di distorcere il sistema rappresentativo con ingegnerie istituzionali che lasciano fuori dalle sedi decisionali un numero sempre maggiore di cittadini e cittadine, e con essi l’espressione di un eventuale dissenso nei confronti del ‘pensiero unico’ su cui convergono PD e Forza Italia (o come si chiamerà a seconda dell‘umore del suo leader).

Proprio questo appare l’obiettivo reale sia della Delrio che della nuova legge elettorale nazionale (detta italicum) che Renzi e Berlusconi cercano di imporre a tappe forzate, che distorce la volontà degli elettori trasformando una minoranza in maggioranza e impedendo loro di sceglier da chi farsi rappresentare.

Il ‘combinato-disposto’ dell’italicum e delle modifiche costituzionali, inoltre, quasi cancella il ruolo del Parlamento e la tradizionale separazione dei poteri, indispensabile garanzia di libertà e democrazia. Snaturando gli equilibri pensati nella Costituente per impedire il ritorno del fascismo si rischia quella ‘dittatura della maggioranza’ già temuta da Tocqueville, aggravata appunto dal fatto di essere rappresentativa solo di una minoranza dell’elettorato.

E in questa prospettiva deve essere valutata la gravità della legge Delrio, anche se relativa solo alla dimensione provinciale.

L’evoluzione storica degli assetti istituzionali si è sempre mossa nel senso di un crescente coinvolgimento dei cittadini; nella storia italiana si è passati da un corpo elettorale inferiore al 2% della popolazione (1861, Statuto Albertino) al suffragio universale maschile del 1919, ma le donne hanno potuto votare per la prima volta solo nel 1946 (portando la partecipazione effettiva al voto a quasi il 90% degli aventi diritto). E’ appena il caso di ricordare che, fra il 1924 e il 1926, già il regime fascista aveva abrogato l’elettività delle amministrazioni provinciali.   

Il fatto che alle elezioni europee di quest’anno abbia votato solo un/una italiano/a su due non può non essere interpretato come una drammatica involuzione sul piano della civiltà.

Prima di accettare la teorizzazione del disimpegno dei cittadini e il dilagare della ‘anti-politica’ dovremmo però tenere conto della crescente presenza nel nostro tessuto sociale di comitati e associazioni con obiettivi innegabilmente ‘politici’: la difesa dell’ambiente, l’equità sociale, la solidarietà, la pace, la lotta alla criminalità organizzata; inoltre della larga partecipazione registrata da alcune consultazioni referendarie: quella che nel 2006 bocciò il tentativo berlusconiano di stravolgere la Costituzione e quella più recente contro la privatizzazione dell’acqua, per esempio.

Non è dunque la ‘disaffezione’ per la politica all’origine dell’astensionismo dilagante, quanto piuttosto la sfiducia derivante dal tradimento sistematico della volontà popolare da parte della ‘casta’ politica, che a quei referendum non ha dato seguito e che attualmente ha originato un governo di fatto (PD+NCD+PdL, ecc…) che contraddice esplicitamente i programmi elettorali su cui i principali partiti sono stati votati nel 2013.

In un periodo storico che mette i governi di fronte a emergenze drammatiche come il dilagare della violenza e delle guerre, la distruzione dell’ambiente, l’esaurimento delle risorse alimentari ed energetiche, la massima partecipazione popolare alla definizione di politiche adeguate, che inevitabilmente comporteranno una modifica sensibile dei nostri modelli di consumo, appare essenziale per evitare il ritorno a modelli pesantemente autoritari e oligarchici. Comprimere se non cancellare mediante meccanismi distorsivi il potere dei cittadini di eleggere rappresentanti cui delegare le scelte va in senso esattamente contrario

 Per questo, e non solo per una difesa delle province come struttura amministrativa, sono ampiamente giustificati i numerosi ricorsi contro la Delrio che sono già stati presentati sia presso la Magistratura ordinaria e amministrativa, che presso la Corte Costituzionale, per ottenere la dichiarazione di incostituzionalità della norma per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 97, 114, 118, 119, 120 e 138 della Costituzione.

Sarebbe anzi opportuno che analoghi ricorsi venissero promossi in molte province dai cittadini privati del diritto all’elettorato attivo e passivo, come dimostrazione di netto rifiuto della logica e dei reali obiettivi che fanno di questo provvedimento una tessera di un pericoloso mosaico che gran parte della pubblica opinione sembra ignorare.

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