Quale stabilità?

di Francesco Baicchi - 09/01/2014
L’operato dell’attuale governo è la migliore dimostrazione che è necessario pretendere che siano i cittadini, informati correttamente e non solo con proclami e moniti, a decidere sulla necessità o meno di modifiche costituzionali

Se ancora ce ne fosse bisogno, il modo con cui si sta mettendo a punto la politica economica italiana per l’anno appena iniziato dimostra i rischi connessi con la ricerca di una ulteriore concentrazione di poteri nelle mani dei governi e delle coalizioni che li sostengono, definita da alcuni ‘stabilità’.
E dovrebbe portare a escludere ‘riforme’ costituzionali e modelli elettorali che puntino a rendere autosufficienti e permanenti le maggioranze governative, cancellando la centralità che la Costituzione assegna al Parlamento come sede della rappresentanza e interprete della volontà popolare. A maggior ragione dovrebbero essere esclusi meccanismi che quelle maggioranze facciano nascere non per volontà degli elettori, ma grazie a ‘premi’ che di fatto la distorcono.

Non mi riferisco solo alla grottesca vicenda (rientrata) dei ‘prelievi’ sugli stipendi degli insegnanti, ma all’insieme dei tentativi di far passare, più o meno clandestinamente, norme tendenti a far pagare ai soli contribuenti onesti (o che non possono sottrarsi al fisco) i privilegi concessi ad altri, come sembra dimostrare il nuovo scandalo Equitalia.
Stiamo assistendo a uno spettacolo indecoroso, colpevolmente applaudito dai massimi vertici dello Stato: negli ultimi mesi il governo regala miliardi ai gestori del giuoco d’azzardo, rinunciando ai propri crediti, e alle banche; non riduce il finanziamento ai partiti, già da anni illegittimo, ricorrendo all’ennesimo trucco di nasconderlo dietro la formula del 2 per mille; mantiene esenzioni fiscali e rinuncia a tassare adeguatamente le plusvalenze finanziarie. E magari dimentica di rinnovare la norma che, anche se in modo insufficiente, punta a difendere il pluralismo della informazione vietando allo stesso editore la proprietà di giornali e TV. 
Contemporaneamente inserisce nelle pieghe di un provvedimento ‘a collettame’, incomprensibile ai più, una miriade di gravami di cui veniamo a conoscenza solo grazie al lavoro certosino di qualche giornalista vero o dei ‘5 stelle’.
La speranza che quelli che solo benevolmente possono essere definiti errori, ma è legittimo ritenere siano invece scelte in favore di questo o quel centro di potere, siano corretti risiede solo nella facoltà di respingerli che detiene il Parlamento (anche questo discutibile Parlamento).
Così come dobbiamo alla Magistratura in generale e alla Corte Costituzionale in particolare, anch’esse minacciate da ‘riforme’, se in questo Paese la legge è ancora (quasi) uguale per tutti.

Proprio queste vicende dovrebbero imporre una attenta riflessione sulle revisioni costituzionali che ci vengono quotidianamente riproposte in coro come soluzione a tutti i mali che ci affliggono e che in sostanza puntano a ridurre proprio gli strumenti di controllo sull’operato degli esecutivi. La genericità con cui queste ‘riforme’ ci vengono presentate dovrebbe indurre il sospetto che il loro vero obiettivo sia in realtà solo comprimere i diritti dei cittadini e le garanzie di cui essi dispongono nei confronti di chi, legalmente o meno, gestisce il potere. Ridurre cioè il valore della Costituzione come riferimento ineludibile del nostro sistema istituzionale, che ne fissa i principi etici e gli obiettivi prioritari anche sul piano economico e sociale.
Dovremmo, per esempio, pretendere chiarezza sui contenuti e le vere finalità della ventilata ‘riforma della Giustizia’, divenuta urgente proprio ora che la Magistratura sta definendo i preoccupanti contorni dei rapporti fra criminalità e politica.

Quello della giustizia è forse proprio il capitolo più rischioso, perché è il fondamento di qualunque regime democratico. Nel nostro Paese c’è senza dubbio bisogno di riforme in questo campo, ma non certo a livello costituzionale. Occorrerebbe invece modificare i meccanismi della prescrizione, che impediscono la conclusione di troppi giudizi; intervenire sui tre gradi di giudizio, che vanno mantenuti, ma non devono essere utilizzabili solo per rinviare o evitare l’esecuzione delle sentenze; investire nuove risorse nelle strutture e nel personale, e semplificare le procedure; depenalizzare i reati minori e garantire i diritti delle parti lese. E naturalmente tutelare e sostenere i Magistrati che, in prima linea, rischiano di persona.
Tutti interventi possibili con legge ordinaria. Sappiamo sin troppo bene perché e nell’interesse di chi queste riforme non sono state sinora realizzate, o si è addirittura andati in senso contrario mediante ‘lodi’ che solo in parte la Corte Costituzionale ha potuto cancellare.
Così come con legge ordinaria sarebbe possibile risolvere i problemi dei ‘costi della politica’, della lentezza delle procedure parlamentari, di una minore precarietà delle coalizioni, ecc …

Insomma l’operato dell’attuale governo è la migliore dimostrazione che prima di ascoltare le sirene della ‘semplificazione’, della ‘stabilità’, del ‘sapere subito chi ha vinto’, occorre una seria riflessione e che è necessario  pretendere che siano i cittadini, informati correttamente e non solo con proclami e moniti, a decidere sulla necessità o meno di modifiche costituzionali: la democrazia spesso si apprezza solo dopo averla perduta.

3 dicembre 2018

DANNI DISCONOSCIUTI DELLA LEGGE FORNERO

Maurizio Sbrana - Liberacittadinanza
26 ottobre 2018
16 ottobre 2018

Un pericoloso atto di autolesionismo

Giuristi Democratici, Articolo 21, vedi altri in fondo all'articolo
22 settembre 2018