Regionali del 31 maggio: la catastrofe che non si vede

di Alberto Cacopardo - http://albertocacopardo.blogspot.it - 02/06/2015
Queste elezioni regionali non sono per Renzi una mezza vittoria, non sono una mezza sconfitta. Dietro quello strombazzato sette a due, si nasconde un'autentica catastrofe. Una catastrofe che non sta nella perdita della Liguria, che è un caso significativo, ma del tutto particolare. Sta altrove, dove ben pochi hanno posato gli occhi.
 

Ma prima di esaminare questo altrove, soffermiamoci sul caso significativo. La Liguria era in una situazione particolare per tre ragioni distinte: perché il centrosinistra era diviso, perché c'era una percezione di cattiva amministrazione proprio a livello regionale, e perché è la patria di Grillo, che ha rimediato un buon quarto dei voti. La sconfitta della renziana Paita è palesemente dovuta solo e soltanto al primo fattore: se i voti del civatiano Pastorino (9,41%) si fossero sommati al suo 27,84%, avrebbero superato il 38%, ampiamente sufficiente a mettere fuori causa il fiero Toti. Questo, ovviamente, dà un'indicazione importante: senza la sinistra del suo partito, Renzi non vince nemmeno in una regione come la Liguria, non certo una roccaforte berlusconiana. E' difficile non concludere che senza la sua sinistra, Renzi è spacciato. Ne deriva, come dicono tutti, che dovrà rivedere i suoi modi verso quelli che aveva rottamato. E questo è il dato significativo.

Ma se fosse tutto qui, non sarebbe poi un danno così tremendo. Quello che lo dovrebbe inquietare di più è un fatto più macroscopico: i voti di Paita e Pastorino messi insieme distano parecchie leghe dal 52% che prese Burlando nel 2010. Si è perso per strada un quarto dei voti. Fosse soltanto per la Liguria, questo si potrebbe attribuire, fra l'altro, a quella percezione di mala amministrazione che abbiamo detto. Ma non è così. La vera catastrofe sta altrove.
Il primo segnale altamente inquietante è naturalmente l'astensione. L'affluenza crolla in tutte le regioni, e non di poco, di circa il 10% in media. Questo è un dato nazionale molto forte, che non si può che attribuire al clima politico generale. E tanto più se osserviamo che il crollo è più forte nelle regioni rosse, con una punta del 13% nelle Marche, mentre è al minimo nel candido Veneto, con poco più del 9%. Questo indica al di là di ogni dubbio che, nonostante la fortuna piovuta dal cielo di una crisi in via di estinzione, Renzi non trascina, non entusiasma e non ispira. L'esatto contrario di quel che lui vorrebbe, e che vorrebbe far credere.
Ma non basta. Non siamo ancora arrivati alla catastrofe, che si nasconde proprio nelle regioni rosse. Nelle Marche, Luca Ceriscioli vince con appena il 41%, molto lontano dal 53% portato via da Spacca nel 2010. Si può obiettare che lo stesso Spacca era acrobaticamente candidato da Forza Italia, con la quale ha preso ben il 14%: obiezione peraltro non robustissima, visto che di suo ci deve aver messo circa zero. Ma che dire allora dell'Umbria, dove Katiuscia Marini trionfa con un tenue 43%, al posto dello scrosciante 57% del 2010? Anche qui soltanto qualche strascico di folclore locale? E sorvoliamo sulla Campania, dove la affaticata vittoria di De Luca, col suo 41%, non può non evocare il fantasma dell'ultima vittoria a sinistra, col 61% di Bassolino nel 2005. Sorvoliamo altresì sulla Puglia, dove il 47% di Michele Emiliano, l'unico candidato che non deve proprio nulla a Renzi, è anche l'unico dato che non sfigura davanti al precedente 49% di Vendola.
Sorvolando sorvolando, arriviamo alla Toscana, la patria di Renzi. Qui l'affluenza è crollata al 48% dal 61% del 2010 e dal 71% del 2005, senza voler risalire più indietro. Non sembra che la sua patria sia esattamente innamorata del vigile Matteo. Il suo candidato Enrico Rossi è stato votato dal 48% del 48% dei Toscani. Al tempo dei rottamati, lo stesso candidato era stato eletto con quasi il 60% dei voti validi. E' qui la catastrofe.
Che cosa è successo? Certo, nel 2010 non c'erano i Cinquestelle che adesso hanno preso il 15%, in verità fra i più bassi dei loro risultati. Ma si badi: la destra (Lega e Forza Italia, con spiccioli) è scesa dal 34 al 29 per cento, nonostante l'avanzata della Lega a spese di Berlusconi, e si è perso nella nebbia il 4,6% che aveva l'Udc. E nel centrosinistra? Nel 2010 Rossi era sostenuto, oltre che dal Pd, che prese il 42%, da Sel, Sinistra & Verdi, e Italia dei Valori. La sinistra, Sel compresa, aveva il 9%, l'Idv altrettanto. Adesso l'Idv è scomparsa e la sinistra, con il bravo Tommaso Fattori, non è andata al di là del 6%. Manca all'appello il 13%. Di tutto questo, il Pd è riuscito a intercettare, in termini percentuali, solo il 4%, passando dal 42 al 46. In termini assoluti, ha perso quasi 30.000 dei 641.000 voti che aveva.
Siamo in casa di Renzi, l'uomo che doveva portare la sinistra alla riscossa: comunque la si guardi, ha fatto peggio di chi lo ha preceduto, che già non era certo una fabbrica di prodigi. E, in questo caso, non si può certo accusare la presenza di un candidato a sinistra: non è una scusante, è il frutto inevitabile di una precisa scelta politica del leader.
Renzi ha deviato a destra la barra politica del suo partito e ha fatto di tutto perché non si formasse alla sua sinistra una forza politica solida. Questi sono i risultati della sua linea. Forse sarebbe il caso di rivederla.
Quanto a Tommaso Fattori, il suo risultato non è elettrizzante, ma non è nemmeno un insuccesso.
Può essere un primo passo verso la costruzione dell'edificio di una sinistra che adesso non c'è.
Noi restiamo qui, ad aspettare, sognando una sinistra radicalmente nuova, vasta, placida e sapiente, ispirata e concreta. Una sinistra che sappia di nuovo indicare la strada a chi crede in un mondo più giusto, più savio, più libero, più sereno e più bello.
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