Ripartiamo da 13 (milioni)

di Francesco Baicchi - 18/04/2016

La realtà è innegabile: non siamo riusciti a impedire che la norma-regalo-ai-petrolieri entrasse in vigore.

I tredici milioni e passa di italiani che, nonostante l’indegno e illecito invito all’astensione, sono andati a votare non sono stati sufficienti a raggiungere il quorum richiesto per i referendum abrogativi.

Quindi le concessioni in essere per l’estrazione di gas e petrolio entro le 12 miglia dalla costa non hanno più una scadenza definita, ma rimarranno dove sono fino a quando, e se le stesse compagnie dichiareranno il Giacimento esaurito.

Dato che riconoscere l’impossibilità di continuare l’estrazione comporterebbe l’obbligo di smontare (a spese loro) le piattaforme e di ripulire il mare (sempre a spese loro) dall’inquinamento causato, possiamo immaginare con quanta lentezza si arriverà a quel fatidico giorno.

Ma in questo caso il capo dell’attuale governo, così attento alla velocità quando si tratta di distruggere i diritti dei cittadini, non sembra avere fretta.

Sappiamo che la vicenda, fortunatamente, non finisce qui, perché ci sono ancora strumenti a disposizione per rimediare a questa assurdità (partendo dall’iniziativa in sede europea di Barbara Spinelli), ma nel frattempo, prima di farci prendere dallo sconforto, possiamo dedicarci a qualche riflessione.

La prima, scontata e già espressa da molti, parte dalla constatazione che l’autore del disastro, Matteo Renzi, governa grazie alla non-vittoria del PD alle politiche del 2013. In quella occasione la ‘bottega’ di Bersani raccolse però solo 8.646.034 voti. I quasi 13 milioni di SI di domenica scorsa dimostrano dunque ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che l’attuale maggioranza è costituzionalmente illegittima perché non rappresentativa della volontà dell’elettorato, come dichiarato (forse troppo timidamente) dalla Corte Costituzionale nel gennaio 2014. 

Anche se spostiamo il confronto al ‘trionfo’ renziano delle europee 2014, i voti del PD (11.203.231) rimangono al di sotto del numero dei cittadini ‘no-triv’.

E in entrambe i casi il numero dei votanti fu assai superiore in valore assoluto.

La seconda è che se questo sciagurato parlamento (o quelli che lo hanno preceduto) avesse approvato la modifica costituzionale, da tempo in discussione, per calcolare il quorum non sul totale degli elettori potenziali (mai ovviamente raggiunto), ma sul numero dei votanti per la Camera nelle ultime elezioni, il referendum sarebbe stato valido (i votanti sarebbero stati quasi il 52%) e il SI avrebbe stravinto con l’86,44%.  Lo sa bene Renzi, che ha finalmente introdotto la modifica del quorum nel ddl ‘Boschi’, ma condizionandolo alla raccolta sul quesito di ben 800.000 firme (quasi il doppio delle attuali 500.000).

Infine, come molti hanno già fatto notare, i 13 milioni di SI si trasformeranno quasi sicuramente in un numero anche superiore di NO in occasione del referendum costituzionale di ottobre (che non è vincolato a nessun quorum), e i fedelissimi del capo del governo (‘emerito’ Napolitano compreso) dovranno spiegare che l’ordine di astenersi non è più valido, nella tradizione del ‘contrordine compagni’ oggetto di tante barzellette.

Insomma, anche senza ricordare l’uso quasi monopolistico dei mezzi di informazione e la spudorata scorrettezza delle dichiarazioni ‘terroristiche’ sulla perdita dei posti di lavoro, sull’aumento dei costi dell’energia (!), ecc…, questa prima battaglia è stata persa, ma è stata dimostrata l’esistenza di una quota importante di cittadini critici, informati e ‘riflessivi’ che non rinunciano a esercitare il diritto a esprimere la loro volontà, come previsto dalla Costituzione repubblicana del 1948.

Ora la priorità è raccogliere le firme sui nuovi referendum, per confermare che a decidere deve essere sempre il popolo, cui appartiene la sovranità (art. 1 Cost).

Da quei 13 milioni di elettori ripartiamo con fiducia per impedire la deriva autoritaria costituita dall’entrata in vigore della nuova legge elettorale e delle modifiche costituzionali appena approvate da una maggioranza raccogliticcia e risicata in un’aula della Camera semivuota.

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