Nella sua intervista a Sky tg24 il Presidente del Consiglio Enrico 
Letta, soddisfatto per la fiducia incassata dal suo governo il 2 ottobre
 e per il fallimento dell’agguato di Berlusconi, che si era spinto al 
punto di ordinare le dimissioni dei “suoi” ministri e di ventilare 
l’aventino dei “suoi” parlamentari per provocare la caduta del governo 
ed un ricorso accelerato alle elezioni, ha interpretato le convulsioni 
politiche degli ultimi giorni come un evento di grande significato 
storico: la fine del ventennio. Il fenomeno politico Berlusconi, al 
governo con alterne vicende ed al centro della vita politica italiana 
ormai da un ventennio, sarebbe giunto al capolinea. Il suo potere 
sarebbe stato sconfitto, grazie alla ribellione del delfino Alfano, che,
 sfidato da Berlusconi, ha vinto la partita. Quindi secondo Letta 
saremmo in presenza di una svolta storica.
Quando si parla di 
ventennio è scontato il riferimento ad un altro ventennio della storia 
d’Italia: quello del fascismo, con il quale il fenomeno politico 
Berlusconi ha molti punti di contatto. Innanzitutto le figure dei due 
leader si assomigliano notevolmente e si assomiglia lo strumento 
politico che essi hanno creato: un partito personale fondato 
sull’idolatria del capo.
Un capo politico capace di costruire 
intorno a sé un consenso passivo di massa sfruttando gli umori popolari,
 attraverso abili tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica 
realizzate mischiando verità e menzogne, con la spudoratezza che può 
permettersi soltanto chi detiene un controllo (quasi) totale dei mezzi 
di comunicazione. Nel primo ventennio il controllo dei mezzi di 
comunicazione fu dapprima realizzato con il manganello e poi fondato 
sulla legge. Nel secondo ventennio il controllo fu fondato 
sull’acquisizione proprietaria dei mezzi di comunicazione grazie alla 
forza del denaro. 
Nel primo ventennio il capo politico promise 
di trasformare il Parlamento in un bivacco di manipoli e poi 
effettivamente realizzò questa trasformazione, tramite la legge Acerbo e
 la successiva legge elettorale del 1928 che introdusse la lista unica 
nazionale compilata direttamente dal Gran Consiglio del Fascismo. In 
questo modo con i deputati nominati dal capo politico, il Parlamento si 
trasformò in un bivacco di manipoli, che obbedivano entusiasticamente 
agli ordini del capo politico e scattavano in piedi ad applaudirlo con 
acclamazioni irrefrenabili ogni volta che questi compariva in 
Parlamento, approvando con entusiasmo anche le leggi più odiose. Le 
prime leggi razziali furono approvate dalla Camera nella seduta 
pomeridiana del 14 dicembre 1938, alla quale intervenne Mussolini. Dal 
verbale stenografico si legge: 
“Entra nell’aula il Duce – La Camera 
scatta in piedi in una ardentissima, appassionata acclamazione che si 
prolunga per alcuni minuti al grido di: Duce! Duce! – Alla 
manifestazione si associa il pubblico che gremisce le tribune – Il 
Presidente ordina il saluto al Duce e la Camera risponde con un solo 
possente: A Noi!”   
Nel secondo ventennio, specialmente nel 
corso della XVI legislatura, le cronache parlamentari hanno fatto 
rivedere scene molto simili: ogni volta che Berlusconi si recava in 
Parlamento, i “suoi” parlamentari scattavano in piedi con acclamazioni 
irrefrenabili, giungendo al punto di approvare delle risoluzioni 
parlamentari in cui si sosteneva che Ruby è la nipote di Mubarak.
La
 differenza principale fra il primo ed il secondo ventennio è che nel 
corso del primo è stato instaurato un regime dittatoriale fondato sul 
partito unico, nel corso del secondo ciò non è stato possibile per via 
di un ostacolo insuperabile: la Costituzione. 
Questo non ha 
impedito al secondo Cavaliere di farci conoscere la sua ammirazione per 
le riforme istituzionali realizzate dal primo Cavaliere. Quale sia il 
modello di ordinamento che sta in testa a Berlusconi ce l’ha detto lui 
stesso, qualche anno fa, nel corso di un dibattito pubblico alla 
presentazione di un libro di Bruno Vespa sui precedenti Presidenti del 
Consiglio: «Tra tutti gli uomini di cui si parla in questo libro, c’è un
 solo uomo di potere, ed è Mussolini. Tutti gli altri, poteri, non ne 
hanno, hanno solo guai. Credo che se non cambiamo l’architettura della 
Repubblica non avremo mai un premier in grado di decidere, di dare 
modernità e sviluppo al Paese» (Corriere della Sera, 12/12/2007).
C’erano
 molti elementi di affinità per paragonare lo strappo di Alfano e dei 
ministri Pdl alla sfiducia a Mussolini, votata dal Gran Consiglio del 
Fascismo la notte fra il 24 ed il 25 luglio 1943.
Innanzi tutto 
l’indebolimento del Capo: la condanna definitiva inflitta dalla 
Cassazione il 1° agosto suonava come un preavviso del crollo del regime,
 come fu lo sbarco degli alleati in Sicilia nel luglio del 1943. Di qui 
l’esigenza dei maggiorenti del regime di salvare il salvabile, separando
 il loro destino da quello del capo politico. Così come nel 1943 a capo 
della rivolta c’era il conte Dino Grandi, numero due del regime, nel 
2013 a capo della rivolta si è posto il numero due del regime, 
segretario del partito e capo della delegazione Pdl al Governo. Così 
come nel 1943 aderirono all’ordine del giorno Grandi i principali 
gerarchi del regime (come Giacomo Acerbo, l’ideologo delle leggi 
razziali, il genero di Mussolini Galeazzo Ciano, il mandante del delitto
 Matteotti, Giovanni Marinelli, e persino uno dei quadrumviri della 
marcia su Roma, Emilio De Bono), nel 2013 hanno aderito alla rivolta i 
principali gerarchi del regime Berlusconiano, da Fabrizio Cicchitto a 
Roberto Formigoni.
Ma le similitudini finiscono qui. L’esito del 
secondo 25 luglio è stato profondamente diverso dal primo, malgrado il 
trionfalismo di Letta. 
Il 25 luglio del 1943 marcò una profonda 
discontinuità rispetto al regime fascista. Il Governo Badoglio, 
ringraziandoli, accompagnò alla porta i gerarchi del regime che avevano 
deposto Mussolini ed avviò immediatamente un’opera di smantellamento del
 regime con tre decreti legge emanati il 2 agosto, a tambur battente, 
con i quali fu disposta la soppressione della principali istituzioni del
 fascismo, a partire dal Pnf. 
Nella convulsa giornata del 2 
ottobre, invece, Berlusconi, con una conversione a U, è riuscito ad 
evitare di essere trascinato nella Repubblica di Salò dove volevano 
confinarlo i panzer della Santanchè e di Verdini, restando nella 
maggioranza di governo. I gerarchi dissidenti non sono riusciti né ad 
impadronirsi del partito, né a distaccarsene. Il governo Letta si è 
svincolato dai ricatti di Berlusconi solo grazie al soccorso di due 
componenti velenose del regime berlusconiano, Comunione e Liberazione e 
gli epigoni della P2. 
L’unica certezza è che il programma di 
grande riforma istituzionale riprenderà con rinnovato vigore, come ci ha
 promesso il Presidente del Consiglio. Un motivo in più per partecipare 
alla manifestazione del 12 ottobre convocata per testimoniare che la 
Costituzione è viva e non può essere manomessa: deve essere applicata.
E' certo è che il programma di grande riforma istituzionale del governo riprenderà con rinnovato vigore, come ci ha promesso Letta. Un motivo in più per partecipare alla manifestazione del 12 ottobre convocata per testimoniare che la Costituzione è viva e non può essere manomessa: deve essere applicata.
          
    
