Girolamo Savonarola - L'etica del frate che odiava il tiranno

di Franco Cordero - 27/09/2009
Pubblichiamo una parte del testo che Franco Cordero ha letto al Festival di Mantova sabato 12 settembre

Cosa significhi "tiran­no", lo racconta Savo­narola nel Trattato sul reggimento di Firenze, chiesto da Giuliano Salviati, Gonfaloniere dell'ultima Signoria favorevole, inverno 1498: tre dissertazioni, ciascuna in tre capitoli; qui interessa la seconda terna. Primo capitolo: perché il governo monocratico, perfetto sotto un capo buono, risulti «pes­simo tra tutti li cattivi governi», se cade in mani sciagurate. Il secon­do muove da una battuta icastica: «tiranno è uomo di malavita»; «so­pra tutti vuole regnare», tanto più funesto se viene dal basso. Vuol essere l'unico, calpestando i valo­ri effettivi: quindi è invidioso; pa­tisce le fortune altrui, «benché molte volte dissimuli»; «vorria che ogni uomo fussi vituperato», af­finché «lui solo restassi glorioso». In preda a «fantasie, tristizie e ti­mori», cerca sollievo nei diverti­menti lussuriosi: è caso raro, forse impossibile, un tiranno che non li pratichi; e siccome tali passatem­pi costano, «seguita che inordinatamente appetisca la roba», ingor­do senza fondo, «avaro e ladro». Tale immoralità implica «virtual­mente tutti li peccati del mondo». Primo, perché superbia, lussuria, avarizia sono radice d'ogni male. Secondo: «avendo posto el fine suo» nel potere dispotico, non v'è scelleratezza davanti a cui esiti, se vede pericoli. Terzo, corrompe i sudditi, «onde seguita che ogni parte dell'anima sua sia deprava­ta»: non ha simpatie; «lo intelletto sempre adopera a machinare fraude e inganni»; vendicativo, malevolo, agitato da «perversi de­sideri», spende il tempo in «con­cupiscenze o detrimento e deri­sione del prossimo». Non può li­berarsi dell'aculeo, avendo «posto el fine suo in tale stato che è diffici­le, anzi impossibile (...) mantener­lo lungamente»; «niuno violento» dura a lungo, quindi dev'essere «molto vigilante». Il fine perverso gl'inquina ogni atto: pensa, ricor­da, immagina, fa soltanto cose cattive, «come el diavolo, re delli superbi»; e sotto finte pose costu­mate riesce ancora più perfido.

L'analisi continua sul filo d'un freddo acume. «El tiranno» gover­na malissimo: la sua regola è che i sudditi «non intend[a]no cosa al­cuna (...) o pochissime», irrilevan­ti; ministri, consiglieri, familiari, stiano in perpetua discordia, e nessuno emerga nel paese. Attira lo scherno sui savi: vuole solo ser­vi intorno; sospetta complotti; dissemina «esploratori e (...) spie». Mediante «spettaculi e feste» alie­na i sudditi dalla politica. Ha biso­gno d'adulatori, teme la verità, non tollerai discorsi seri. Ogni tan­to simula gesti benevoli verso gl'indifesi: vanta come opera sua «onori e dignità?» distribuiti ai cit­tadini; mima dissenso dalle deci­sioni impopolari. Compra i favori delle autorità religiose, mietendo profitti anche lì. Spesso «abbassa occultamente» dei notabili, poi li restaura affinché gli siano obbli­gati, posando a «clemente e ma­gnanimo». Appende le sue inse­gne nei palazzi e templi edificati col denaro pubblico. Lo celebrano cantori e musicanti. Finte guerre gli consolidano il potere. Alleva nullità che dipendano da lui perinde ac cadavera. Lucra dapper­tutto: spoglia «vedove e pupilli fin­gendo di volerli defendere»; espropria campi e case dei poveri, destinandoli all'urbanistica ame­na, con la promessa d'un «giusto prezzo e poi non ne paga la metà», avaro persino col personale do­mestico; dev'essere una grazia servirlo. Paga gli sgherri con la ro­ba d'altri, mediante uffici o sine­cure immeritati. Guai al mercante i cui affari vadano troppo bene, fallirà. Esalta i malfattori che senza il suo scudo «seriano puniti», af­finché lo difendano difendendosi: se assume «qualche uomo savio e buono, lo fa per dimonstrar[sì] al popolo (...) amatore della virtù»; ma non se ne fida, quindi gli «tiene l'occhio ad [d] osso». «Ha li suoi sa­telliti in ogni luogo»: notano «per inimico» chiunque stia fuori del coro plaudente; cercano reclute «sviando li giovani etiam contra li padri»; l'implicato «nelli suoi mal­vagi consigli» consuma «la roba in conviti» o «altre voluttà» (allusio­ne ai Compagnacci, gioventù dis­soluta), così «divent[a]no poveri e lui solo rimante] ricco».

Gli passa in mano ogni minimo impiego, «insino alli cuochi del palazzo e famigli de' magistrati»: normalmente sceglie i peggiori; non viene decisa o transatta causa senza che vi metta becco; «con astuzia» corrompe le leggi «con­trarie al suo governo iniusto», e se ne combina continuamente ad personam; in ogni magistratura qualcuno gli riferisce gl'interna corporis o bisbiglia ordini. Ha paura della sua ombra, crudele nelle vendette. Chi ne parli senza genuflettersi fa bene a nascondersi, «perché lo perseguita etiam nelle estreme parti del mondo»: è anche omicida per «rimuovere li ostaculi [al] suo governo»; finge ira verso l'esecutore manuale, minaccia pene, «poi lo ripiglia e tienlo ap­presso». Vuole il primato in tutto, giochi, arte della parola, corse ip­piche, dottrina. «Schernisce li uo­mini da bene», ridendo col servidorame complice. Nei tribunali un suo biglietto o la parola d'uno staffiere valgono più d'«ogni iustitia». «Insomma, sotto el tiranno non è cosa stabile»: ruotano se­condo una volontà mossa dalla passione; «onde ogni cittadino (...) sta in pendente». Superbo, avaro, lussurioso, insidia prestigio, pa­trimonio, pudore femminile. Tiene dappertutto ruffiani e ruffiane, li quali [in] diversi modi le donne e figliuole d'altri conducono alla mazza, massime nelli conviti», attraverso «vie occulte». «Seria lon­ga cosa» esporre tutti i peccati del tiranno. Stavoltafra' Girolamo appare autentico profeta. Il ritratto evoca una fin de siècle quattro­centesca, dove l'eroe negativo (lodato da Machiavelli) è Cesare Borgia, figlio del papa, ancora cardinale Valentino, prossimo duca del Valentinois: da allora molte cose sono cambiate ma essendo l'Es una bestia fuori del tempo, qual­che particolare sembra disegnato ieri; se li discerna l'osservatore equanime.

Abbiamo sotto gli occhi due vi­te: una chiusa in piazza della Sinoria, mercoledì mattina 23 maggio 1498; l'altra, trionfalmente aperta. Il Frate inerme resiste finché un papa poco presentabile regola i conti: vengono due commissari con la condanna a morte in tasca; giocava parti temerarie dichiarandosi mediatore cielo-terra familiaris cum Deo. Saltano all'occhio difetti e lati pericolosi (avesse mano libera, l'esito sarebbe unaservitù teocratica). Nei momenti alti è agonista ammirevole: gli avversari valgono assai meno; trova sèguito in una borghesia povera, sensibile alla corda morale; ha commesso gravi errori e soc­combe, troppo diseguale essendo la partita, ma lascia esempi nel paese delle anime assopite. Peccato che un'agiografia senza scrupoli, d'insopportabile cattivo gusto, gli tolga l'aspetto umanamente migliore, autentico, emerso dalle confessioni nei due processi.

Re Lanterna, chiamiamolo così, non sale dall'inferno né cade dal cielo, meteorite maligno. L'Italia lo portava nei cromosomi: viene su dal niente, attraverso rapporti oscuri; inter alios l'hanno covato P2, Gelli, Craxi, Amato, Mammì, Andreotti, D'Alema (i cui funesti giochi bicamerali gli salvano le aziende, "patrimonio italiano", consolidando la neoplasia d'un conflitto d'interessi talmente aberrante che gli stranieri do­mandano come sia tollerato). Trent'anni d'ipnosi televisiva lasciano effetti indelebili. Gli organi del pensiero erano vivi in strati sociali appena acculturati, vedi l'ironico dissenso dal carnevale guerriero fascista. Adesso tiene banco la volgarità rissosa: riscuotono ap­plausi battute turpiloque; nei duelli televisivi strida, borborigmi latrati sostituiscono gli argomenti; vince chi impedisce l'uso della parola. Questo salto in basso esaspera difetti antichi. L'uomo dissecato da Guicciardini è egoi­sta, alieno dai rischi, rispettoso dell'autorità, quindi va in chiesa sebbene creda poco o niente, bienséant, giudizioso nei limiti del «particulare»; talvolta ha gusto fine. Ipocrisia controriformistica, Arcadia, servilismo cortigiano, mestieri legulei, anime fiacche sono compatibili col fasto barocco. L'attuale prassi alleva proterva volgarità plebea, coniugata all'i­gnoranza. Grosso fenomeno, sarà ricordato nelle storie. Alcuni aspetti ripresentano l'uomo della Controriforma. Ad esempio, indicano una giustizia intimidita le attenuanti generiche benevolmen­te concesse, grazie alle quali schiva gravi condanne, risultando estinti dal tempo i delitti. S'era proclamato immune e il Quirinale promulga la relativa legge. Non gli fa caldo né freddo la condanna dell'avvocato David Mills: l'aveva corrotto perché dichiarasse il falso, accerta un tribunale; manova­li ad legem ferendam ne studiano una che vieti l'uso delle prove moleste nell'eventuale futuro giudizio. Gerarchie ecclesiastiche cavano profitto dal regno d'un lugu­bre edonismo. Insomma, è de­miurgo: diamogli atto d'avere inciso nel genoma collettivo; gli effetti regressivi, manifesti, cresceranno passando gli anni; immoralismo, sonno intellettua­le, arte dello spegnitoio, furberia parassitaria conducono all'infer­no nello scramble d'un pianeta il cui mercato va diventando affare terribilmente serio.

 

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