LO SPECCHIO DI UNO STATO CHE NON C’È

di Massimiliano Perna – ilmegafono.org - 26/10/2009
Gli incredibili sviluppi giudiziari sulla presunta trattativa Stato-mafia costituiscono un vero e proprio tradimento per tutta la società civile, che intanto si indigna per le frasi ignobili del capo della Mobile di Napoli contro Saviano

Presi in giro e arrabbiati: così si sentono i tanti italiani e siciliani che in questi anni si sono impegnati a fondo nella lotta alla mafia e nella diffusione della cultura della legalità. Associazioni, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, forze dell’ordine, tutti angosciati e scioccati dagli sviluppi dell’inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia, durante il periodo delle stragi del 1992. Una trattativa per fermare il tritolo, una serie di contatti finalizzati a trovare una tregua, contraccambiando la pax mafiosa con tutta una serie di concessioni a vantaggio dei boss. Questo risulta dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, Vito, affiliato al clan dei corleonesi e protagonista del sacco edilizio di Palermo negli anni ’70 e ’80.

Una trattativa accelerata dopo la strage di Capaci, una trattativa a cui il giudice Borsellino, una volta venutone a conoscenza, si sarebbe opposto. Un’opposizione che sarebbe stata all’origine della sua rapida eliminazione. Le indagini sono in corso e, tra conferme e smentite, spiccano le dichiarazioni del Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, il quale ha affermato che “il momento era terribile, bisognava cercare di fermare questa deriva stragista che era iniziata con la strage di Falcone: questi contatti dovevano servire a questo e ad avere degli interlocutori credibili”. E ancora: “La trattativa – dice Grasso - ha salvato la vita a molti ministri. Anche via D’Amelio potrebbe essere stata fatta per riscaldare la trattativa. In principio pensavano di attaccare il potere politico e avevano in cantiere gli assassinii di Calogero Mannino, di Martelli, Andreotti, Vizzini e forse mi sfugge qualche altro nome. Cambiano obiettivo probabilmente perché capiscono che non possono colpire chi dovrebbe esaudire le loro richieste. In questo senso si può dire che la trattativa abbia salvato la vita a molti politici”. Dichiarazioni gravissime, che lasciano attoniti per il candore e la serenità con cui Grasso le ha rilasciate.

Dopo 17 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio in molti hanno recuperato la memoria ed hanno deciso di parlare. Ci si chiede perché solo adesso? Perché non prima? Lo Stato italiano, dunque, ha scelto di piegarsi, di sedersi al tavolo con le belve mafiose, mentre il sangue dei magistrati e dei poliziotti era ancora fresco, mentre l’odore della morte si respirava ancora e dolore e rabbia attraversavano le vene gonfie della società civile. Le istituzioni italiane fingevano di essere forti, mentre lasciavano morire l’ultimo grande magistrato italiano, l’unico rimasto in grado di scoprire e smascherare i rapporti tra clan e potere politico.

Sembrerebbe dunque una strategia di autodifesa o, ad essere meno malpensanti, una semplice e grave dimostrazione di vigliaccheria. Gli uomini dello Stato lottavano e morivano, mentre lo stesso Stato trattava con i loro assassini. Se ciò dovesse trovare una conferma definitiva saremmo davanti alla più grande vergogna italiana. Sempre che gli italiani se ne accorgano e siano ancora in grado di percepirla come tale. Se l’esistenza della trattativa verrà dimostrata, come sembra, allora vorrà dire che nel 1992 lo Stato non solo ha raggirato e condannato a morte i magistrati e le forze dell’ordine, ma ha anche preso in giro, oltraggiato, umiliato il risveglio delle coscienze che si verificò in quei giorni, i lenzuoli bianchi, le fiaccolate, le manifestazioni, le lacrime e gli ideali di giustizia di una cittadinanza che era stata privata dei suoi uomini migliori.

Intere generazioni cresciute nel ricordo di quei giorni, nell’indignazione per la violenza mafiosa, nella soddisfazione di una risposta decisa delle istituzioni, con le operazioni e gli arresti eccellenti, oggi si sentono tradite e smarriscono sempre di più la loro fiducia in un Paese che sembra condannato a non cambiare mai, a vivacchiare dietro compromessi e complotti, in cui a rimetterci è sempre chi lavora con onestà, con spirito di sacrificio, alla ricerca della verità. Una fiducia che scricchiola sempre di più, soprattutto quando si assiste a certi gesti, quando si ascoltano certe parole, dette con una leggerezza disarmante, con un tono troppo netto e freddo per non apparire sospetto.

Un esempio recente è costituito dalla vergognosa “sparata” del capo della Mobile di Napoli, Vittorio Pisani, il quale ha affermato che, dopo aver cercato riscontri a quanto dichiarato dallo scrittore Roberto Saviano a proposito delle minacce ricevute, egli aveva espresso “parere negativo sull’assegnazione della scorta”. Il capo della Mobile di Napoli, dopo aver etichettato il libro “Gomorra” come un’opera che ha avuto “un peso mediatico eccessivo”, rincara la dose e si spinge troppo oltre: “Resto perplesso – afferma Pisani riferendosi a Saviano - quando vedo scortare persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, magistrati e giornalisti che combattono la camorra da anni”.

Parole che sanno di delegittimazione, riproponendo un tema identico a quello usato proprio dai camorristi per screditare il giovane scrittore napoletano. Frasi gravi, pesanti come macigni, che hanno determinato la risposta immediata del capo della Polizia, Manganelli, il quale ha chiesto che la scorta a Saviano venga rafforzata, e che hanno suscitato rabbia e indignazione nei magistrati impegnati nella lotta alla criminalità organizzata e nella gente comune, nelle migliaia di persone che incitano, sostengono Roberto in questa battaglia che, prima di tutto, è culturale, fondata sulla consapevolezza che la forza delle parole possa cambiare il mondo.

Ovviamente la forza delle parole di verità, come quelle contenute in “Gomorra” ed in tanti articoli scritti da Saviano; di certo non quelle imbarazzanti e preoccupanti di Pisani, il quale da uomo dello Stato dovrebbe far capire con chiarezza da che parte sta, perché certe esternazioni diventano sospette se coincidono con un modo di pensare che è proprio di chi lo Stato dovrebbe combattere. E questa ambiguità è qualcosa che, purtroppo, attraversa da sempre la società italiana, sconvolta oggi da una trattativa che è lo specchio della debolezza delle istituzioni, dell’isolamento a cui i vertici della nazione hanno costretto i propri figli più capaci, siano essi magistrati, poliziotti, giornalisti o scrittori.

Un tradimento continuo che, al di là delle indagini e degli accertamenti, sembra connaturato al nostro sistema politico e destinato a perpetuarsi nel tempo.

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