Il virus esplode nel Nord più inquinato d’Europa

di Andrea Ranieri - Il Manifesto - 05/03/2020
Il vecchio modello di crescita dimostrava già prima di questa crisi tutti i suoi limiti sociali ed ambientali. Sarebbe una vera tragedia se in nome della ripresa utilizzassimo il corona virus per riproporlo tale e quale

Ci stiamo tutti concentrando rapidamente sulla ripresa dell’economia. Senza preoccuparci se è verde o no. Anzi i soldi del Green New Deal, secondo il presidente di Confindustria, il governo dovrebbe dirottarli subito sui provvedimenti urgenti per rimettere in moto la crescita.

Senza preoccuparsi troppo del suo colore. Tanto a morire sono i vecchi, con qualche grave patologia pregressa, soprattutto a carico del sistema respiratorio. Quelle patologie pregresse hanno qualche rapporto con la qualità dell’aria che quelle persone hanno respirato nella loro vita in «Padania», dove vive, secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, la percentuale più elevata di europei sottoposti alla sforamento contemporaneo dei limiti relativi al particolato fine, al biossido di azoto e all’ozono. Fatto che, sempre secondo l’Agenzia, provoca in Italia oltre 70000 morti premature all’anno. I morti del coronavirus sono quindi parte di una mortalità ben più vasta che ha la sua ragione fondamentale nei livelli intollerabili di inquinamento di quell’area geografica.

Quanto al danno economico ne abbiamo alle porte uno ancora più grave per l’agricoltura del Nord del Paese, se il caldo e la mancanza di piogge continueranno. Il Po è a febbraio ai livelli dell’agosto dello scorso anno. I grandi bacini idrici, a partire dai grandi laghi, sono ridotti a meno della metà della loro normale portata.

La Coldiretti ha quantificato in 14 miliardi i danni all’agricoltura italiana provocati in questi anni dal riscaldamento climatico.
I provvedimenti urgenti per la ripresa dell’economia che le parti sociali richiedono al governo e che il governo si appresta a prendere, chiedendo giustamente il permesso di sforare i vincoli di bilancio posti dalla Unione europea, non possono collocarsi fuori dalla azione necessaria per la riconversione verde della economia.

Se vogliamo ora e in futuro persone sane in grado di reagire positivamente a questa epidemia e a quelle che verranno, la cura della qualità dell’aria, dell’acqua e della terra è più che mai una priorità.

Il coronavirus una cosa positiva l’ha fatta. Ha drasticamente diminuito, a partire dalla Cina e poi in tutto il mondo industrializzato, il consumo di petrolio e di carbone per produrre energia. I governi, le imprese, le parti sociali tutte devono dimostrarsi capaci di fare in positivo quello che il virus maledetto ci ha costretto a fare.

Progettando un modo di fare economia e società capace di stare in piedi lasciando sotto terra quello che fa male alla vita, investendo su una mobilità intelligente, piantando alberi e smettendo di consumare suolo. E avvicinando ai consumatori la produzione agricola e industriale. Il coronavirus serva a farci ripensare i limiti di una globalizzazione che si regge su filiere produttive infinite, che fa viaggiare per migliaia di chilometri i componenti degli smart phone, delle automobili, della industria del lusso, e persino la frutta e la verdura che arriva sulle nostre tavole.

Il vecchio modello di crescita dimostrava già prima di questa crisi tutti i suoi limiti sociali ed ambientali. Sarebbe una vera tragedia se in nome della ripresa utilizzassimo il corona virus per riproporlo tale e quale.

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