Una lezione si trae dagli eventi della scorsa settimana. La destra al governo non tiene in alcun conto la dialettica parlamentare e il rapporto con le opposizioni. Ma teme, come il diavolo l’acqua santa, chi scende in piazza, e fa vivere una voce diversa da chi comanda. Tanta gente nei cortei non la ricorda nessuno. E colpisce il contrasto stridente tra l’immagine delle piazze gremite e quella dei seggi elettorali semivuoti nel voto regionale.
Una testimonianza di dissenso assolutamente pacifica, salvo marginali episodi – comunque da condannare – che nulla cambiano. Come risponde la destra? Con l’insulto di Meloni sullo sciopero per il weekend lungo. Con l’accusa di irresponsabilità e inutilità che si aggiunge alle analoghe accuse già rivolte alla Flotilla. Tutto perché da Palazzo Chigi nessuno ha detto che l’arrembaggio israeliano di imbarcazioni civili in acque internazionali è un atto di pirateria in violazione del diritto e delle convenzioni internazionali. Lo scrive sul Fatto con documentata chiarezza Domenico Gallo. Per non parlare della detenzione dei naviganti. È l’ennesima violazione nel quadro della politica genocidaria verso il popolo palestinese. Ma Salvini va oltre ingiuria e censure, giungendo alla minaccia: paghino il sindacato e i singoli lavoratori, sanzioni più severe, cauzione preventiva per i danni da imporre a chi organizza manifestazioni e cortei. Circolano già nella maggioranza ipotesi di inasprimento legislativo.
È vero che nella Flotilla gli italiani avevano anche l’obiettivo di scuotere opinione pubblica e istituzioni, a partire dal governo. E i sindacati – non tutti – hanno colto il dissenso che si alzava spontaneamente nel paese. Manifestare contro il governo è un diritto costituzionalmente garantito, che il sindacato esercita attraverso lo sciopero. Salvini ha giocato di sponda con la Commissione di garanzia, che in perfetto burocratese ha dichiarato lo sciopero illegittimo per inosservanza del preavviso richiesto per i servizi pubblici essenziali.
Tre considerazioni.
La prima è che va respinta l’intimidazione dei singoli lavoratori, non avendo il callido Salvini disposto una precettazione. La seconda è che nel 2000, in occasione della guerra nella ex-Jugoslavia, la Commissione escluse l’illegittimità dello sciopero generale senza preavviso per l’eccezionalità delle circostanze e per l’obiettivo della difesa della pace, storicamente proprio del sindacato. Una linea interpretativa che la Commissione ha poi abbandonato Dopo un cambio di governo, ma questo fa solo dubitare della sua natura presuntivamente “tecnica”. La terza è che sanzioni in sostanza dirette a dissuadere preventivamente, come la cauzione, sarebbero sicuramente incostituzionali, in specie per violazione dell’art. 17. Tutti hanno il diritto di riunirsi “pacificamente e senz’armi”. Chi rispetta il dettato normativo non è chiamato a garantire l’ordine pubblico. Quelli che vanno in piazza con l’obiettivo di fare la rivoluzione spaccando vetrine non rientrano nella copertura costituzionale. Spetta all’Autorità fermarli. E nessuno chiede che non lo faccia. Il chilling effect su un diritto garantito in Costituzione riguarda tutti, ma nella specie tocca in particolare il sindacato. Non sfugge l’attuale destrutturazione dei partiti politici, nonché la marginalità e debolezza di un parlamento colpito dal taglio dei suoi componenti e da una pessima legge elettorale che nega la rappresentatività. Ne segue che il sindacato è forse l’unico soggetto strutturato di massa che mantiene – almeno in parte – radicamento e l’antica capacità di mobilitazione.
L’aggressività divisiva di Meloni si spiega anche con la necessità di distogliere l’attenzione da un quadro economico già debole, e ancor più appesantito dal riarmo e da colpi come il paventato aumento dei dazi al 107% sulla pasta italiana da parte del suo supposto speciale amico Trump. Ma non c’è solo la distrazione di massa. C’è anche un indirizzo politico di governo nel cui ambito non è impensabile un trumpismo autocratico all’italiana, coerente con le intemperanze verbali di Salvini. È un work in progress su uno spettro ampio: la recente legge sulla sicurezza, le campagne per i turni elettorali in atto, il referendum sulla giustizia (e le intimidazioni ai magistrati), l’autonomia differenziata, la nuova legge elettorale e (non necessariamente) la riforma costituzionale del premierato. Il traguardo si colloca nelle elezioni del 2027. Un percorso già avviato, in cui un attacco al diritto di sciopero potrebbe bene inserirsi. Normalizzare l’azione sindacale per normalizzare il paese. Tutto si tiene. Alle opposizioni non basterà la sommatoria. Bisogna lavorare a un progetto politico degno del nome. E intanto dare battaglia su ogni passo, a partire da ora. Sarà una lunga volata.