La Marcia Globale per Gaza convocata da tutte le parti del mondo ricorda, anche se in un’ epoca e in un contesto diversi, le Brigate Internazionali contro il regime fascista del generale Franco in Spagna. Però la marcia per Gaza è composta da attivisti pacifisti ed è nonviolenta. E non solo è contro un regime militare dittatoriale come le Brigate Internazionali, ma è per fermare il genocidio. Entrambe grandiose mobilitazioni in solidarietà con i popoli sottomessi e massacrati che ci offre la Storia, quella positiva e della pace.
Sulla Global March abbiamo intervistato Maria Carla Biavati, presidente Ipri-ccp. Formatrice e facilitatrice sulla metodologia della Nonviolenza attiva e la Ricerca-azione.
Specialista in comunicazione nonviolenta, gestione nonviolenta dei conflitti, psicologia sistemica, Maria Carla Biavati è diplomata in psicologia sistemica presso l’Associazione di Ricerca sulla Psicologia Sistemica (ARPS), si è specializzata nel recupero dei giovani in disagio attraverso lo studio della metodologia elaborata dal professor Olivenstein del centro “Marmottan” di Parigi. Già vicepresidente dei Berretti Bianchi, presidente di IPRI – CCP (Istituto Italiano di Ricerca per la Pace-Corpi Civili di Pace), ha lavorato in Bosnia, Kosovo (con “Campagna Kosovo”), Palestina, ed ha partecipato con don Tonino Bello, allora vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi, alla straordinaria “Marcia dei 500” che ruppe l’assedio di Sarajevo, realizzata dopo un meeting a Padova, nell’agosto del 1992, indetto per rispondere all’appello del Centro Internazionale per la Pace di Sarajevo. Dopo la discussione dell’appello, l’associazione Beati i Costruttori di Pace si prese il rischio di organizzare la marcia per la pace.
La Biavati lavora da più di 30 anni per il riconoscimento dei Corpi civili di Pace e da 10 anni accompagna volontari italiani in Palestina per aiutare la nonviolenza palestinese operata dal Popular struggle. Ed oggi è impegnata nella campagna Faz3a per inviare volontari italiani in West Bank.
Come sei venuta a conoscenza di questa grandiosa Marcia Globale da tutto il mondo per Gaza?
Circa tre mesi fa sono venuta a conoscenza dell’iniziativa lanciata da un medico svizzero di costituire dal basso una marcia popolare dal Cairo verso Rafah.
Ero molto felice di questa iniziativa e mi sono subito iscritta sulla Lista telegram dei partecipanti.
Sai se ci sono già stati progetti similari?
L’anno precedente il sindacato dei giornalisti egiziani e anche molte ONG del paese avevano tentato un progetto simile chiamato Global Conscience Convoy che avrebbe tentato di portare aiuto e volontari dentro la striscia di Gaza.
Purtroppo questo tentativo era stato fermato dalle autorità egiziane.
Il nuovo tentativo ci vedeva quindi già impegnati a riallacciare il dialogo con i promotori della prima marcia. Purtroppo già da subito marcate differenze di opinioni tra i partecipanti avevano già operato una prima divisione.
E noi gruppo italiano avevamo deciso, in una carta comune, che non avremmo forzato in alcun modo le leggi e le volontà delle autorità locali.
Dopo un cambio di referenti tra Roberta G. e Maria Antonietta Chiodo, è iniziata la vera e propria organizzazione del gruppo italiano, che si è diviso per ambiti regionali. Io ero membro del gruppo Emilia Romagna con la nostra portavoce regionale. E’ stata fatta una formazione dei partecipanti con invio di documenti, incontri online e una formazione in presenza a Torino.
Vedere dopo tanti anni Marco Baino, referente del gruppo Friuli, insieme a Maria Elena della Freedom Flotilla impegnati a formarci è stato un ritorno ai tempi della prima marcia dei 500 verso Sarajevo, dove io e Marco eravamo
impegnati come rete di Formazione alla Nonviolenta, a formare i partecipanti di allora.
Quali punti in comune vedi tra le due iniziative?
All’ epoca il movimento pacifista e nonviolento italiano ha ricevuto richieste per costruire opportunità di realizzare interventi civili di interposizione, all’interno del conflitto in ex Jugoslavia.
La prima di queste opportunità si presentò nella primavera del 1992, quando fu organizzato un viaggio sul “Treno della Pace”, coordinato anche dall’Eurodeputato dei Verdi europei Alexander Langer, questo treno viaggiò attraverso la Slovenia, la Croazia, la Bosnia e la Serbia, fermandosi in posti dove nessuno, a quel tempo, avrebbe pensato possibile fermarsi. Dopo questo evento, Ibrahim Spahic, Presidente del Centro Internazionale per la Pace di Sarajevo, inviò un appello chiedendo una presenza internazionale per scongiurare il pericolo dell’assedio. Troppo tardi, perché l’armata serba aveva già chiuso tutti gli accessi alla città. Quindi l’appello fu trasformato in una chiamata per un grande gruppo di internazionali con lo scopo di rompere l’assedio.
La situazione di Gaza è ugualmente di assedio con la popolazione civile costretta a soffrire la fame e terrorizzata dai bombardamenti. La Marcia non ha potuto oltrepassare il conflitto egiziano come riuscimmo invece con l’ iniziativa “Solidarietà di Pace a Sarajevo”, la cosiddetta “Marcia dei 500”.
Per la Global March to Gaza si è scelta invece la divisione in gruppi di affinità territoriale e la formazione ha visto simulazioni di diverse situazioni; aeroporto, fermo di polizia eccetera. Abbiamo sottoscritto diversi impegni e abbiamo cominciato ad esercitarci (come suggerito dal team di formazione) camminando per chilometri.
Quali ostacoli ha incontrato la marcia?
Purtroppo la marcia ha avuto da subito una ripercussione sulle nostre autorità nazionali, che ci hanno intimato in modo del tutto arbitrario e non propriamente legale (vedi interrogazione dei parlamentari 5Stelle al Ministro degli esteri) di non partecipare, dicendo che non ci avrebbero protetti in caso di problemi con le autorità egiziane. La nostra portavoce ha deciso per la partenza sperando in un Pronunciamento favorevole del governo egiziano durante le trattative in loco.
Siamo alla fine partiti per Il Cairo, ma mentre noi come gruppo Emilia Romagna uscivamo da un volo ITA al terminal 2 e non venivano fatte domande a chi entrava in Egitto. Al terminal 1 dove sbarcavano i passeggeri delle compagnie NILE AIR e altre, tutti i partecipanti venivano bloccati e alcuni anche pesantemente maltrattati, (tunisini, algerini, marocchini, e palestinesi residenti in alcuni paesi europei) Quel gruppo, di circa 70 persone, compresi gli attivisti delle regioni Friuli e Lombardia, insieme a spagnoli, danesi e svizzeri è rimasto chiuso in uno stanzone di sgombero dell’aeroporto, con i partecipanti privati dei passaporti e dei cellulari per più di dodici ore e anche privati del diritto di recarsi alla toilette.
Per protesta un gruppo di quattro ragazze italiane, insieme ad un ragazzo palestinese residente in Danimarca, a cui era stato rotto un piede durante il fermo, si erano chiusi in uno stanzino dell’aeroporto ma la polizia ha sfondato immediatamente la porta dietro la quale stavano protestando.
Noi come gruppi regionali arrivati al terminal 2 ci siamo recati ai nostri alberghi completamente ignari di quanto accadeva al terminal 1, e queste cose le abbiamo sapute solamente nei giorni seguenti, da comunicati frammentari da parte della nostra referente nazionale, e molto contestati dai gruppi regionali.
Il fermo dei nostri connazionali è durato più di 12 ore, ed è terminato soltanto con l’arrivo del nostro ambasciatore al Cairo il Dr Novellino, che si è recato in Aeroporto ed è riuscito a far uscire quasi tutti, con la restituzione dei documenti e dei passaporti, e la maggior parte hanno potuto recarsi in albergo. Purtroppo alcuni sono stati immediatamente estradati ad Istanbul, dove il giovane di origini palestinesi ha ricevuto le prime cure.
Purtroppo dopo questo episodio, l’ambasciatore, ha chiarito che qualsiasi iniziativa avrebbe portato all’arresto o all’estradizione dei nostri connazionali.
Quindi quando vi è stato un gruppo di Internazionali che si è recato ad Ismailia, l’ultimo paese prima del Sinai, al gruppo italiano è stato proibito parteciparvi.
Tutto questo, unito alla carenza di informazioni, ha creato molta frustrazione e ha favorito alcune iniziative personali che hanno definitivamente fratturato il rapporto di fiducia tra alcuni gruppi e il team della portavoce nazionale.
Alcuni amici egiziani ci hanno poi spiegato, che anche nei media egiziani l’immagine della marcia inizialmente illustrata con favore, veniva ora spiegata da alcuni talk show locali come negativa, velleitaria e pilotata da non chiari interessi.
Successivamente, il ministro israeliano Katz, in un discorso rivolto all’omologo egiziano lo invitava a inibire qualsiasi iniziativa nel Sinai, pena pesanti ripercussioni politiche!
E i marciatori provenienti dal Nord Africa?
I pullman di marciatori provenienti dal nord Africa erano stati bloccati in Libia, e la campagna di rimpatri delle delegazioni internazionali continuava con uno stillicidio di denunce alla polizia da parte degli albergatori, che portavano al prelevamento di molti internazionali con il loro conseguente rimpatrio.
Fortunatamente i nostri albergatori padre e figlia, ci hanno sempre sostenuto e così si sono potute fare piccole azioni, tra cui mostrare e offrire fette di anguria simbolo della Palestina al sito delle piramidi, mostrando anche la bandiera palestinese, tra gli applausi della folla (subito Postati sui social).
Ma la cosa più importante è stata avere partecipato ad una lezione di cucina nella casa della cara Haneen, profuga del campo rifugiati di Jabalia, che è sfollata con parte della famiglia al Cairo.
Loro sono potuti uscire (16 persone) grazie alla raccolta fondi fatta dal fratello che lavora in Olanda.
La loro casa è distrutta sotto le macerie e è stata uccisa ora la moglie del fratello che ha lasciato il marito ed i 5 figli, che ora vivono in Egitto.
Grazie a Haneen, suo marito ed ad una giovane volontaria egiziana che insieme ad un gruppo di studenti, si occupa in modo totalmente volontario di alcuni dei 150000 palestinesi di Gaza attualmente sfollati in città, abbiamo saputo delle pesanti condizioni di vita che affrontano in Egitto.
Il governo con la scusa di volere il loro ritorno nella striscia di Gaza, non li riconosce come rifugiati, e quindi stante la loro condizione non possono fruire del sistema sanitario, né fare frequentare ai bambini ed ai giovani il sistema scolastico pubblico.
Abbiamo visto che per studiare fanno scuola on line collegandosi come possono con pc e tablet a corsi on line della West Bank.
In più senza documenti di riconoscimento validi in Egitto non possono accedere a impieghi se non in nero e quindi sotto pagati e senza garanzie.
Questa situazione è un ulteriore abuso su una popolazione già estremamente abusata e occorre denunciare questo limbo legale in cui questi profughi sono costretti a vivere!
Personalmente, essendo fortemente convinta che la nonviolenza e la volontà dignitosa di questa popolazione vada raccontata in modo non soltanto pietistico, racconterò la vicenda di resilienza della nostra amica Haneen.
Lei ed il marito erano insegnanti, ma vista l’impossibilità di poter lavorare in Egitto e visto che amava cucinare, ha creato un sito Instagram dove illustra le ricette della cucina Palestinese, parla della loro resilienza il Sumud, organizza i pranzi, la school kitchen per gli ospiti e prepara i banchetti da asporto per le festività, mantenendo così (aiutata da tutti i suoi cari) le 16 persone con cui convive.
Sotto indicherò il suo canale Instagram.
Avete in mente altre azioni nonviolente?
Questa conoscenza e le visite fatte dal nostro gruppo ci hanno fatto ritornare in Italia con diversi impegni che vogliamo continuare a svolgere per aiutare questi rifugiati.
Alcuni si stanno recando a Bruxelles, dove dal 21 al 27 giugno si faranno dimostrazioni ed iniziative, perché con gli ultimi accadimenti internazionali e l’allargamento del conflitto, non si dimentichi, che a Gaza il genocidio della popolazione continua, con un incremento delle uccisioni e la mancanza di forniture alimentari e medicali.
Noi non ci fermiamo nelle denunce e nelle azioni!
La Global March non si è realizzata, ma le persone che hanno cercato di realizzarla continueranno a lavorare fino alla fine di questo sterminio genocidario!
Per favore continuate con noi a “Restare Umani”.
Laura Tussi