Le piazze italiane non si fermino, soprattutto adesso

di Massimiliano Perna - ilmegafono.org - 10/10/2025
Non bisogna arretrare di un passo, finché Gaza non verrà restituita ai Ghazawi e i soldati israeliani non avranno lasciato per sempre la Striscia.

Le piazze sono tornate ed è una buona notizia in questa epoca buia. Non piazze “di settore”, a compartimenti stagni, come accade ormai da tempo. In Italia, a scendere per strada sono stati tanti pezzi di Paese, portatori spesso di istanze diverse ma questa volta uniti sotto la bandiera dell’umanità. Due milioni di persone hanno popolato le città italiane lo scorso 3 ottobre, in uno sciopero generale che seguiva quello già proclamato (e anch’esso molto partecipato) del 22 settembre. Un altro milione, il giorno successivo (il 4 ottobre), ha riempito Roma. Numeri importanti, ma soprattutto il segno di una rabbia e di una indignazione che covano da tempo nel cuore delle persone, davanti a un genocidio compiuto da uno Stato, Israele, e dal suo governo canaglia, con la corresponsabilità di una moltitudine di complici. Quelli che hanno taciuto, continuato a fornire armi e mezzi militari, a intrattenere rapporti commerciali, a negare il genocidio stesso. Quelli che, oggi, guarda caso, plaudono a un “piano di pace” farlocco, una specie di coniglio malconcio tirato fuori dal cilindro dagli USA di Trump.

Un piano che ha l’unico scopo di formalizzare la spartizione (sul modello coloniale) di Gaza e dei Territori occupati e, soprattutto, di garantire impunità all’alleato Netanyahu, sul quale pende un mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità emesso dalla Corte Penale Internazionale, e ai suoi orridi colleghi ministri. Se c’è qualcuno che incarna alla perfezione la figura del complice di Israele (e degli USA), esso è sicuramente il governo italiano. Silente per mesi, perché il silenzio aiuta gli affari, fiero di definirsi amico di Israele (il ministro Salvini ha ricevuto persino un premio per questo), violento e offensivo con chi indicava l’orrore compiuto a Gaza e decideva di dare un segnale. Ma soprattutto servile con chi, davanti allo specchio implacabile della Storia, appare con le mani sporche e i denti macchiati del sangue di 70.000 innocenti, tra i quali 25.000 bambini.

Ecco perché, le piazze italiane, nate dal risveglio civile sollecitato dall’impresa umanitaria e politica della Global Sumud Flotilla, oltre a liberare il dolore vissuto di fronte a un genocidio e ad affermare l’indignazione nei confronti del governo israeliano, sono diventate anche occasioni per puntare il dito sull’ignavia, sulle responsabilità e sui comportamenti di Giorgia Meloni e del suo governo. Una grande prova di democrazia, nella quale è stato bellissimo rivedere tantissimi giovani a difendere i diritti di esseri umani che vivono lontano da qui, oltre lo “steccato” del loro giardino quotidiano. Ed è stato bellissimo ritrovare il contatto con le persone, prendersi per mano, unire le voci in un coro pieno di umanità e sete di giustizia. È stato salutare per tutti, giovani e meno giovani, ritrovarsi, capire che la rassegnazione è la droga con la quale il potere narcotizza tutti noi. Così come ci narcotizza la vita virtuale, quella che ci sommerge di informazioni e al contempo ci illude che bastino un post furioso e indignato sui social, un like o il “segui” a un personaggio che veicola messaggi giusti, a pulire la nostra coscienza e certificare il nostro impegno. Che invece rimane spesso solo un’intenzione, una opinione annacquata nel mare della rete.

L’azione della Flotilla e le piazze conseguenti ci hanno dunque liberato da noi stessi, dalle scorie di un tempo che ci ha ingabbiato, tutti, anche chi pensa di essere immune da tutto questo. Il pacifismo globale della Flotilla, che ha contagiato i meravigliosi giovani di questo Paese, troppo spesso sottovalutati e dipinti in negativo solo perché non se ne comprendono i linguaggi, ha distrutto confini e paure, ha coinvolto milioni di persone diverse tra loro in un movimento finalmente e nuovamente transnazionale. La rassegnazione si è dissolta tra i muscoli delle gambe, che hanno marciato con rabbia, e la pelle delle mani, che hanno applaudito e scandito il ritmo della protesta. Pacifica, nonostante qualche infiltrato violento che con questo movimento non ha nulla a che vedere e a cui, dalla scadente classe politica e dall’altrettanto scadente mondo dell’informazione del nostro Paese, è stato concesso tutto lo spazio necessario a mettere in secondo piano il grande messaggio proveniente dalle piazze. Piazze che, evidentemente, fanno paura a chi detiene il potere.

Fanno paura, soprattutto, questi giovani che non si arrendono, non si allineano, anzi impongono una loro narrazione del presente e pretendono, guarda un po’, una nuova e diversa visione del futuro. Quello che toccherà a loro abitare, quello che a loro renderà conto delle ingiustizie che altri hanno compiuto nel passato, vale a dire nel tempo attuale. Il 3 ottobre loro c’erano, con i loro volti fieri e sorridenti, i loro cartelli bellissimi. E con loro c’erano anche i sindacati. Ed è stato bello vedere nuovamente i sindacati in piazza insieme, vedere CGIL e USB uniti, nonostante le divergenze che spesso li contrappone, per sfilare con il mondo studentesco, con le lavoratrici e i lavoratori, con pensionati, giornalisti, cittadini di ogni comparto. Un grande movimento per sostenere le attiviste e gli attivisti della Flotilla, per continuare a chiedere che Israele fermi il massacro su Gaza, per ribadire al governo italiano che questo Paese ha una Costituzione e che l’esecutivo dovrebbe rispettarla e agire secondo un principio di tutela e di interesse collettivo e non sulla base di propaganda, brame autoritarie o difese di parte.

La protesta ha colto nel segno, se non altro perché Israele ha dovuto usare la forza illegale e si è offerto agli occhi del mondo con la sua innegabile vocazione alla pirateria e alla violenza. Ma ha colto nel segno anche sul piano italiano, dal momento che la premier Meloni non è riuscita più a contenersi, a mascherarsi con quel controllato dosaggio di aggressività al quale di solito fa seguire una falsa ma funzionale moderazione. La premier è sembrata nervosa, ha assunto di nuovo le fattezze aggressive di quando stava all’opposizione e sbraitava, con toni violenti e parole durissime. Giorgia Meloni e il suo governo si sono trovati nudi, incapaci di nascondere il loro servilismo, il loro costante genuflettersi dinnanzi alle potenze straniere, agli alleati. Il patriottismo finto, tipico della destra di ispirazione fascista, è crollato anch’esso, fagocitato dalla verità che le piazze e la storia hanno sbattuto in faccia ai leader delle forze di maggioranza.

Una verità che i cittadini hanno continuato a portare tra le strade di Roma, nel giorno in cui alcuni attivisti italiani della Flotilla, catturati illegalmente in acque internazionali e imprigionati in Israele, raccontavano le violenze e le umiliazioni commesse dal governo Netanyahu, nei loro confronti e nei confronti dell’attivista svedese Greta Thunberg, sulla quale la furia dei nazisti israeliani si è accanita particolarmente. Racconti, quelli sui soprusi subiti dai nostri concittadini, ai quali il governo italiano non ha contrapposto alcuna reazione. Silenzio totale, anzi persino un servile ringraziamento al governo di Israele per averli rilasciati vivi e non averli ammazzati. Con la ciliegina finale di negare alle donne e agli uomini della Flotilla voli di Stato per riportarli a casa. D’altra parte, loro non sono criminali di guerra come Almasri, né sono cittadini accusati di omicidio in Paesi stranieri.

Di fronte a tutto questo, di fronte alla strategia ottusa di Giorgia Meloni e dei suoi, incapaci di comportarsi come un governo, di uscire dalle vesti ideologiche e spietate di chi vive in campagna elettorale permanente, le piazze hanno assunto ancora più valore. Ed è per questo che ora queste piazze dovranno continuare, allo stesso modo, senza cappelli o bandiere di parte, rifuggendo le brame politiche monopolistiche e i protagonismi. Bisogna continuare e dimostrare che esse non sono una risposta solo emotiva, ma che chiedono e pretendono un cambio di direzione politica. Non sarà facile, ma bisognerà proseguire e urlare che la protesta non si fermerà fino a quando il popolo palestinese non avrà voce. E bisognerà essere bravi, attenti e pronti, perché il fasullo piano di pace di Trump (tra Israele e Hamas, entrambi nemici del popolo palestinese), sarà una condanna definitiva per Gaza e per la Palestina. E per la giustizia che meritano.

Con questa presunta pace, che non è chiara sul ritiro e sulla disponibilità al ritiro di Israele, che intanto continua a bombardare la Striscia anche dopo l’annuncio di Trump, proveranno a farci credere che tutto è risolto, puntando così a silenziare e addormentare la protesta, deteriorarne e ridurne il consenso. Non bisogna cascarci e, dunque, non bisogna fermarsi, né perdere di vista l’obiettivo. Che è la tutela del popolo palestinese. Non bisogna arretrare di un passo, finché Gaza non verrà restituita ai Ghazawi e i soldati israeliani non avranno lasciato per sempre la Striscia. Finché Netanyahu, Katz, Ben Gvir, Smotrich e gli altri ministri, generali e militari nazisti israeliani non verranno processati e condannati per genocidio. Finché la Palestina non sarà uno Stato autonomo e riconosciuto da tutti, senza occupanti  e senza blocco navale, e finché Israele non diverrà, concretamente, una democrazia che rispetta le regole e il diritto internazionale. Un genocidio, infatti, non può ammettere sconti per i colpevoli o compromessi. Un genocidio ha bisogno di giustizia. Perché senza giustizia non potrà mai esistere alcuna pace.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org

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