Una giornata particolare. 22 settembre 2025

di Paola Caridi - invisiblearabs.com - 23/09/2025
Non sappiamo quante persone sono scese in strada, quanti negozi hanno deciso di chiudere. Panifici e pasticcerie e ristoranti: perché non si può cucinare, curare il cibo, e poi reggere l’urto dell’immagini dell’affamamento ordito dagli israeliani contro i palestinesi.

Che giornata!

Lo digeriremo con il giusto tempo, questo 22 settembre 2025, ma già sappiamo molto del suo significato. Sappiamo, per esempio, le sue prime volte.

Le prime volte del 22 settembre 2025.

La prima volta di uno sciopero generale senza i sindacati tradizionali, Cisl, Uil, e soprattutto Cgil, che ha deciso con un’improvvida presa di posizione dell’ultimo momento di scioperare (da sola) per Gaza. Di mettere al primo posto la Cgil e al secondo posto Gaza, senza rendersi conto che ora, da tempo, è tutto diverso. Diversi i protagonisti, di questa che non è solo protesta, ma postura.

La prima volta di uno sciopero generale di natura politica e non contrattuale da quel 16 marzo 1978 in cui fu rapito Aldo Moro e i sindacati fecero immediatamente sentire, con la loro forza, il sostegno a un paese attonito e ferito.

La prima volta di uno sciopero generale per un argomento che solo a prima vista è di carattere internazionale: Gaza è, invece, di carattere esistenziale, di specie, di umanità, di etica, ed è per questo che è l’unica ragione che può mettere assieme, oggi, tutte e tutti, in modo trasversale. Nel mondo.

La prima volta, anzitutto, in cui uno sciopero generale viene proclamato da tutte e tutti, dal basso. Dai sindacati di base, da gruppi, da associazioni, chiamato e preteso da individui, da coscienze.

Il richiamo più immediato e interessante è quello con il 25 aprile 1945 e la chiamata allo sciopero da parte del CLN-Alta Italia con le parole di Sandro Pertini. Non è un richiamo dettato solo da una nostalgia morale. È, dal punto di vista storico, definire la presenza del popolo nello spazio pubblico. Popolo, persone, gente comune, operaie e operai, tutte vittime della guerra. Tutte contro il potere di chi decide ed esercita la guerra. Tutte per la democrazia (reale) e la pace.

Se i miei colleghi (giornalisti), alcuni sorpresi dalla solidarietà nei confronti di chi manifestava, avessero seguito questo movimento gentile, garbato, silenzioso, continuo a cui non è stata data neanche una breve notizia, in questi ultimi sei mesi in misura diffusa e capillare. Se non avessero fatto spallucce, in virtù di un supposto realismo cinico e asservito, non sarebbero stati travolti da un fenomeno pulviscolare, impossibile da agguantare e costringere in un catino. In una sola piazza. In un solo giorno. È invece ovunque. Ovunque in Italia. Nei margini di un paese che ha già deciso che un genocidio non si fa, e non si accetta: si ferma, ci si oppone, con la Global Sumud Flotilla e i corpi che ieri erano per le strade, o in casa perché costretti. O sul web. E dai margini è arrivato sin sulle strade delle grandi città in misura così enorme e convinta.

Se i miei colleghi avessero visto le iniziative di questi lunghi e meravigliosi mesi, nei margini dell’Italia, tutte pacifiche, tutte consapevoli, avremmo un quadro più veritiero di quello che è successo il 22 settembre 2025. Il giorno dei senzapotere non in una piazza, ma in tutte le piazze. In tutta l’Italia.

Nella Palermo, per esempio, che non vedeva una manifestazione di tale portata dai tempi delle stragi di mafia: giovanissime, giovanissimi, famiglie e bambini, maestre/i e bambini. Avvocate e avvocati, in una città in cui scendere in piazza con la toga significa tanto. Non era la prima volta, perché stavolta – il 22 settembre – sono scesi in strada, compatti come un’onda, coloro che nelle strade erano già scesi negli scorsi mesi in gran numero, e nei due anni del genocidio di Gaza e del genocidio nostro.

Da Palermo a Milano, da Roma a Napoli. Torino! E da Firenze e Bologna, queste ultime due città centro di una protesta pacifica, sempre pacifica, che va avanti costante da settimane e da mesi, con presidi e marce nei quartieri, con il sostegno chiarissimo (nel caso di Bologna) del comune, nella completa indifferenza dei media (lo abbiamo già scritto, come Ultimo giorno di Gaza, settimane fa). Centinaia di migliaia di persone, di senzapotere in piazza. Invisibili, nei paesi, nei piccoli centri in cui nei mesi scorsi hanno steso sudari e suonato campane, battuto pentole, acceso candele e luci nel buio. E boicottato tutto ciò che c’era da boicottare. E riconosciuto lo Stato di Palestina nei consigli comunali. Sono stati sussurro, e poi voci, e poi corpi, e poi presenza costante contro il genocidio di Gaza. Chiamandolo per quello che è: genocidio. Genocidio del popolo palestinese a opera dello stato di Israele

Non abbiamo numeri delle manifestazioni, ma sappiamo, nella nostra anima, che non si torna indietro. Non è un movimento, ma sono certa che sia – traslando la definizione fatta da Asef Bayat, sociologo tra i più interessanti – un ‘nonmovimento’: in questo caso un nonmovimento politico. E’, per citare ancora Bayat, “vita come politica”.

Non sappiamo quante persone sono scese in strada, quanti negozi hanno deciso di chiudere. Panifici e pasticcerie e ristoranti: perché non si può cucinare, curare il cibo, e poi reggere l’urto dell’immagini dell’affamamento ordito dagli israeliani contro i palestinesi. Quanti insegnanti si sono astenuti dal lavoro, quanti autisti e macchinisti hanno scioperato. Non interessa, anche se sarebbe bello avere i numeri per non sentirsi neanche per un momento dei numeri.

Siamo i senzapotere. Non siamo impotenti. E fermeremo il genocidio.

Questo commento è dedicato ad Alaa Abdel Fattah, che dopo oltre un decennio di ingiusta detenzione nelle carceri egiziane ha avuto la grazia da parte del presidente Abdel Fattah al Sisi. La  notte del 22 settembre – che giornata indimenticabile – è uscito finalmente dal carcere di Wadi al Natroun. Osservare lui e gli altri protagonisti della rivoluzione egiziana di piazza Tahrir ha cambiato profondamente il mio sguardo sulla partecipazione politica, l’uso politico dello spazio pubblico, i movimenti e i nonmovimenti. E credo che guardare da sud verso nord, da est verso ovest, uscendo dai confini europei per assumere altre linee interpretative sia fondamentale per non rimanere ancorati a paradigmi che ormai mostrano la trama lisa.

Per chi frequenta da anni questo blog, Alaa è un volto non solo conosciuto. È il volto, la biografia, il caso per cui centinaia di persone in Italia hanno costruito un digiuno a staffetta iniziato alla fine di maggio 2022 per sostenere Alaa che stava conducendo già da settimane uno sciopero della fame a oltranza, durato fino a novembre. Questo blog è stato il collettore delle adesioni e delle storie di chi ha aderito, in una prima piccola prova del potere dei senza potere e della solidarietà verso chi non si conosce, ma di cui si conosce il dolore e le ragioni.

La liberazione di Alaa, assieme a pochi altri detenuti, è arrivato dopo lo stop deciso da Layla Soueif, madre di Alaa e una delle principali intellettuali egiziane, al suo lungo, estenuante sciopero della fame. Uno sciopero della fame che aveva già messo a rischio la sua salute e la sua stessa vita.

Tutto si tiene. Gaza e Alaa. I senzapotere in piazza e la democrazia. I diritti e le libertà.

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