Al voto! Per il lavoro e la cittadinanza; contro La Russa e la deriva autoritaria

di Livio Pepino - volerelaluna.it - 06/06/2025
Il raggiungimento del quorum e la vittoria dei sì (o anche solo una valanga di voti) darebbero una imponente spallata al Governo e potrebbero aprire una nuova stagione politica

Domenica e lunedì si vota: per restituire ai lavoratori e alle lavoratrici dignità e diritti in gran parte perduti nei decenni scorsi (https://volerelaluna.it/politica/2025/04/04/i-referendum-il-lavoro-la-democrazia/e per introdurre elementi di cambiamento nelle politiche migratorie riducendo il periodo di permanenza in Italia necessario per poter richiedere la cittadinanza (https://volerelaluna.it/politica/2025/04/04/mettiamo-un-cerotto-ovvero-il-referendum-sulla-cittadinanza/).

Raggiungere il quorum del 50 più uno per cento degli aventi diritto al voto è un’impresa difficileLo è da tempocome dimostra il fatto che, nel nuovo millennio, esso è stato raggiunto solo nel 2011 in occasione della consultazione su acqua pubblica nucleare in cui l’affluenza alle urne sfiorò il 55 per cento. Oggi, poi, le difficoltà sono ancora maggiori. C’è, infatti, una generale caduta della partecipazione elettorale acuita, quanto ai referendum, dalla malsana abitudine della politica di disattenderne l’esito (come sta accadendo per il nucleare). E ci sono difficoltà specifiche, a cominciare dallo scippo, da parte della Corte costituzionale, del quesito sull’autonomia differenziata (https://volerelaluna.it/controcanto/2025/01/22/lautonomia-differenziata-e-il-referendum-negato/), che ha ridotto la valenza politica della consultazione, pensata per più obiettivi e in grado, per questo, di produrre il massimo della mobilitazione e della partecipazione. Senza contare la cappa politica di una destra illiberale (non solo quella al governo) che, fino a una settimana fa, ha pesantemente silenziato i referendum (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2025/05/07/il-silenzio-sui-referendum-un-attacco-alla-democrazia/), al punto che – secondo l’ultima rilevazione di Demopolis – a due settimane dal voto il 35 per cento dei cittadini non sapeva che ci sarebbero stati dei referendum e il 19 per cento lo sapeva ma non ne conosceva il contenutoTutto ciò, poi, è accompagnato dalla diffusione, secondo una tecnica collaudata, di sondaggi al ribasso tesi a veicolare l’idea che andare a votare è inutile e che è meglio andare al mare o in montagna.

Difficile, peraltro, non è sinonimo di impossibile. Nei due mesi, o poco più, di campagna elettorale la conoscenza, la consapevolezza, la voglia cambiamento sono cresciute in maniera significativa. Lo ha toccato con mano chiunque ha partecipato a dibattiti e assemblee, ha distribuito volantini nelle piazze e nei mercati, ha attraversato cortei e manifestazioni sui temi caldi del paese e del mondo (dal genocidio di Gaza al riarmo o al decreto sicurezza). E lo si vede dai riscontri sui social. Ciò produce una prima conclusione: il quorum si può raggiungere e i sì possono vincere. Dunque, è importante non far mancare nemmeno un voto.

Ma ci sono anche altre considerazioni.

La prima si può sintetizzare in uno slogan: bisogna andare a votare perché La Russa ha detto di non farlo. È una risposta politica, non solo una reazione d’istinto all’ennesima provocazione. Il fatto che questa destra autoritaria e illiberale, impegnata in una repressione sistematica del dissenso, inviti a non votare e lo faccia per bocca delle più alte cariche dello Stato, violando ogni consuetudine costituzionale, esige una risposta all’altezza della situazione. La questione non è giuridica ma, appunto, politica. In un contesto in cui la partecipazione è ai minimi storici e l’attacco ai corpi intermedi e alla loro autonomia è quotidiano, l’invito dei nostalgici di Salò a disertare il voto tende, infatti, a delegittimare lo strumento referendario in quanto tale (e cioè uno dei pochi strumenti a disposizione dei cittadini per esprimersi direttamente). E c’è di più. La posta in gioco va al di là del referendum e investe la concezione stessa della democrazia. Lo scarso afflusso alle urne, infatti, giova alle destre ed è, al di là di deprecazioni di circostanza, un loro obiettivo generale: perché il non voto coinvolge soprattutto i ceti popolari, perché l’astensionismo avvantaggia il ceto politico rafforzando la delega di cui gode e perché un elettorato numericamente ridotto è più facilmente controllabile con mance e clientele. Votare ai referendum significa anche contrastare questa deriva.

La seconda considerazione è di tutta evidenza: una vittoria dei sì sarebbe un segnale importante per un’inversione di tendenza nelle politiche del lavoro e delle migrazioni. C’è, al riguardo, un’obiezione anche in ambito sindacale (in particolare nella Cisl) e in alcuni ambienti sedicenti progressisti. I referendum – si dice – incidono su temi che richiederebbero interventi organici del Parlamento e, in ogni caso, produrrebbero modifiche limitate e insufficienti. L’obiezione non coglie nel segno ed è, a ben guardare, una sorta di inno allo status quo. Certo, un intervento organico del Parlamento sarebbe auspicabile ma sappiamo tutti che non ci sarà e che, se mai ci fosse, non farebbe che peggiorare la situazione. Di più. I referendum, in quanto abrogativi, non introducono norme e discipline nuove. Non è questa, del resto, la loro finalità. Ma possono eliminare parti della disciplina vigente, aprire delle falle nel sistema, sostenere orientamenti giurisprudenziali diversi, rafforzare nuove richieste in termini di contrattazione e via seguitando. Non è una “rivoluzione”, ma mettere i bastoni tra le ruote alla deriva liberista e sovranista è meglio che stare a guardare…

La terza considerazione è di carattere generale: il raggiungimento del quorum e la vittoria dei sì (o anche solo una valanga di voti) darebbero una imponente spallata al Governo e potrebbero aprire una nuova stagione politica. I referendum hanno sempre avuto effetti più ampi rispetto al loro oggetto specifico: da quello sul divorzio (in cui la vittoria del no all’abrogazione incrinò in modo decisivo l’egemonia conservatrice e clericale) a quello contro la riforma costituzionale del 2016 (che segnò la fine rovinosa del renzismo). Nel momento in cui il Governo e la sua maggioranza approvano il decreto sicurezza (passo rilevante verso uno Stato di polizia) e progettano un’ulteriore verticalizzazione incontrollata del potere (con riforme costituzionali tese a introdurre il premierato assoluto e una ridefinizione dei rapporti tra giurisdizione e politica), ogni sì al referendum è un atto di resistenza e di rilancio (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2025/04/01/5-referendum-per-la-salute-della-democrazia/). Un atto di resistenza contro un Governo sempre più scopertamente autoritario. E, insieme, una messa in mora dell’opposizione, perché capisca finalmente che senza radicalità si fa solo il gioco della maggioranza, e una spinta alla riapertura del conflitto politico e sociale, che è, da sempre, il solo veicolo di cambiamento (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2025/05/20/perche-votare-il-senso-di-un-referendum-controcorrente/).

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