La partita sui dazi ha dato un primo risultato, anche se non definitivo. Al netto delle scontate letture diverse a destra e a sinistra, il giudizio largamente prevalente in Italia e all’estero è che l’Europa abbia subito – o, meglio, non abbia saputo o voluto evitare – una sconfitta dura nel merito e umiliante nei modi. Il bullo di Washington ha stravinto.
Forse si potrà solo ridurre il costo della sconfitta in singoli settori e per casi particolari. La cosa riguarda ovviamente tutto il paese. Ma tocca in specie il Mezzogiorno. La maggiore fragilità del tessuto produttivo accresce il possibile effetto negativo dell’aumento dei dazi al 15%. Questo giornale dà ampio conto dell’analisi Svimez che quantifica l’impatto, specificando che la Campania è, nel Mezzogiorno, la regione più colpita in termini sia assoluti che relativi. Agroalimentare, automotive e farmaceutica sono tra i settori più a rischio, con centinaia di milioni di euro e migliaia di posti di lavoro in ballo. Un minore pessimismo viene da chi guarda a punti ancora non noti o da definire dell’accordo. Ma l’atteggiamento dell’amministrazione Usa in queste ore lascia poco sperare. Ci vorrà qualche tempo per conoscere l’effettivo punto di caduta. Ma certo bisogna da subito prepararsi al peggio, e fare il possibile per parare il colpo.
Sarà compito anzitutto del governo nazionale definire una strategia per sostenere i settori in difficoltà, e trovare le risorse necessarie. Con conti pubblici già in affanno, ci sarà una dura competizione tra territori per ottenere una fetta di aiuti. E rischiamo per l’ennesima volta di scoprire un paese di figli e figliastri. Avremmo quindi bisogno non domani, ma oggi, di avere una politica forte e autorevole, in grado di farsi valere sul piano nazionale nelle scelte che verranno. Ce l’abbiamo? Certamente no. Dei dazi si parla da mesi.
Una prima stima Svimez del potenziale impatto sul Mezzogiorno risale al 4 febbraio: si segnalava che il contributo del Sud alle esportazioni italiane era al 28,4% in automotive, elettronica e informatica, al 22,6% in agrifood, all’11,2% in farmaceutica. Abbastanza, si direbbe, per attirare l’attenzione di un ceto politico degno del nome. Sono passati quasi sei mesi. Di cosa ha discusso da allora quel ceto politico? Quasi esclusivamente di terzo mandato, poltrone e candidature.
Ora l’aumento dei dazi cade su un panorama generale già difficile. Aree interne, difficoltà sui fondi Pnrr, carenze nell’erogazione di servizi pubblici essenziali come istruzione, sanità, trasporti, povertà diffusa assoluta e relativa, danno il quadro di un Mezzogiorno in cui pochi isolati indicatori economici offrono segnali positivi, della cui tenuta è possibile dubitare.
È un quadro che senza interventi efficaci può solo peggiorare con l’aumento dei dazi. La domanda è: esiste un progetto alternativo della politica meridionale, almeno nelle due grandi regioni – Campania e Puglia – che si apprestano ad andare al voto? Non se ne coglie segno nel dibattito. Per contro, leggiamo di Calderoli che va avanti con le trattative sull’autonomia differenziata, senza tenere alcun conto delle indicazioni della sentenza 192/2025 della Corte costituzionale, e senza coinvolgere in alcun modo il Parlamento. Capiamo bene che la politica è fatta anche di ambizioni personali, di trattative alla De Luca per sé e per i suoi, di turbolenze tra fazioni pro o contro un segretario/a, di voglia di piantare una bandierina, di nomine e di incarichi.
Ma non può essere solo questo. Un progetto, un’idea di futuro, una speranza di vita migliore non devono mancare. Ed è anche vero che a Roma la salute non è migliore. Un ultimo sondaggio ci dice che per larga parte degli italiani una riforma epocale – la giustizia – avrà un impatto minimo o nullo sulla propria vita. Questo la dice lunga sulle priorità di maggioranza. Ma non è cosa che ci consoli. Vorremmo che d’ora in poi la campagna elettorale parlasse un linguaggio diverso.
Come vorremmo una politica che desse a ognuno la certezza di non morire sul lavoro, e il diritto a una retribuzione sufficiente a sé e alla famiglia e a un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.). Ma, se ci guardiamo attorno e con il governo che c’è, forse è sperare troppo.