Quella gara perdente con l’autonomia

di Massimo Villone - ilmanifesto.it - 01/11/2023
Se la Meloni vuole correggere l’errore commesso, e pareggiare al tempo stesso il passo delle riforme, consideri una limatura degli articoli 116.3 e 117 della Costituzione. Presso la prima commissione del senato c’è un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare. L’abbiamo presentato con oltre centomila firme, per difendere l’eguaglianza, i diritti e l’unità del paese

Tanto tuonò che (forse) pioverà. Si annuncia il premierato. Meloni celebra l’arrivo della III Repubblica. Si conferma che le riforme sono l’arma di distrazione di massa di una maggioranza clamorosamente incapace di realizzare le promesse elettorali.
Meloni accelera, per non lasciare ancora nel cassetto la parte del disegno riformatore ascrivibile a lei.

Bisogna capirla. L’autonomia differenziata avanza di buon passo. La prima commissione del senato è giunta all’articolo 7 (su 10). Si disegna un paese arlecchino e instabile, come ad esempio emerge dalla discussione relativa alle leggi statali «cedevoli» al momento dell’entrata in vigore di norme regionali susseguenti all’intesa della regione con lo stato, o da quella concernente una possibile cessazione dell’intesa.

Al tempo stesso, la maggioranza blocca gli emendamenti delle opposizioni volti a far emergere costi e sostenibilità dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Nel complesso, non si fa alcuna luce sulle criticità che le opposizioni fanno emergere. Eventuali chiarimenti sono rinviati a futura memoria: una (nuova) audizione di Cassese, presidente del Clep (Comitato per i livelli essenziali delle prestazioni), di Giorgetti, un approfondimento della lettera del governatore Bankitalia Visco.

Essendo un collegato, il disegno di legge Calderoli può essere trattato anche in sessione di bilancio, e come legge ordinaria non richiede una doppia lettura. Con l’approvazione in senato, il più è fatto. Un referendum abrogativo ex articolo 75 della Costituzione rischia l’inammissibilità per la natura di collegato, e comunque richiede 500mila firme - oggi una montagna - o cinque consigli regionali, parimenti difficili da trovare. Meloni deve aver visto la possibilità che nel giro di pochi mesi giungano alla sua firma prime proposte di intesa con alcune regioni.

Potrebbe mai Meloni consentirlo con il premierato a zero? No, soprattutto quando i sondaggi dicono che l’autonomia differenziata non piace affatto al Sud, dove il suo partito ha uno storico insediamento. Di fronte all’urgenza conta poco l’indiscutibile stravolgimento della Costituzione. A quanto si sa, la proposta tocca gli articoli 88, 92 e 94 della Costituzione. Vale a dire, si riducono sostanzialmente o si azzerano i poteri del capo dello stato nella nomina del premier e dei ministri, e nello scioglimento anticipato. Si sottrae alle camere il rapporto fiduciario, andando verso il simul stabunt simul cadent adottato a livello regionale, con le stesse conseguenze di marginalizzazione delle assemblee elettive. Soprattutto nell’ipotesi sia costituzionalizzato un sistema elettorale maggioritario con premio al 55%.

Non migliora le cose la famigerata norma antiribaltone, volta a preservare la maggioranza uscita dalle elezioni. Anzi. Santo Graal della destra dal primo Berlusconi, fatalmente consegnerà a ogni partner di governo o anche a manipoli di guastatori parlamentari l’arma di ricatto dello scioglimento. L’esatto contrario di stabilità e governabilità.

Verrebbe dallo stravolgimento della Costituzione un paese meglio e più governato? No. La prova è data dal parto faticoso della legge di bilancio. Nulla cambierebbe con Giorgia Meloni a palazzo Chigi come premier eletto, perché precarietà e debolezze non vengono dal rapporto con il parlamento o il capo dello stato - marginalizzati da qualsiasi premierato - ma dalle turbolenze interne alla coalizione, e nella specie dalla competizione con il socio leghista, che rimarrebbe tal quale.

Quindi rifletta Giorgia Meloni. Il premierato - con la doppia lettura e il referendum possibile (vogliamo ritenere probabile) a richiesta di un quinto di parlamentari ai sensi dell’articolo 138 - non potrà in alcun modo reggere il passo dell’autonomia differenziata, o riequilibrarla. Si frammenta e si indebolisce il paese con una riforma, non si unifica e rafforza con l’altra.
La sinergia è perversa, e l’autonomia differenziata corre. Meloni avrebbe dovuto saperlo.

Se vuole correggere l’errore commesso, e pareggiare al tempo stesso il passo delle riforme, consideri una limatura degli articoli 116.3 e 117 della Costituzione. Presso la prima commissione del senato c’è un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare. L’abbiamo presentato con oltre centomila firme, per difendere l’eguaglianza, i diritti e l’unità del paese. Qui non contano i numeri. La III Repubblica annunciata da Meloni potrebbe rivelarsi per il popolo italiano non un ospitale castello, ma un fatiscente tugurio.

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