L’Occidente collettivo è riuscito in una operazione egemonica difficile da smantellare. La creazione di nemici ad arte – principalmente Putin e il terrorismo – ha permesso una narrativa, trionfante nell’intero spazio politico-mediatico, che ha ormai penetrato le coscienze. La società civile è pronta a dare il suo consenso a una maggioranza in grado di distruggere lo Stato sociale europeo per comprare armi americane e prepararsi alla guerra contro una potenza nucleare. Peggio: malgrado qualche piccolo rimpianto moraleggiante, condivide il supporto dei governi statunitense ed europei al genocidio a Gaza, voluto – si afferma – dai terroristi di Hamas.
Thor, il mitico Dio scandinavo della guerra, è adorato in Occidente. Secondo l’antropologo Emmanuel Todd, l’evangelismo statunitense post-cristiano e l’ebraismo ultraortodosso post-ebraico sarebbero due risposte religiose alla fine dell’ideologia: l’etica del lavoro e del sacrificio tipica delle società protestanti e dell’ebraismo tradizionale. Oggi si celebrano la forza, la guerra e l’arbitrio.
Scrivo libri di narrativa in quanto mi interessa mettermi nei panni degli altri, mi affascina l’umanità nelle forme molteplici in cui si manifesta. Ultimamente sono ossessionata dai ragazzi ucraini che si nascondono per non andare al fronte, cioè incontro alla morte o ad amputazioni di arti. Tremano nascosti e sperano in un miracolo. Difficile sfuggire ai rastrellamenti dell’esercito. Immagino cosa provino quando leggono che gli analisti pantofolai occidentali affermano con la solita spocchia che la guerra continuerà, come minimo, fino al 2026. E loro in questo lasso di tempo si giocano la vita.
Stesso discorso, mi direte, potrebbe essere fatto per i soldati russi. Certo, poco credo al patriottismo. Ungaretti, Moravia, Pasolini hanno già detto tutto sull’animo umano e sulla retorica militarista. Eppure c’è una differenza enorme. I russi muoiono in percentuali minori, grazie a una strategia offensiva molto cauta, sono militari sedotti da laute paghe. Infine, ed è questa la diversità principale: i giovani ucraini muoiono perché la loro classe dirigente si è svenduta a interessi occidentali, ha rifiutato la neutralità, l’applicazione degli accordi di Minsk, un futuro di sviluppo economico vicino all’Europa e alla Russia. I russi danno la loro vita al fronte affinché la Federazione russa non venga smantellata e data in pasto alle multinazionali statunitensi. Possono nutrire almeno l’illusione di morire per il benessere dei loro figli.
Intanto in Medio Oriente i martiri di Gaza tormentati dalla fame, dalle malattie, dalle amputazioni in ospedali fatiscenti, dal panico per i bombardamenti costanti, straziati dai lutti, accolgono la morte come una liberazione. Nei talk show ancora si nega il genocidio; i governi europei esprimono solidarietà a Netanyahu; e la gente ingoia, non sapendo come reagire e non credendo che il Pd, se andasse al potere, farebbe qualcosa di molto differente.
Il 17° vertice dei Brics (6-7 luglio a Rio de Janeiro, sotto presidenza brasiliana, metà della popolazione e 40% del Pil mondiale) riunisce gli emergenti, il Sud che rifiuta un egemone privo di potere economico e autorevolezza morale. Chiedono un mondo multipolare, nel rispetto delle diversità delle civiltà, delle culture e delle forme di governo. Si appellano ai principi della Carta delle Nazioni Unite (senza doppi standard). Chiedono una riforma all’insegna del multilateralismo politico ed economico, affinché le istituzioni siano più eque e rappresentative. Sono prudenti, attenti alle possibili rappresaglie del camorrista internazionale (gli Usa) che minaccia gli Stati, come Brasile, India, Arabia Saudita e Turchia, se troppo si avvicinano alle posizioni russe o cinesi (qual era la cantilena favorita fino all’arrivo di Trump?
“L’Ucraina ha il diritto di entrare nella Nato”). Infatti Xi e Putin sono assenti. Il vertice prende posizione contro i dazi e le sanzioni unilaterali, per il ripristino della tassa del 15% sui profitti delle multinazionali Usa. La condanna degli attacchi a Teheran e del genocidio di Gaza è in agenda. Viene riaffermata l’esigenza di un allontanamento dal dollaro e sottolineato il ruolo della Banca di Sviluppo di Shangai per il finanziamento dei progetti strategici. Si ripropongono le politiche multilaterali per il controllo del clima, le epidemie sanitarie, transizione digitale e l’IA. Non vi sono dichiarazioni politiche chiare contro l’imperialismo statunitense né passi avanti concreti nella sfida all’esorbitante privilegio del dollaro. Gli emergenti, Cina in testa, possono aspettare. L’economia farà il suo corso: il mondo è già multipolare e lo slittamento del potere economico, politico e morale verso la Cina e il Sud viene negato solo da noi.