Grillo stila le priorità, Draghi risponde: prevale il Sì, ma il MoVimento si spacca

di Daniela Gaudenzi - Il Fatto Quotidiano - 12/02/2021
Non va nemmeno sottovalutata la centralità che il M5S ha saputo ritrovare pur se con innegabile sofferenza, e a prezzo di una spaccatura

E’ stato difficile se non impossibile concentrarsi, in questi giorni concitati e caotici, sulle poche cose serie, sulle questioni centrali e importanti a cui potrebbe iniziare a dare risposta il governo Draghi nell’arco di un orizzonte temporale che verosimilmente sarà circoscritto e limitato all’elezione del nuovo presidente della Repubblica di cui, ad oggi, lo stesso Draghi sembra essere il candidato più probabile.

L’estrema difficoltà di poter valutare in modo spassionato e razionale, al netto di pregiudizi e tifoserie, l’opportunità di stare dentro questo singolare e inusitato governo di “unità nazionale” o di rimanere cautamente a una distanza di sicurezza con una sfiducia costruttiva o con una iniziale astensione deriva in primo luogo dal contesto irresponsabile, tragicomico e paradossale da cui è originata la crisi.

E più ancora dalla narrazione mediatica univoca e surreale della stessa: faziosa e mistificatoria nella comparazione impietosa e nella contrapposizione senza appelli tra il governo degli “incompetenti” – ovvero degli “scappati di casa” del Conte 2 – e quelli rispettabili dei “competenti” che l’hanno preceduto: da B. a Renzi, a Gentiloni passando per Monti, fino a quello incomparabile dei “migliori” e di “altissimo profilo” guidato da Mario Draghi.

E’ un dato di fatto che mai un governo è stato evocato e preannunciato con tale plauso preventivo e con un’enfasi diffusa paragonabile a memoria, e l’iperbole anche se in modo ironico mi sembra che renda l’idea solo a quella degli antichi – in primis Virgilio, ripreso poi da Dante – per la venuta del fanciullo divino e misterioso che avrebbe portato con sé la mitica “età dell’oro”.

Noi oggi sappiamo che nonostante l’agiografia dominante non ci troviamo di fronte né ad un salvatore con poteri sovraumani né alla prospettiva di una nuova Arcadia, ma che siamo in una situazione di necessità in cui ci è stato autorevolmente e accoratamente spiegato che non è possibile andare a votare e ci interroghiamo, in primo luogo da cittadini, su cosa possiamo attenderci dal governo che comunque starebbe per nascere, con o senza la partecipazione del M5S.

Naturalmente il fatto che il M5S entri a far parte del “governo di tutti”, con l’eccezione di Fratelli d’Italia che si intesta a pieno diritto il ruolo di oppositore, non è una variabile di poco conto e potrebbe fare la differenza non solo sulla qualità ma sulla stabilità del nuovo governo, dettaglio non irrilevante di cui il presidente incaricato sembrerebbe essere consapevole.

E pare averlo evidenziato la scelta non scontata di Draghi riguardo l’istituzione di un super ministero alla transizione ecologica in totale sintonia con le istanze del M5S, in un’ottica di prospettiva e centralità ai temi ecologisti e alla trasformazione verde, anche in rapporto all’emergenza sanitaria, tutt’altro che scollegata dal degrado e dalla devastazione ambientale.

A riportare al centro della scena i contenuti che fanno la differenza e in primo luogo la richiesta di un ministero verde in grado di coordinare Ambiente, Energia, Mobilità con poteri di indirizzo e orientamento anche a livello internazionale è stato Beppe Grillo, che conseguentemente ha voluto includere l’accoglimento della proposta green all’interno del quesito referendario sottoposto agli iscritti per bendisporli verso il Sì.

Insieme alla centralità del piano ambientale fatta propria da Draghi, in totale consonanza con le direttive europee, e finalmente ritornata tra le priorità assolute del M5S, sarebbero stati rimossi dal percorso molto accidentato verso il governo più inclusivo della storia repubblicana da parte della formazione più antisistema due considerevoli macigni con l’archiviazione definitiva del Mes, e viceversa con la rivalutazione e il rafforzamento del tanto avversato e screditato Reddito di cittadinanza, che rimane una conquista emblematica del M5S.

Inoltre, stando a quanto emerso già nel primo giro di consultazioni e tenuto conto delle priorità immediate, la riforma della giustizia si dovrebbe focalizzare sulle misure per sveltire e digitalizzare quella civile, mentre rimarrebbero fuori contesto le pretese avanzate da centrodestra, Italia Viva e sedicenti garantisti su separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente finalizzata a condizionare i pubblici ministeri; infine riorganizzazione e sburocratizzazione della Pubblica amministrazione all’insegna dell’onestà e trasparenza nella gestione della cosa pubblica.

Mentre gli iscritti stavano votando assumendosi la responsabilità di una decisione densa di conseguenze e più tormentata di tutte le precedenti – e hanno con il 59,3% di Sì su 74.534 partecipanti al voto decretato l’ingresso del M5S nella maggioranza strabordante di Draghi – il garante infaticabile stilava i 17 punti del M5S, ovvero le azioni da mettere in atto secondo “gli obiettivi sostenibili dell’ Onu” che includono la Riforma Rai, l’Acqua pubblica con la nazionalizzazione ex art. 43 Cost., il salario minimo, il reddito universale, la legge sul conflitto di interessi, oltre le preferenze nella legge elettorale e la riforma della giustizia già depositata in Parlamento.

Inutile nascondersi che poche avranno qualche chance di concretizzarsi in una maggioranza dove siederanno Matteo Salvini, pur se riprogrammato in formato europeista, e B. benché non propriamente in forma smagliante e protagonista di una patetica rentrée fuori tempo massimo, nonostante l’ovvia attenzione mediatica riservatagli anche grazie a Dudù e Dudina.

Ma forse non va nemmeno sottovalutata la centralità che il M5S ha saputo ritrovare pur se con innegabile sofferenza, e a prezzo di una spaccatura, annunciata da tempo ma non per questo meno lacerante; come ha confermato il “mi faccio da parte” di Alessandro Di Battista, seguito da quello di Danilo Toninelli e prevedibilmente da diversi altri, se non votare la fiducia deve comportare automaticamente essere fuori dal Movimento.

Quanto a Mario Draghi con correttezza istituzionale e sano pragmatismo sembra aver semplicemente riconosciuto al M5S il ruolo di maggior partito all’interno del parlamento che gli compete. E al momento non si intravede nessun intento, da parte di quello che tra poche ore sarà il nuovo capo dell’esecutivo, di spargere manciate di sale sul Conte 2, né di liquidare come spazzatura l’operato degli “incapaci” e “incompetenti” che l’hanno preceduto, con buona pace di tutta la schiera di vecchi arnesi della politica e del giornalismo che l’hanno incensato confidando che si mettesse sotto i piedi Conte e i detestati grillini.

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