Un ventennio dura venti anni.... poi finisce !

di Rosario Amico Roxas - 09/02/2015

Il primo che meritò l’identificazione di “ventennio”  finì in tragedia, con una lotta fratricida e con la brutale esecuzione del leader che aveva condotto la nazione in una guerra persa in partenza, per seguire un altro leader non del tutto psichicamente integro; la fine di quel ventennio fu provocata da una esplosione provocata dalla forze mondiali  che si erano alleate per debellare un asse (Berlino-Roma-Tokio) che aveva insanguinato il pianeta.

Per onestà di cronaca, dobbiamo riconoscere che ebbe anche taluni meriti, ma solo nei primissimi anni dell’esercizio del potere, con provvedimenti sociali che sono sopravvissuti al  successivo sfacelo della dittatura e dell’alleanza nazista. Lasciò all’Italia, schierata dalla parte sbagliata, lo sfacelo di una guerra mondiale

Il secondo ventennio, quello democristiano, quando una nuova Costituzione garantì l’esercizio della democrazia e una politica liberal-democratica favorì una ripresa che ebbe del miracoloso, tant’è che venne identificata come “miracolo economico”,  registrò molti meriti, fino a quando i principi liberal-democratici non vennero inquinati dall’esordio di un liberismo che limitò i controlli dello Stato, favorendo gli eccessi che vennero stroncati dalla doverosa attività della magistratura con l’operazione passata alla storia e alla cronaca nera come “mani pulite”. Il ventennio democristiano pose termine ai suoi giorni quando il craxismo ne inquinò le fondamenta. Finì con la grande fuga dell’ultimo leader in Tunisia, che venne chiamata “esilio” quando, invece si trattò di “latitanza”.

Nei nostri giorni abbiamo registrato un ulteriore fallimento del successivo ventennio, quello Berlusconiano, del quale, pur tentando l’impossibile, non riusciamo a trovare i meriti che, pure, i precedenti ventenni, in qualche modo ebbero. Contrariamente al ventennio fascista, che venne demolito dalle fondamenta con una esplosione violenta che vide una coalizione mondiale, armata per sconfiggere il comune nemico nazi-fascista, il ventennio berlusconiano è imploso dall’interno, senza apparenti (almeno fin ora) conseguenze se non il disastro economico  di una crisi provocata da una gestione politica personalistica e ispirata ad un liberismo che si è spacciato come il continuatore del liberalismo che fu di Segni, Einaudi, ispirato e teorizzato da Benedetto Croce.

Venne esercitata una limitazione ai controlli dello Stato, in nome di una libertà che, alla fine, si è identificata con il libertinaggio della corruzione, delle turbative d’asta, delle truffe ai danni dello Stato, con provvedimenti di legge atte a favorire il malaffare, l’evasione fiscale, i falsi in bilancio, tant’è che in meno di venti anni  la ricchezza nazionale si ritrovò concentrata, per il 50%, nelle mani del 10% della popolazione, attraverso speculazioni finanziarie ordite da capitalisti senza capitali che operavano grazie ai vantaggi offerti loro dalla finanza creativa che non prevedeva dilatazione della produzione e conseguenti posti di lavoro, bensì maneggi finanziari, esportazione di capitali all’estero e gigantesche evasioni fiscali, protette da condoni, sanatorie e scudi fiscali.

Si è trattato e si tratta ancora di un fenomeno di “rigetto” politico, se non assunto da una presa di coscienza, certamente determinato dal rifiuto degli adepti di essere chiamati ad approvare le decisioni del capo,  non per salvaguardare il Bene Comune, ma per incrementare il bene personale, senza nulla lasciare ai fedeli e fedelissimi.

I mugugni dietro l’angolo hanno assunto le vesti della chiara contestazione al capo, mentre il tessuto connettivo, lacerato da interessi individuali, ormai non più soddisfatti, mostra segni di sfaldamento irreversibili.

C’è ancora una sparuta minoranza di elettori che balbetta ipotesi futuribili, non accettando la realtà che, ormai, condanna irreversibilmente ad una ingloriosa fine.

Il re è nudo e disarcionato; già di suo privo di autorevolezza, adesso si ritrova anche privo di quella autorità con la quale ha gestito la Cosa Pubblica, ai limiti di un esercizio autoritario del potere, perché forte della facoltà di inventare e approvare leggi ad personam e ad aziendam.

Dal buen ritiro della sontuosa di tenuta Arcore, peraltro acquistata con una delle primissime truffe, lancia le sue ultime sfide, ma non può fare altro che urlare la  disperazione  nel vedere sciogliersi al sole il frutto di due decenni di pubblico malgoverno e privato buongoverno.

All’orizzonte spuntano i primi segni di una pagina diversa, ma non si capisce ancora bene se si tratta di una pagina nuova, certamente diversa, ma quanto “nuova” ?

Sta iniziando un ulteriore ventennio ?

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