Il sacco di Catania e i suoi colpevoli

di Mariano Maugeri - Il Sole24ore - 10/10/2008
Riportiamo da Il-Sole24Ore di domenica un lungo articolo sulle cause del dissesto della città stretta tra sprechi e clientelismo

La danza funebre attorno alle casse esangui del Comune di Catania è la versione contemporanea (e caricaturale) di quelle che una volta erano le sapide rappresentazioni teatrali di Nino Martoglio, i monumentali romanzi di Federico de Roberto e le opere musicali di Vincenzo Bellini. Citiamo alcuni dei sacri padri della catanesità mentre ci inoltriamo nella bolgia infernale di Palazzo degli elefanti e di quel tormentone che lì impera («Ppì mia chi c`è?», cioè «C`è qualcosa per me?) - almeno così raccontano nei loro libri i vecchi cronisti - dall`alba del 1964, quando i giovani turchi per mano di Ninuzzo Drago, gemello catanese di Salvo Lima, conquistarono il palazzo d`inverno catanese al quale il famoso Liotru che troneggia in piazza Duomo, forse presagio di un agitato futuro, non porge né la proboscide (che castamente guarda la chiesa matrice) né tantomeno il suo pasciuto posteriore.
In quel palazzo, lo Scaltro (lo psichiatra forense Raffaele Lombardo), il Play boy (il farmacologo napoletano Umberto Scapagnini) e Pilu russu - ovvero la rivalsa del Rosso Malpelo verghiano - alias il senatore di Forza Italia Pino Firrarello, ex corrispondente da Bronte del quotidiano La Sicilia, si muovono da otto anni come i veri e quasi unici padroni.
Una coesistenza tormentata, disseminata di trappole, tradimenti, sfibranti tatticismi, con il sindaco in mezzo che ogni tanto - e ci mancherebbe altro - in cambio di qualche giorno di tregua firmava pacchi alti così di delibere. A Catania non c`è mai stato un sindaco, nel senso di uno solo, ma tre.
Per Scapagnini, insigne farmacologo, la carica di primo cittadino è stato un premio tardivo per anni e annidi lavoro scientifico e una fugace apparizione come assessore all`Urbanistica in una delle ammucchiate catanesi del pentapartito. Una piccola prova generale che diventerà un salto nell`olimpo dei sindaci metropolitani grazie all`infittirsi delle relazioni personali e gli intrugli anti-età per gli uomini di potere di cui lui possiede la misteriosa ricetta.
È la natura umana, ovvio. Ed è ancor più la natura umana a condizionare i comportamenti politici in una città dove la spesa pubblica comunale fa campare migliaia di dipendenti e decine e decine di aziende. Paradossalmente, il napoletano Scapagnini è il più brancatiano dei tre.
Belle guaglione, performance sportive e una passione quasi infantile per le feste.
Lui a Catania è di passaggio. Atterrò trent`anni fa a bordo di un Super 80 dell`Alitalia per occupare una cattedra universitaria e sei mesi fa, sempre con lo stesso cigolante aereo, è volato direttamente a Montecitorio. Potenza de` pinnuli. Per Firrarello e Lombardo (che è di Grammichele, l`antica Occhiolà famosa per la sua piazza esagonale) è diverso. Per i «paisani», come li chiamano qui, Catania è la più carnale e desiderata delle prede. La scalata romana e l`accumulazione di potere passano dalla presa della nona città italiana, patria di musicisti, scrittori, imprenditori determinati (e alle volte senza scrupoli), di una plebe e una borghesia istintivamente servili in lunghi tratti della sua storia. «`U pani è pani», anche nella più antica e blasonata sede del siculorum gymnasium. Una pulsione collettiva che ingrossa l`ingarbugliatissima matassa dei rapporti parentali o amicali (che qui sono la stessa cosa). Parti da un magistrato, da un medico o docente universitario e in un passaggio - di un amico fraterno, come si sottolinea qui per santificarne il legame, o di un parente - arrivi sempre al politico, all`immobiliarista, all`architetto, anche loro sodali, persone "per bene", meglio ancora se "sperti", furbi. Raffaele Lombardo, per esempio, è il prototipo dell`astuzia. E i catanesi rispettano i furbi e idolatrano gli astuti. «Iddu (Lombardo) ci leva `i scappi `o Signuruzzu mentri camina» («Lui è capace di togliere le scarpe a Cristo mentre cammina»). Sottinteso: senza neanche che Cristo se ne accorga. Cristo, infatti, non se n`è accorto.
Cristo non si è accorto che l`azienda comunale del gas, l`Asec - occupata dagli uomini dello scaltro, del play boy e di Rosso Malpelo - per anni non ha mandato neppure una lettera di sollecito ai 3mila morosi che non pagavano. Perché infastidire gli elettori? Cristo non si è reso conto che sugli autobus di Catania (l`azienda municipale trasporti ha accumulato in cinque anni un passivo di oltre 100 milioni) il 60% dei cittadini semplicemente non compra il biglietto, mentre un concorso per cento autisti eternamente aperto ha ulteriormente tonificato le quotazioni del promessificio a cavallo delle campagne elettorali 2005 e 2008.
A Cristo dev`essere sfuggito che dall`Avvocatura del Comune sono transitati per uno stage mezza dozzina di figli di magistrati catanesi, tutti avvocati, perché nella vita non si sa mai. Cristo, insomma, doveva essere proprio distratto. E con lui i sindacati, l`opposizione in Consiglio comunale («Ppì mia chi c`è?» lo pronunciano anche a sinistra, con l`unica differenza di un`inflessione snob da continentali), persino i giudici della Procura, sempre gli stessi, impigriti dall`età e dalle faticose digestioni della frittura dì paranza. «Ammucca, ammucca» («abbuffati, abbuffati»).
Un profluvio di parole, cannoli, affari, arancini e raccomandazioni. Da un paio di settimane, però, la paura si taglia a fette. Lombardo, che è di gran lunga il più intelligente e alla Provincia di Catania si vanta di aver lasciato un attivo di 60 milioni (una mostruosità all`incontrario, come sa qualsiasi imprenditore) serra le fila e martella via sms i suoi. L`ultimo è di due giorni fa: «Amici, militanti, dirigenti Mpa Catania e Provincia, insieme venerdì 26 settembre ore 17,30, terrazza Ulisse, viale Ulisse l0, Catania».
Qualcuno dovrebbe avvertire Cristo che i catanesi, un po` come i napoletani del compagno Bassolino e della nobildonna Rosetta Jervolíno, sono un popolo di ricattati più o meno consapevoli. I destinatari del messaggio sono i quasi 5mila dipendenti del Comune, quelli delle municipalizzate, aziende speciali e partecipate, quelle provinciali, dei patronati e delle municipalità. Quindici, ventimila dipendenti che con le loro famiglie formano un blocco sociale di almeno 100mila persone organizzato militarmente. Ormai militanza politica e lavoro pubblico sono la stessa identica cosa, Stato e partiti sinonimi. E nel dubbio, visto che i tempi sono grami, si obbedisce al politico. Chi non ci sta viene messo alla porta. Oppure emigra al Nord, come si è sempre fatto 100, 40 e 10 anni fa. Allineati e coperti, con le spie che poi prendono nota di chi c`era e chi no...
I nemici s`inventano. Il Nord, Roma, Cavour, Tremonti, il patto di stabilità, il taglio dei trasferimenti ai Comuni. Tutti hanno sbagliato dal 1861 ad oggi, tranne Scapagnini, Lombardo, Firrarello e lo stuolo di assessori, consiglieri comunalie liberi professionisti che siedono nei Cda delle società pubbliche. Una tribalizzazione scientifica,un`eversione contro leggi e regolamenti (quelle di bilancio in primis, come certificano due relazioni della Corte dei conti) nel nome di Iddu, che per non far torto alla Trinacria, a Catania è uno e trino.
Il popolo dei comunali e affini, imbeccato dai proclami dell`Mpa, rivendica un`autonomia ancora più spinta e scimmiotta un`antropologia solo in teoria alternativa a quella leghista. Sostengono che cinquant`anni di Statuto speciale hanno depauperato l`Isola. Sembra di rileggere una versione d`appendice dei Viceré di De Roberto. «Noi - fa dire il romanziere agli Uzeda di Francalanza - siamo troppo volubili e troppo cocciuti a un tempo. La nostra razza non è degenerata, è sempre la stessa». Un`autocritica che non sfiora i catanesi. Per colpa di Roma, qualcuno si è ammuccato un miliardo. Chissà, adesso, che acidità di stomaco.

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