Tra Ucraina e dazi, la pericolosa subalternità dell'Europa

di Alfiero Grandi - strisciarossa.it - 22/08/2025
L’alternativa alla destra procede con ritardo rispetto all’urgenza di cambiare registro e governo prima possibile. Prima è meglio è.

L’incontro tra Trump e Putin in Alaska ha dato un segnale chiaro: le sanzioni Usa sono come non esistenti e le 18 decise dall’Europa contro la Russia sembrano sempre più una coazione a ripetere, lasciando il passo al tappeto rosso di Anchorage.

 A questo punto si potrebbe – forse – delineare la soluzione ad una guerra che dura ormai da 3 anni e mezzo e ha avvelenato le relazioni nel mondo, stravolgendone le priorità. Solo l’anno prima dell’invasione russa dell’Ucraina il focus era sull’obiettivo del contrasto corale del mondo al cambiamento climatico. Mentre oggi l’accento è sul riarmo e sull’aumento delle spese militari, che colpiranno duramente in Europa. Il cambiamento climatico è diventato argomento subordinato.

 Il tortuoso processo di pace in Ucraina

 Chi pensava che l’incontro in Alaska avrebbe portato immediatamente alla pace dimentica che Zelensky e l’Unione europea hanno chiesto a Trump di rispettare il loro ruolo e Trump ha accolto la richiesta a modo suo, decidendo chi fare partecipare all’incontro di Washington e le modalità di sviluppo.

 Con l’incontro di Washington è iniziato un percorso ancora non del tutto chiaro, né prevedibile, come dimostra la discussione su dove dovrebbe svolgersi l’incontro tra Russia e Ucraina alla presenza (forse) di Trump.

 Si avverte per la prima volta che la futura scurezza dell’Ucraina e il suo futuro territoriale sono entrati in discussione, in altre parole si è arrivati a discutere dei punti più difficili. L’Europa dovrebbe spingere Trump alla ricerca di una soluzione alla guerra in Ucraina, scegliendo di diventare un motore attivo del processo di pace, invece si divide e non è in grado di svolgere un ruolo proprio per arrivare alla pace. L’alternativa alla ricerca della pace sarebbe la continuazione della guerra, con conseguenze tragiche sulle persone, sulle risorse, sul futuro dell’Ucraina. Sarebbe grave ripetere l’errore di avere fatto fallire il primo tentativo per un accordo di pace poco dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022.

 L’Europa dovrebbe essere un protagonista delle iniziative di pace, spingendo verso una conclusione positiva, anche per iniziare a invertire la tendenza parossistica al riarmo e all’avvelenamento delle relazioni internazionali. Le iniziative di pace finora sono state lasciate nelle (ondivaghe) mani di Trump.

 Il rischio è che l’Europa si trovi a sostenere il peso della ricostruzione e della sicurezza dell’Ucraina dopo avere già subito un duro colpo sui dazi e sul riarmo. L’immagine che l’Europa offre di sé è di divisioni paralizzanti e di un ruolo che non si caratterizza per un’iniziativa di pace ma piuttosto per una coazione a ripetere quanto già detto e fatto. Esiste il pericolo che la conclusione di questo tentativo di soluzione del conflitto finisca con il caricarne pesantemente costi e incombenze sull’Europa, a partire dai volenterosi.

 Per dare un contributo occorre un disegno di ricostruzione delle relazioni internazionali, ridisegnando e rilanciando il ruolo delle sedi internazionali, delle conferenze di pace, delle reciproche garanzie, mentre la logica di Trump è distruttiva dei rapporti esistenti per lasciare il passo a relazioni tra potenze che sarebbe un’evoluzione centralizzata delle relazioni internazionali.

 È chiaro che Trump si candida a svolgere il ruolo del paciere sull’Ucraina, prendendo le distanze dal predecessore Biden, mentre l’Europa potrebbe trovarsi nella spiacevole posizione di sostenere costi e rischi del futuro dell’Ucraina.

 Memento Afghanistan: dopo 20 anni di presenza militare, con enormi costi umani e materiali, nel 2021 gli Usa hanno deciso di andarsene (Biden ha attuato una precedente decisione di Trump) e le tragiche immagini delle conseguenze sono troppo fresche per averle già dimenticate. Quando gli Usa decidono che è finita se ne vanno, punto.

 Anche l’intesa sui dazi tra Trump e Von der Leyen (mancano ancora firme e testo) va vista nel quadro dei rapporti nevrotici tra Usa ed Europa. Si afferma che i vecchi rapporti transatlantici non ci sono più e poi ci si comporta all’opposto.

 Avere deciso prima dei dazi l’aumento delle spese militari della Nato è stato un grave errore dell’Europa che ha lasciato Trump libero di ricattarla sui dazi e sulla (non) tassazione delle multinazionali americane, come ha deciso purtroppo l’ultimo G7, Giorgia Meloni d’accordo. Anche la dialettica sull’Ucraina deve affermarsi sul terreno della ricerca della pace.

 Che ruolo gioca Ursula von der Leyen?

 Nell’accordo sui dazi sono entrati altre materie: a) impegni su acquisti di fossili, gas in particolare che costa molto di più e queste fonti verranno usate in contraddizione con gli impegni per la loro riduzione già adottati dall’Europa; b) investimenti dell’Europa negli Usa, una sorta di rubamazzo industriale visto che gli Usa hanno decentrato in Cina e in altri paesi asiatici mentre parte del conto dovrà pagarlo l’Europa; c) le maggiori spese Nato dei paesi europei indirizzate in gran parte all’acquisto di armi Usa, rinunciando di conseguenza alla possibilità di costruire una difesa europea, che sarebbe la vera novità politica e istituzionale, anche sull’Ucraina Trump ha detto che l’Europa dovrà farsi carico del pagamento delle armi USA fornite; d) rinuncia ad adottare normative per regolare sul piano fiscale e nell’interesse europeo i campi di intervento delle big tech informatiche.

 Non si capisce perché mentre Trump ha motivato fino alla noia le misure Usa come tutela degli interessi americani l’Europa non ha avuto una posizione altrettanto chiara sui propri interessi. Una condizione sconcertante di subalternità politica, economica e culturale. Per questo la posizione dell’Unione sulla guerra in Ucraina rafforza l’impressione di una contraddittoria confusione.

 L’imperativo di Ursula Von der Leyen era arrivare ad un accordo sui dazi ad ogni costo e Trump ha avuto buon gioco a rialzare dal 10 al 15 % i dazi, mantenendo – almeno per ora – quelli più alti su auto, acciaio, rame.

 La minaccia dei dazi europei sui prodotti Usa venduti in Europa si sono rivelati una tigre di carta. Si era detto che l’Europa mai avrebbe rinunciato alle sue prerogative normative, invece il 15% di tassazione minima sulle multinazionali è sospesa, le norme sulle big tech dell’informatica sono accantonate. È stata ignorata la svalutazione del 13 % del dollaro sull’euro, con effetti concorrenziali che si sommano ai dazi.

 Senza accordo Trump avrebbe dovuto rispondere ai suoi sodali delle multinazionali informatiche che in Europa avrebbero dovuto pagare tasse, seppure basse, e rispettare regole di varia natura. È  vero che anche l’Europa deve eliminare paradisi fiscali interni che sono una via di fuga per una concorrenza sleale dentro l’UE, ma questo nulla toglie al dovere di una posizione coerente sui rapporti internazionali.

 I pessimi risultati del governo Meloni

 Con questo pessimo risultato Von der Leyen è sulla graticola insieme ai suoi supporter, in particolare quanti si sono vantati, come Giorgia Meloni, di lavorare per moderare Trump ma in realtà hanno spinto per trovare un’intesa ad ogni costo. Giorgia Meloni è stata patetica quando ha cercato di dimostrare con un arzigogolo linguistico che il 15 % dei dazi è come il 10 % – facendolo diventare sopportabile (a parole) con un’aritmetica tutta personale.

 Meloni ha ignorato poi che acciaio e altri prodotti hanno dazi più alti e nessuno per ora è in grado di dire se scenderanno oppure no.

 Il testo dell’accordo sui dazi non c’è ancora, interi settori sono da definire come la farmaceutica. L’alternativa era veramente solo il non accordo?

 L’affermazione di Trump che l’Europa in passato avrebbe depredato gli Usa semmai confermerebbe che l’Europa non avrebbe avuto interesse a chiudere ad ogni costo, senza adeguati risultati.

 L’Europa ha fatto una trattativa senza un orientamento chiaro, senza tenere fermi i principi, con evidenti divisioni interne e alla fine il risultato è – purtroppo – un disastro, la cui vittima illustre sarà proprio l’Europa, il suo ruolo, la sua identità ed autonomia, che era esattamente l’obiettivo di Trump.

 Anche sull’Ucraina l’Europa lascia a Trump l’iniziativa di pace, qualunque cosa voglia dire, e si colloca in una posizione guardinga, sospettosa, anziché presentare una sua proposta per la pace insiste su posizioni che non hanno dato risultati.

 Anche sui dazi l’alternativa non era il non accordo ma semplicemente respingere un accordo obbligato deciso da Trump ai danni dell’Europa. Questo accordo è un guinzaglio corto che limita la possibilità dell’Europa di fare accordi con altre aree del mondo.  Tributari di Trump e insieme senza l’autonomia per stabilire nuove relazioni convenienti nel mondo.

 L’accordo sui dazi dovrebbe essere ridiscusso. Così dovrebbe essere rivisto l’accordo in sede Nato. Per l’Europa e per l’Italia questo accordo, se resterà tale, porterà al taglio del welfare e alla riduzione degli investimenti nei settori produttivi, in particolare quelli più innovativi. Non a caso il governo, con un autentico voltafaccia, ha deciso di chiedere il prestito europeo per le armi, non va dimenticato che un prestito per quanto possa essere conveniente e diluito nel tempo va restituito.

 Sull’Ucraina si rischia un clamoroso bis di quanto è accaduto sui dazi.

 L’Italia sta già pagando un prezzo alto all’incapacità di governare della destra. Un esempio: per mantenere il bilancio pubblico nelle regole viene usato il fiscal drag di pensionati e lavoratori dipendenti (90% dell’Irpef) e per di più il governo ha regalato agli evasori 18 condoni fiscali in 3 anni, mentre le politiche di sviluppo sono a zero, come confermano i 6 miliardi non spesi di Transizione 5.0.

 Il governo Meloni è oggi un costo per l’Italia (più armi, più dazi) e un vincolo negativo nei rapporti dell’Europa con Trump, vedi da ultimo Ucraina, per l’assenza di una iniziativa autonoma.

 Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni hanno l’esigenza vitale della legittimazione di Trump e questo spiega la loro subalternità. Ma gli errori di Giorgia Meloni hanno contribuito a spingere Von der Leyen su una strada sbagliata, perdente per l’Italia. Più il governo Meloni durerà più costerà all’Italia. L’alternativa va costruita ora, senza perdere tempo, tanto più in vista di problemi come l’Ucraina che peseranno sul futuro delle relazioni internazionali, oppure la drammatica situazione di Gaza e ora anche della Cisgiordania.

 L’alternativa alla destra procede con ritardo rispetto all’urgenza di cambiare registro e governo prima possibile.  Prima è meglio è.

 Alfiero Grandi

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