So che la 
mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, 
senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a 
nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non 
manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici, né 
versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da 
destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati 
di moda.
Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei 
calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del 
premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette no - 
stop, le scritte in sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un 
euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo 
momento, da
italiano, io possa fare.
Non do un euro perché è la 
beneficienza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell'italiano generoso, 
del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa 
farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io 
sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La 
generosità, purtroppo, la beneficienza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, 
fermi sull'orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire, 
stringendoci l'uno con l'altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione 
autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro.
Eppure penso che le 
tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi coperti. Le responsabilità 
accertate. I danni riparati in poco tempo. Non do una lira, perché pago già 
le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la 
ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre 
spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi 
agli italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti evasori 
che attraversano l'economia del nostro Paese.
E nelle mie tasse c'è 
previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula 
sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le 
catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad ogni 
livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia 
passerella.
C'è andato pure il presidente della Regione Siciliana, 
Lombardo, a visitare i posti terremotati. In un viaggio pagato - come tutti 
gli altri - da noi contribuenti. Ma a fare cosa? Ce n'era proprio 
bisogno?
Avrei potuto anche uscirlo, un euro, forse due. Poi Berlusconi ha 
parlato di "new town" e io ho pensato a Milano 2 , al lago dei cigni, e al 
neologismo: "new town". Dove l'ha preso? Dove l'ha letto? Da quanto tempo 
l'aveva in mente?
Il tempo del dolore non può essere scandito dal 
silenzio, ma tutto deve essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli 
spettatori. Ecco come nasce "new town". E' un brand. Come la gomma del 
ponte.
Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho visto addirittura 
Schifani, nei posti del terremoto. Il Presidente del Senato dice che "in 
questo momento serve l'unità di tutta la politica". Evviva. Ma io non sto con 
voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle 
spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su 
quello che è successo, perché governate con diverse forme - da generazioni - 
gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io 
sono
per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di 
una giustizia che non c'è.
Io non lo do, l'euro. Perché mi sono 
ricordato che mia madre, che ha servito lo Stato 40 anni, prende di pensione 
in un anno quasi quanto Schifani guadagna in un mese. E allora perché io devo 
uscire questo euro? Per compensare cosa? A proposito. Quando ci fu il Belice 
i miei lo sentirono eccome quel terremoto. E diedero un po' dei loro risparmi 
alle popolazioni terremotate.
Poi ci fu l'Irpinia. E anche lì i miei 
fecero il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale. Per la 
ricostruzione. E sappiamo tutti come è andata. Dopo l'Irpinia ci fu l'Umbria, 
e San Giuliano, e di fronte lo strazio della scuola caduta sui bambini non 
puoi restare indifferente.
Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi 
si continua a fare sempre come prima?
Hanno scoperto, dei bravi 
giornalisti (ecco come spendere bene un euro: comprando un giornale scritto 
da bravi giornalisti) che una delle scuole crollate a L'Aquila in realtà era 
un albergo, che un tratto di penna di un funzionario compiacente aveva 
trasformato in edificio scolastico, nonostante non ci fossero assolutamente i 
minimi requisiti di sicurezza per farlo.
Ecco, nella nostra città, 
Marsala, c'è una scuola, la più popolosa, l'Istituto Tecnico Commerciale, 
che da 30 anni sta in un edificio che è un albergo trasformato in scuola. 
Nessun criterio di sicurezza rispettato, un edificio di cartapesta, 600 
alunni. La Provincia ha speso quasi 7 milioni di euro d'affitto fino ad 
ora, per quella scuola, dove - per dirne una - nella palestra lo scorso 
Ottobre è caduto con lo scirocco (lo scirocco!! Non il terremoto! 
Lo scirocco! C'è una scala Mercalli per lo scirocco? O ce la 
dobbiamo inventare?) il controsoffitto in amianto.
Ecco, in quei 
milioni di euro c'è, annegato, con gli altri, anche l'euro della mia vergogna 
per una classe politica che non sa decidere nulla, se non come arricchirsi 
senza ritegno e fare arricchire per tornaconto.
Stavo per digitarlo, l'sms 
della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno sottolineato gli eccezionali 
ascolti del giorno prima durante la diretta sul terremoto. E siccome quel 
servizio pubblico lo pago io, con il canone, ho capito che già era qualcosa 
se non chiedevo il rimborso del canone per quella bestialità che avevano 
detto.
Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se 
qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i 
furbi.
E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il 
gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l'alibi per non parlare 
d'altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, 
anche quella che sta all'opposizione) perché c'è il terremoto. Come l'11 
Settembre, il terremoto e l'Abruzzo saranno il paravento per giustificare 
tutto.
Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni 
giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per 
aiutare gli sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o 
quelli dei super manager, accorpando le prossime elezioni europee al 
referendum. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova cosa che 
penso mi monta sempre più rabbia.
Io non do una lira. E do il più 
grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in 
questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una casa sicura. 
E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto, quando sento dire "in 
Giappone non sarebbe successo", come se i giapponesi hanno scoperto una cosa 
nuova, come se il know - how del Sol Levante fosse solo un' esclusiva loro. 
Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa come si fanno le costruzioni. 
Glielo fanno dimenticare all'atto
pratico.
E io piango di rabbia 
perché a morire sono sempre i poveracci, e nel frastuono della televisione 
non c'è neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a 
raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo 
paese, o li hanno fatti morire di noia.
Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, 
povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso.
Come 
la natura quando muove la terra, 
d'altronde.

 
    
