Vecchi e ‘giovani’

di Francesco Baicchi - 16/03/2009
Attribuire alla pretesa inadeguatezza della nostra struttura istituzionale l’attuale situazione del Paese costituisce il miglior alibi per non dover giustificare l’incapacità dei gruppi dirigenti che ne portano invece la piena responsabilità

Le recenti dichiarazioni del candidato alla carica di Sindaco di Firenze Renzi, amplificate senza contraddittorio dalla trasmissione TV di Santoro, non possono non destare sconcerto e preoccupazione.

Renzi, ironicamente (speriamo) paragonato da alcuni a Obama, ha prima dichiarato al Corriere della Sera e poi confermato a ‘AnnoZero’ la sua convinzione della necessità di riscrivere la nostra Costituzione, senza porre limiti a questo ‘aggiornamento’, che quindi dovrebbe comprendere anche la Prima Parte.

La proposta di coinvolgere nell’operazione quanti, nella Resistenza e/o nella Costituente, contribuirono col sacrificio personale alla nascita del testo originario ha in questo quadro assunto un carattere quasi irridente, specie se pensiamo alle posizioni assolutamente contrarie espresse esplicitamente sull’argomento dall’ANPI e dai Costituenti ancora politicamente attivi.

Purtroppo la posizione di Renzi non appare isolata, come il buon senso poteva far sperare, nemmeno in quel PD il cui segretario ha ritenuto di assumere la carica giurando proprio sul testo della ‘vecchia’ Costituzione.

Attribuire alla pretesa inadeguatezza della nostra struttura istituzionale l’attuale situazione del Paese costituisce il miglior alibi per non dover giustificare l’incapacità dei gruppi dirigenti che ne portano invece la piena responsabilità.

Da questo punto di vista Renzi, che si spaccia per ‘nuovo’, lo è solo anagraficamente.

La sua disponibilità ad accettare l’ipotesi della scorciatoia berlusconiana verso l’autoritarismo si iscrive invece in una pratica politica ‘vecchia’, che ha contraddistinto una classe dirigente disponibile a trattare su tutto, ideali compresi, specialmente dopo la caduta del ‘socialismo reale’ e la conversione alla fede nella capacità di autoregolazione del ‘libero mercato’.

Non è chiaro cosa Renzi ritenga debba essere cambiato della nostra Carta, andando al di là degli aggiornamenti puntuali e sempre possibili previsti dall’articolo 138.

Ha lamentato un testo ‘troppo lungo’, paragonandolo a quello statunitense: ma là, a differenza che da noi, c’è la common law e l’interpretazione del Magistrato che fa giurisprudenza.

Ha sottolineato che molti aspetti ‘programmatici’ non sono stati realizzati concretamente: ma questo li rende meno condivisibili?

Certo l’articolo 21 è stato scritto senza prevedere l’avvento della televisione come strumento prevalente nell’informazione, ma questo impedisce l’approvazione di una legge seria contro il monopolio delle TV, nuova forma di quella censura che si voleva impedire?

E all’articolo 9 si parla di ‘paesaggio’ invece che di ambiente. Nemmeno questo però ostacolerebbe un Parlamento decente che volesse impedire gli scempi che l’attuale governo sta invece per autorizzare e in molti comuni toscani sono già stati realizzati.

Quanto sta scritto nella Costituzione non può costituire freno al ‘buongoverno’, mentre rappresenta senza dubbio un modello di organizzazione democratica di una società civile e avanzata.

Allora rimane l’ipotesi che anche Renzi, come Berlusconi, senta come un inutile vincolo il sistema dei controlli e l’equilibrio dei poteri pensati per garantire la trasparenza e il primato della Legge sugli interessi di parte. Ma anche l’idea che il ‘conDUCEnte’ (magari scelto plebiscitariamente dal ‘popolo’ dei telespettatori) non debba essere disturbato non è certo nuova: l’Italia ha impiegato un ventennio per superarla all’inizio del secolo scorso.

Renzi, candidato di una forza politica erede dei principali partiti che sedevano nella Costituente, non dovrebbe averlo dimenticato.

Se il programma del PD per il comune di Firenze non smentisse queste uscite infelici e non confermasse una assoluta fedeltà ai Principi e al dettato costituzionale, dichiarando che su questo terreno non è lecita né possibile alcuna mediazione, i pur lodevoli sforzi di Franceschini a livello nazionale per evitare il disastro elettorale, recuperando l’immagine di una forza di opposizione costruttiva ma realmente alternativa, non potrebbero non risentirne.

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