Così si rinuncia a un controllo incisivo

di Francesco Pallante - ilmanifesto.it - 05/07/2025
La sentenza in controluce Un esito difficilmente riconducibile ai principi dello Stato liberale di diritto, ma che una discutibile sentenza della Corte costituzionale (105/2001) non ha ritenuto di sanzionare, pur riconoscendo la necessità di applicare, anche alla reclusione nei Cpr, le rigorose garanzie previste dall’art. 13 della Costituzione

La reclusione degli stranieri nei Centri di permanenza per il rimpatrio continua a sollevare gravi questioni di compatibilità con la Costituzione, lo conferma la sentenza della Corte costituzionale pubblicata ieri. Alla base di tutto vi è il riconoscimento di un’incapacità dello Stato.

Velocissimo nel bollare come irregolari alcuni stranieri ma che non sa e non può riaccompagnarli alla frontiera. La reclusione nei Cpr viene di conseguenza e dovrebbe durare solo il tempo necessario a effettuare l’espulsione. Invece può protrarsi sino a 18 mesi e, in più nella metà dei casi, si conclude con il rilascio in libertà dello straniero.

Le ragioni per dubitare della compatibilità con la Costituzione della normativa sono molte: su tutte, il fatto che, non essendo il soggiorno irregolare un reato ma una condizione, le persone si ritrovano private della propria libertà personale – il “bene” costituzionale più prezioso, dopo la vita – non per ciò che hanno fatto, ma per quello che sono. Un esito difficilmente riconducibile ai principi dello Stato liberale di diritto, ma che una discutibile sentenza della Corte costituzionale (105/2001) non ha ritenuto di sanzionare, pur riconoscendo la necessità di applicare, anche alla reclusione nei Cpr, le rigorose garanzie previste dall’art. 13 della Costituzione: vale a dire, che sia la legge a disciplinare in via generale e astratta i casi e i modi in cui le persone saranno private della libertà (riserva di legge) e che sia un giudice a disporre la privazione nei casi particolari e concreti (riserva di giurisdizione).

Se già la riserva di giurisdizione è stata soddisfatta in modo discutibile, affidando la competenza a un magistrato onorario, e non di carriera, come il giudice di pace, ancor più problematico risulta il rispetto della riserva di legge, dal momento che il parlamento ha adempiuto solo in parte ai propri doveri, disciplinando con legge i casi, ma non i modi della reclusione degli stranieri. La restante normativa è stata rimessa ai regolamenti governativi e ai provvedimenti amministrativi dei prefetti (differenziati sul territorio), con il risultato che le concrete modalità di detenzione nei Cpr (standard abitativi, servizi da erogare, rapporti con l’esterno…) sono stabilite con decisioni assunte non dal parlamento ma dalle autorità di governo. Cioè dallo stesso organo che esegue la limitazione della libertà personale degli stranieri. Là dove la Costituzione prevede che la legge operi come strumento di controllo dell’azione governativa è invece il governo a darsi da sé le regole.

Chiamata a pronunciarsi su tale inadempienza parlamentare, con la sentenza di ieri la Corte costituzionale ha, sì, riconosciuto la violazione dell’art. 13, ma ha altresì rinunciato a intervenire per porvi rimedio, affermando che spetta al legislatore colmare la lacuna. Dimenticando che, in passato, non di rado il legislatore ha evitato di dar seguito a moniti ben più incisivi (eutanasia) e, soprattutto, che la Corte stessa ha a disposizione lo strumento delle decisioni “additive”: quelle con cui, in vista dell’intervento del legislatore volto a colmare la lacuna, sono indicati i principi costituzionali da seguire o, ancora più incisivamente, specifiche norme già esistenti nell’ordinamento da assumere temporaneamente a modello. Con logica inusualmente contorta, quest’ultima sentenza 96/2025 riconosce la possibilità di prendere a modello l’ordinamento penitenziario, ma subito la esclude, affermando che la detenzione nei Cpr, non essendo conseguenza della commissione di reati, deve «restare estranea a ogni connotazione di carattere sanzionatorio»: con il risultato che la posizione meno grave della detenzione amministrativa si ritrova disciplinata in modo svantaggiato rispetto alla posizione più grave della detenzione penale.

Un esito gravemente irragionevole, che rivela la persistente inadeguatezza della tutela costituzionale in materia di tutela degli stranieri e, più in generale, la difficoltà degli organi di controllo di operare con efficacia a tutela della Costituzione. In un momento in cui i suoi principi fondamentali si ritrovano, come mai prima d’ora, sotto l’attacco del potere politico.

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