Israele e la Corte dell’Aja, il diritto contro la violenza

di Domenico Gallo - domenicogallo.it - 02/02/2024
Nell’eterna lotta fra violenza e diritto, l’ordinanza pronunciata il 26.01 dalla Corte internazionale di giustizia segna un punto di svolta

Nell’eterna lotta fra violenza e diritto, l’ordinanza pronunciata il 26.01 dalla Corte internazionale di giustizia segna un punto di svolta. Il premier israeliano Netanyahu ha detto che la decisione della Corte di voler discutere e giudicare l’accusa di genocidio contro Israele è “una vergogna di cui ci si ricorderà per generazioni”. Netanyahu ha ragione sul fatto che ci troviamo in presenza di “una vergogna di cui ci si ricorderà per generazioni”. Ma la vergogna, anzi lo scandalo non sta nelle parole del diritto pronunziate dalla Corte, bensì in quelle condotte dello Stato di Israele che hanno fatto intravedere al massimo organo di giustizia delle Nazioni Unite il rischio di un genocidio nei confronti della popolazione di Gaza.

Quando il 9 marzo 1950 Israele ha ratificato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, mai avrebbe potuto immaginare che, in virtù dell’articolo 9, sarebbe stato chiamato dinanzi alla Corte di giustizia internazionale per difendersi proprio dall’accusa di genocidio. Aver subito il genocidio in passato non attribuisce una patente di immunità per il futuro con riguardo a quegli atti di barbarie che l’umanità ha solennemente ripudiato bollandoli come crimine. Eppure oggi lo Stato d’Israele agisce come se non dovesse rispondere delle sue condotte e si indigna se viene trascinato in giudizio. A ciò indubbiamente ha contribuito l’impunità che la Comunità internazionale ha assicurato alle politiche di oppressione dei palestinesi e il fatto che Israele ha potuto violare molte risoluzioni Onu e Convenzioni internazionali sui diritti umani senza subire conseguenza alcuna.

Confidando nella sua soverchiante forza militare e nella protezione degli Stati Uniti, Israele ha rotto tutti i lacci e lacciuoli con cui il diritto cerca di imbrigliare e governare la forza. Nel conflitto fra la violenza e il diritto, in Medioriente è sempre la violenza che prevale. Ma questa volta l’intervento della Corte di giustizia segna un punto a favore del diritto perché, per la prima volta, Israele viene chiamato a rispondere dell’uso della forza in violazione dei diritti umani. Per questo la pronuncia della Corte ha un valore storico. Sia perché ha riconosciuto ai palestinesi la dignità di “gruppo nazionale”, sia perché ha ritenuto plausibile l’ipotesi del genocidio, tanto da emettere provvedimenti volti a prevenire e a scongiurarne il rischio.

Potrebbe sembrare deludente il fatto che la Corte non abbia emesso un ordine secco di cessate il fuoco. Però, se si leggono bene le misure imposte a Israele, si comprende che queste non possono essere adempiute se non cessando il fuoco. La Corte ha imposto a Israele di “adottare tutte le misure in suo potere per impedire la commissione di tutti gli atti che rientrano nel campo di applicazione dell’articolo II di tale Convenzione, in particolare: a) l’uccisione di membri del gruppo; b) causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita tali da provocarne la distruzione fisica totale o parziale…

In pratica la Corte ha vietato a Israele di continuare a uccidere i palestinesi, a causare loro gravi danni fisici e mentali, o a privarli dei beni essenziali per la vita: senza uccidere nessuno è impossibile continuare una guerra. La Corte ha statuito che “lo Stato di Israele deve adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse dei palestinesi nella Striscia di Gaza” e ha ordinato a Israele di garantire la conservazione delle prove degli atti che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione. Israele inoltre dovrà prevenire e punire l’incitamento diretto a commettere atti di genocidio. Indirettamente la Corte ha delegittimato tutte le dichiarazioni dei vertici politici israeliani che promettevano fuoco e fiamme contro la popolazione di Gaza.

Per evitare che le sue parole di giustizia cadano nel vuoto, la Corte ha ordinato a Israele di riferire ogni 30 giorni sull’implementazione di tali misure. Ed è proprio sull’implementazione di queste misure che si apre una partita politica di rilievo. L’eventuale, se non quasi certo, inadempimento da parte di Israele mette in discussione le politiche di sostegno politico, militare ed economico dall’Italia e da gran parte dei Paesi occidentali. L’ordinanza della Corte di giustizia vincola direttamente Israele, ma indirettamente anche tutti gli altri Stati aderenti alla Convenzione che hanno l’obbligo di prevenire atti di genocidio da chiunque commessi. In questo caso il pericolo di atti di genocidio è stato chiaramente indicato e le misure per prevenire quegli atti sono state specificamente individuate: nessuno può ignorarle a pena di complicità.

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