Era la fine di giugno 2019, un’estate turbolenta per la politica italiana, con gli ultimi sgoccioli del governo Conte I, quello a trazione Lega-5 Stelle, quello dei “porti chiusi”, della guerra a ong e migranti e della “povertà sconfitta per sempre”. In Emilia-Romagna, a Bibbiano, comune in provincia di Reggio Emilia, dopo un anno di inchiesta, la magistratura indagava oltre venti persone, emettendo misure cautelari nei confronti di 16 di esse. L’accusa, che coinvolgeva amministratori locali, onlus, psicologi e assistenti sociali, era nel complesso quella di aver messo in piedi un sistema finalizzato ad alterare il funzionamento dei servizi sociali di Bibbiano, in merito alla tutela dei minori, attraverso relazioni false e metodi psicologici illeciti, per sottrarre i bambini alle loro famiglie e darli in affido ad amici e conoscenti. Una vicenda giudiziaria locale che, in quella estate, divenne un caso nazionale, politico e, di conseguenza, mediatico. Esattamente in quest’ordine, non casuale. Perché fu indubbiamente la politica la prima colpevole di una invasione di campo che diede inizio a un vero e proprio massacro nei confronti degli indagati, rischiando di influenzare in modo irreparabile il lavoro della magistratura.
Il processo, sei anni dopo, ha fatto crollare il castello accusatorio, con l’assoluzione di quasi tutti gli imputati e con l’emergere di una verità lontanissima dai fantasmi agitati, con forche e ignoranza, da chi Bibbiano l’ha violentata a fini politici. A partire dal centrodestra, dall’allora ministro dell’Interno e vicepremier, Matteo Salvini, e dall’allora deputata di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, insieme ai loro sodali di partito. Ben spalleggiati anche da quella parte dei 5 Stelle che si riconosceva nella figura dell’altro ex vicepremier, nonché ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio. Si deve soprattutto a loro l’esplosione mediatica del caso Bibbiano, perfetto in quel momento per attaccare gli avversari politici, l’opposizione PD, area di riferimento del sindaco e della giunta del comune emiliano. Un’occasione ghiotta per vomitare accuse sulla dubbia moralità del Partito Democratico e dell’intero centrosinistra, trascinato dentro una sorta di processo nazionale, con la demolizione di qualsiasi principio legato alla responsabilità personale, ma soprattutto il sacrosanto principio della presunzione di innocenza delle persone indagate e in attesa di poter essere giudicate.
Bibbiano divenne un’ossessione, spiattellata in ogni circostanza, con metodi spiccioli, con sceneggiate indecenti, affermazioni colme di retorica e promesse insensate. “Parlateci di Bibbiano”, recitavano i pappagalli della destra, una richiesta finita perfino sulle magliette di parlamentari, nei discorsi pubblici, nei titoli e negli editoriali dei tirapiedi al soldo di questo o quel partito, pronti sempre a sacrificare deontologia e regole dinnanzi all’altare del servilismo o dell’appartenenza politica. “Il partito di Bibbiano”, era l’eco che proveniva dalle stanze dei 5 Stelle, e che poi si ritrovava in striscioni, manifestazioni, discussioni televisive. Ma al di là della battaglia scorretta nei confronti degli avversari, l’elemento più grave è stato l’uso scientifico, anche se grossolano, della menzogna. La destra che oggi, eccetto i 5 Stelle di Di Maio, si trova a governare l’Italia, è passata come un trattore sulla vita e la dignità delle persone, ha giocato sporco con la verità.
Come quando Meloni e Salvini si sono recati nel comune reggiano, ostentando il loro solito repertorio di autoscatti, cartelli, comizi, affermazioni ad effetto, foto con presunte mamme di Bibbiano, alle quali avevano tolto i figli. Come ad esempio tale Maricetta Tirrito, che finì in foto sia con l’attuale premier sia con il leader della Lega, il quale portò persino sul palco la sua testimonianza. Peccato che, non solo la signora Tirrito non era di Bibbiano, né era madre di una bambina vittima del presunto “sistema”, ma, come ci ha raccontato la cronaca, è stata recentemente condannata a 8 anni di carcere per auto riciclaggio, circonvenzione d’incapace, falso e abuso edilizio. Insomma, della serie, pur di veicolare una verità falsa, allo scopo di ripeterla finché non venga creduta vera, va bene tutto: non si butta via niente su un palco della Lega o dentro una campagna politica di Fratelli d’Italia. Soprattutto se, come in quel periodo, eravamo a pochi mesi dalle elezioni in Emilia Romagna, dove la leghista Borgonzoni (oggi sottosegretaria in carica) mirava a strappare al dem Bonaccini la “regione rossa”.
Bibbiano era lo spot perfetto, il luogo da occupare, il marchio di vergogna da rinfacciare in ogni dibattito per distogliere l’attenzione dalla pochezza delle idee che quella destra aveva e ha sulla gestione di una regione o del Paese. E andava ribadito e sottolineato costantemente, in tv, sui giornali, nei post sui social. Quel tema andava iniettato a dosi massicce, fatto ingoiare in modo sistematico all’opinione pubblica, contando su una parte di una categoria, quella giornalistica, sempre più disposta a farsi dettare l’agenda dei temi dalla politica. “Siamo stati i primi ad arrivare. Saremo gli ultimi ad andarcene!”, disse Giorgia Meloni in quel di Bibbiano, dove si era recata per puntare il dito contro chi amministrava e per ergersi a paladina dei bambini e dei loro diritti.
Peccato che a Bibbiano non si sia più vista, né nei mesi successivi né adesso, quando sarebbe necessario andare col capo chino e chiedere scusa, ammettere di avere usato una spregevole propaganda e di averla scaricata sulla pelle e sulla dignità di chi, a causa sua e dei suoi colleghi di area, è finito ingiustamente dentro una folle gogna mediatica. E peccato anche che quell’interesse spasmodico per la tutela dei minori non corrisponda poi, nei fatti, alle politiche di un governo che non si è mai preoccupato della salute dei bambini, tacendo per mesi sulle violenze e i massacri di bambini commessi da Israele a Gaza, mostrando il pugno di ferro contro i migranti, minori inclusi, e non versando una lacrima di coscienza o di senso di responsabilità per i bambini morti nel naufragio di Steccato di Cutro. La menzogna, d’altra parte, è un filo oscuro che questa destra bislacca ha attraversato nel suo percorso che, da un’opposizione insignificante, l’ha portata al potere.
È una strategia riuscita, o meglio ne rappresenta un ingrediente fondamentale, da mescolare al silenzio delle non risposte, alla vigliaccheria dietro cui la premier e i suoi ministri si nascondono ogni qualvolta che dovrebbero riferire, spiegare, ammettere, scusarsi. Una strategia che prosegue ancor più oggi che si occupano le comode stanze del governo e che trova il suo punto massimo nella vicenda del mancato arresto del trafficante di uomini libico, Najem Osama Almasri. Un criminale efferato e potente, per il quale la Corte Penale Internazionale de l’Aja ha spiccato un mandato di arresto e che il nostro governo ha invece scarcerato e rimpatriato, con un volo di Stato, in Libia. Una vicenda che imbarazza l’esecutivo, ma che evidentemente non merita una risposta, nonostante le tante incongruenze che mostrerebbero come il ministro competente non abbia detto la verità. Nel caso specifico, si parla del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, accusato di aver mentito al Parlamento.
Egli, infatti, ha sostenuto che il suo ministero fosse stato informato dell’arresto del generale libico solo lunedì 20 gennaio, ossia il giorno dopo la cattura di Almasri, e per vie informali. Tuttavia, documenti ufficiali dimostrano che il ministero ne era già al corrente dal pomeriggio del 19 gennaio, cioè il giorno stesso dell’arresto avvenuto a Torino. Ci sarebbe una mail, inviata dalla capo di gabinetto Giusi Bartolozzi, nella quale la stessa dice al capo del Dipartimento affari di Giustizia, Luigi Birrittieri, di essere a conoscenza della vicenda, raccomandando massima riservatezza. Nella conversazione mail, inoltre, Bartolozzi suggerirebbe di proseguire la comunicazione tramite l’app Signal, elemento che fa pensare a un tentativo consapevole di evitare di lasciare tracce. Una vicenda ambigua e preoccupante, perché dimostra o che Nordio non ha contezza di quello che i suoi uffici combinano oppure ne ha e allora mente su qualcosa di gravissimo.
In entrambi i casi, sarebbe opportuno rispondere, spiegare e magari dimettersi, senza accampare fantomatici complotti a suo scapito. Perché di menzogne a uso politico, questa destra, ha già fatto abuso. Ed è ora che, su questioni così importanti, la politica torni alla sua dimensione normale, quella del confronto sui temi, del dibattito parlamentare finalizzato all’interesse collettivo. Lo scontro e la rivalità politica sono sani solo se non si rimane a galleggiare nella melma della propaganda e delle menzogna. Perché alla fine dentro quella melma ci si affogherà tutti, a partire da quelli che dalla violenza della propaganda e delle bugie sono stati sacrificati. Senza alcuna pietà.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org