Continua il tormentone sulle prossime regionali. Dopo un incontro romano, il presidente Vincenzo De Luca chiosa che anche per Giuseppe Conte dei 5 Stelle prima vengono i programmi, a partire dal lavoro fatto. È la fine del tunnel? Ne dubitiamo. Mentre siamo certi che non si entra così nei libri di storia in un mondo che prende – tra guerre e dazi – strade che mai vorremmo percorrere. Su queste pagine due riflessioni.
Sergio Locoratolo ci segnala anzitutto quella che dovrebbe essere un’ovvietà: il passaggio elettorale non è una palingenesi, piuttosto un mix inevitabile tra continuità e innovazione. Il problema è il punto di equilibrio, e come ci si arriva. Qui troviamo le ritualità date dalle condizioni della politica, oggi in salute precaria, tanto da rendere possibile uno scenario in cui i governatori del passato diventano governatori ombra. È una condizione che Andrea Morniroli legge in termini di separazione tra la politica e il civismo attivo, di cui auspica il superamento. Per una parte, hanno ragione entrambi.
Non è dubbio che il confuso confronto in atto segnala la condizione strutturale delle forze politiche. Zaia, Fedriga, De Luca, Emiliano sono l’esempio di un modo di essere dei partiti che potremmo definire l’istituzionalizzazione del cacicchismo. Sono personaggi che hanno acquisito nei partiti di appartenenza – se la formula ha ancora un senso – un peso che li rende interlocutori ineludibili. L’eleganza dei modi e dell’eloquio può essere diversa, ma non la sostanza. Una lista Zaia in Veneto e una De Luca in Campania hanno sul tavolo di trattativa un significato analogo.
Perché accade? Le letture sono molte e diverse. Il terremoto dei primi anni ’90 del secolo scorso, la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, la debolezza di leadership nazionali più attente alla propria sopravvivenza che alla salus reipublicae? Ce lo dirà la storia. Importa di più il che fare oggi, qui e ora. E su questo Locoratolo non offre in sostanza risposta, se non quella di far andare le cose per il loro corso. Morniroli vorrebbe invece puntare sulla presenza di un civismo diffuso e impegnato sul territorio, composto da soggetti che per natura e attività superano il gap tra i bisogni reali e la politica ufficiale, certo responsabile in ampia misura della disaffezione tradotta nell’astensionismo elettorale.
Qual è il problema di quel civismo? È un pulviscolo essenziale nella risposta ai bisogni, ma per sua natura troppo disperso per renderlo interessante agli occhi di un circuito politico pronto a fare catenaccio e ad autoassolversi. In sintesi, ottime persone degne di apprezzamento, che non giungono però alla massa critica richiesta per un impatto significativo. Può capitare che si abbia un amico consigliere o assessore, ma non si riesce ad incidere sull’indirizzo politico di un’assemblea o di una giunta. Quindi il vero problema è quali strumenti sono concretamente disponibili per dare una massa critica che non si realizza solo auspicandola.
Qui torna l’analisi che ho già svolto su queste pagine (25 maggio) sul poderoso apparato normativo a sostegno della partecipazione democratica che lo statuto regionale presenta. Non a caso, avanzatissimo nella definizione formale, totalmente negletto nella pratica politica. È arrivato il momento di attivarlo, usandolo come strumento per entrare nelle sedi della decisione politico-amministrativa. Ribadisco in specie il richiamo alla previsione (art. 15) di una iniziativa legislativa popolare rafforzata, traducibile in referendum popolare in caso di rigetto o di modifica sostanziale. Si tentò di introdurlo a livello nazionale con riforma costituzionale nella XVIII legislatura (AC 1173 e AS 1089). Il tentativo fu poi abbandonato.
In Campania, invece, abbiamo quel che serve. Una robusta iniezione di partecipazione democratica è la cura necessaria e immediatamente disponibile per una fragilità della politica che non vede a breve altri rimedi E segnalo che anche il Comune di Napoli offre un ampio sostegno statutario e regolamentare alla partecipazione, oggi probabilmente utile a evitare uno scontro tra tifoserie sull’America’s Cup, già all’orizzonte.
Chiudo questa riflessione ricordando come Luigi Labruna, collega e amico di lunga data, il 26 maggio nella sua rubrica settimanale su questo giornale sosteneva la campagna referendaria dell’8 e 9 giugno, citandomi e cogliendo in pieno l’importanza della partecipazione democratica. Di lì a poco sarebbe scomparso. La sua voce ci mancherà.