I ‘TECNICI’ E LA POLITICA

di Francesco Baicchi - 17/04/2020
Con la sua drammaticità il COVID-19 offre paradossalmente l’opportunità di una inversione della marcia verso il baratro della distruzione del pianeta, delle guerre nei Paesi più poveri
L’idea del presidente Conte (o di chi l’ha avuta) di far valutare da un gruppo di esperti le procedure da seguire per il superamento della fase della emergenza e le loro conseguenze sul medio/lungo periodo non può che essere accolta come una dimostrazione di ragionevolezza e perfino come il riconoscimento del limite delle proprie competenze. 
A condizione, naturalmente, che il mandato assegnato ai ‘tecnici’ preveda l’analisi di una pluralità di alternative, e non divenga la vera sede decisionale, esautorando di questo ruolo il Parlamento.
La chiarezza dei limiti della funzione di consulenza del gruppo di lavoro (o task force, per chi desidera fare bella figura) coordinato da Colao è essenziale in questa fase in cui le decisioni assunte in campo socio-economico determineranno inevitabilmente il futuro del nostro Paese per lungo tempo e rischiano di essere irreversibili.
Credo di non essere solo a pensare che, comunque, non potremo, come fece Enzo Tortora, limitarci a dire: “Dove eravamo rimasti?”.  Sia perché per un tempo più o meno lungo col virus, e con mascherine, guanti e ‘distanziamento sociale’, dovremo convivere,
sia perché interi comparti della nostra economia verranno fortemente ridimensionati, e con loro la occupazione  connessa.
E’ anche probabile che, a causa della caduta del reddito o per le nuove abitudini acquisite durante l’isolamento, il modello dei nostri consumi risulti sensibilmente modificato.
Se dunque nessuno mette in dubbio la necessità di una dose mai vista di investimenti pubblici per ridare fiato a un sistema in crisi, soprattutto dal punto di vista occupazionale, non è detto che sia utile ricostruire lo scenario  preesistente in tutti i suoi aspetti. Si apre anzi, inaspettatamente, la prospettiva di correggere errori del recente passato, almeno i più clamorosi: la troppo trascurata compatibilità ambientale, per esempio; la valorizzazione dei prodotti locali, specie alimentari e biologici; la manutenzione di immobili (le scuole!) e infrastrutture, alternativa alle ‘grandi opere’ che il dopo-virus impone di ripensare; il ripristino della progressività del sistema fiscale, fra l’altro imposta dalla Costituzione; il potenziamento dei servizi socio-sanitari pubblici, dopo la disastrosa ubriacatura del ‘privato è (più) bello. E, finalmente, la rinuncia, almeno per fare cassa, allo sperpero dell’acquisto di armamenti inutili, con lo strascico di sospetti su interessi inconfessabili che si trascina.
Lo  Stato ha giustamente deciso di garantire un reddito (poco o tanto che sia) a chi non ha altre risorse,e può farlo anche sotto forma di posti di lavoro.
Con la sua drammaticità il COVID-19 offre paradossalmente l’opportunità di una inversione della marcia verso il baratro della distruzione del pianeta, delle guerre nei Paesi più poveri per accaparrarsi materie prime sempre più rare, della concentrazione della ricchezza mondiale in poche decine di famiglie. Certo sarebbe solo il primo passo, ma è il più importante.
Con un po’ di coraggio potremmo anche deciderci a pensare a una società diversa, dove non tutto è lecito per accumulare profitti, dove tutelare la salute di tutti indipendentemente dal loro reddito è una priorità, come lo sono l’istruzione, una giustizia rapida e efficace (nel senso che le sentenze arrivano velocemente e vengono rispettate). Sarebbe sufficiente rileggere la Costituzione, quella del ’48.
Sarebbe opportuno che agli ‘esperti’ del manager Colao, quasi tutti divenuti grandi nel mondo iper-liberista delle multinazionali, venisse chiesto di valutare con la necessaria oggettività e competenza anche questa ipotesi, perché questo è il compito della politica. Ma forse a quel gruppo manca il contributo fondamentale di chi da sempre pensa che questo mondo potrebbe essere migliore.

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